Rinascita carolingia[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Rinascita carolingia.


Per “Rinascita carolingia” si intende la fioritura che si ebbe durante il regno di Carlo Magno in ambito politico, culturale, e soprattutto educativo. La situazione in campo intellettuale e religioso al momento dell'ascesa di Pipino il Breve era disastrosa: la scolarità era quasi scomparsa nel regno merovingio e la vita intellettuale pressoché inesistente. La necessità di intervenire era già chiara a Pipino[118], e il re franco perseguì un ampio progetto di riforma in tutti i campi, soprattutto in quello ecclesiastico, ma quando Carlo pensava alla ristrutturazione e al governo del suo regno, rivolgeva particolare attenzioni a quell'Impero romano di cui si faceva prosecutore sia nel nome, sia nella politica.

Carlo dette impulso ad una vera e propria riforma culturale in più discipline: in architettura, nelle arti filosofiche, nella letteratura, nella poesia. Personalmente era un illetterato, e non ebbe mai una vera e propria educazione scolastica, benché conoscesse il latino e avesse una certa dimestichezza nella lettura, ma comprendeva a fondo l'importanza della cultura nel governo dell'impero.

La Rinascita carolingia ebbe una natura essenzialmente religiosa, ma le riforme promosse da Carlo Magno assunsero una portata culturale. La riforma della Chiesa, in particolare, si proponeva di elevare il livello morale e la preparazione culturale del personale ecclesiastico operante nel regno. Carlo era ossessionato dall'idea che un insegnamento sbagliato dei testi sacri, non solo dal punto di vista teologico, ma anche da quello "grammaticale", avrebbe portato alla perdizione dell'anima, poiché se nell'opera di copiatura o trascrizione di un testo sacro si fosse inserito un errore grammaticale, si sarebbe pregato in modo non consono, dispiacendo così a Dio[119]. Con la collaborazione del cenacolo di intellettuali provenienti da ogni parte dell'impero, denominato “Accademia Palatina[120], Carlo pretese di fissare i testi sacri (Alcuino di York, in particolare, intraprese l'opera di emendazione e correzione della Bibbia[121]) e standardizzare la liturgia, imponendo gli usi liturgici romani, nonché di perseguire uno stile di scrittura che riprendesse la fluidità e l'esattezza lessicale e grammaticale del latino classico. Nell’Epistola de litteris colendis si prescrisse a preti e monaci di dedicarsi allo studio del latino, mentre con l'Admonitio generalis del 789 fu ordinato ai sacerdoti di istruire ragazzi di nascita sia libera sia servile[122], ed in ogni angolo del regno (e poi dell'Impero) sorsero delle scuole vicino alle chiese ed alle abbazie[123][124]. Sotto la direzione di Alcuino di York, intellettuale dell'”Accademia Palatina”, vennero redatti i testi, preparati i programmi scolastici ed impartite le lezioni per tutti i chierici[125]. Neanche la grafia venne risparmiata, e fu unificata, entrando in uso corrente la “minuscola carolina”, derivata dalle scritture corsive e semicorsive[126], e venne inventato un sistema di segni di punteggiatura per indicare le pause (e collegare il testo scritto alla sua lettura ad alta voce). Anche l'elaborazione e l'introduzione nei vari centri monastici ed episcopali del nuovo sistema di scrittura si deve all'influenza di Alcuino. Da quei caratteri derivarono quelli utilizzati dagli stampatori rinascimentali, che sono alla base di quelli odierni[127][128].

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