Anzitutto è opportuno chiedersi: Come è possibile che eventi così terribili della storia possano essere rimossi dalla memoria? Il motivo è presto detto ed è una somma di molte variabili insite nell'epoca della produzione: l'uomo deve utilizzare i prodotti che vengono continuamente fabbricati, deve farlo incessantemente e senza distinzione. Questo è il grande comandamento dell'era industriale, per la quale qualsiasi riflessione circa gli effetti prodotti dagli oggetti di consumo costituisce un indugio inammissibile. La situazione in cui si trova l'uomo appare paradossale: da una parte, in quanto detentore dei mezzi di produzione, produce la propria distruzione, dall'altra il continuo consumo lo introduce nella dimensione della dimenticanza. L'uomo moderno, dunque, produce due tipi di oblio: quello dell'esistenza e quello della memoria. Ciò avviene perché l'incessante produzione genera l'effetto simile al nastro delle catene di montaggio: nessun operaio può soffermarsi sul prodotto su cui sta lavorando ma può solo lavorare, così come ad ogni consumatore spetta solo il consumo dei prodotti. Entrambi sono esclusi dal pensiero ed assimilati nell'azione finita e chiusa in se stessa.
Al consumo come associato dell'incessante produzione si affianca il fattore ripetibilità. Alla dimenticanza di Auschwitz e Hiroshima, al diluirsi degli eventi nel flusso procedurale, non corrisponde la rimozione del potere tecnologico e non può corrispondervi. L'uomo, quindi, non è in grado di ristabilire la perduta innocenza atomica, ed anche nel momento in cui non possedesse più nessuna testata nucleare, resterebbe intatta l'idea. «In breve: noi siamo incapaci di non potere più ciò che un tempo abbiamo potuto. Dunque ciò che ci manca non è il potere, ma il non-potere»
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