Lo snodo iniziale e comune della semiotica di matrice strutturale (nelle sue declinazioni generativa e interpretativa) è la definizione di funzione semiotica come solidarietà1 tra due piani, espressione e contenuto, in relazione di presupposizione reciproca.

ritaglio simultaneo del recto e del verso del foglio

La prima stratificazione della struttura semiotica si dà tra i due piani: “la biforcazione che mena a separare la gerarchia costituita dal piano del contenuto e quella costituita dal piano dell’espressione si trova ad uno stadio anteriore a quella che separa forma e sostanza”


nel ripensamento della funzione semiotica “alla luce della semiotica peirciana”, il “criterio di interpretanza” definisce il modo in cui “la materia segmentata esprime altre segmentazioni della materia”

due livelli [sic] del linguaggio, “uno di organizzazione espressiva, l’altro di organizzazione del contenuto”, che vengono stabiliti “all’interno degli ogget- ti”12, può accreditare la lettura deleuziana di Foucault per cui la prigione è la forma dell’espressione per la delinquenza intesa come forma del contenuto

Deleuze e Guattari14, sviluppata in Mille piani15, che riconnette in questo caso la reversibilità alla questione del senso in continua traduzione inter/intrasemiotica

la reversibilità è perciò semmai condizione di rifunzionalizzabilità

in una semiotica “i ruoli sono fissati dal sistema”21: tuttavia, questo di per sé non indica il modus operandi del sistema, o del soggetto epistemologico necessario metodologicamente per la definizione dello stesso.

l’espressione viene assunta come dominio e il contenuto come codominio, per cui vale ￿: E￿C. È l’ipotesi di fondo della rilettura echiana: programmaticamente, nel Trattato si afferma che “quando un codice associa gli elementi di un sistema veicolante agli elementi di un sistema veicolato, il primo diventa l’espressione del secondo, il quale a sua volta diventa il contenuto del primo”24. Analogamente, un segnale diventa segno nel momento in cui “viene usato come antecedente riconosciuto di un conseguente previsto”



Per Deleuze e Guattari, la glossematica, “sola teoria moderna (non arcaica) del linguaggio”29, mette in presupposizione espressione e contenuto come “due piani deterritorializzati convertibili” che devono essere pensati come “flussi”: se espressione e contenuto si danno come flussi in accoppiamento, ogni segno è una figura di taglio che attraversa i flussi. Nel riprendere con forza l’avvertimento hjelmsleviano sulla definizione in solido dei due piani, tale per cui “la loro definizione funzionale non fornisce alcuna giustificazione per chiamare una piuttosto che l’altra di queste entità espressione o contenuto”30, si osserva acuta- mente come in ogni caso in Hjelmslev rimanga elusa la domanda proprio a proposito di ciò che varî “da uno strato all’altro”, nel momento, cioè, in cui si assuma “il punto di vista del contenuto e dell’espressione” 

Accoppiare la dicotomia hjelmsleviana espressione/contenuto con quella molare/molecolare implica perciò riconoscere un doppio funzionamento nella prima che risulta da una “differenza di regimi e di scala tra le due specie”35. Da un lato, e di fondo, “c’è ovunque il molare e il molecolare”36, poiché il micro e il macro non si oppongono come contrari, ma identificano, piuttosto, due poli, la risultante di un taglio, secondo un orizzonte che richiede l’orientamento di un punto di vista: e a spingere a fondo la dicotomia si potrebbe osservare come si giunga inevitabilmente a un “punto di dispersione” tra i due piani, come quello che Deleuze e Guattari segnalano tra vitalismo e meccanicismo

Dall’altro, per i due autori l’emergenza del senso ha come requisito l’assunzione del punto di vista molare dell’espressione: se infatti al livello molecolare produzione e funzionamento coincidono, a quello molare, invece, la prensione statistica, globale, che ne risulta, implica una distinzione tra il prodotto finito e la produzione che ne è all’origine in quanto funzionamento. È solo nello scarto tra prodotto e funzione che si ha produzione di senso perché “solo ciò che non viene prodotto così come funziona ha un senso, ed anche uno scopo, un’intenzione”38. Dunque il senso ha/fa senso laddove si distingua, si direbbe, il generativo dal genetico: laddove si intraveda uno scarto tra un insieme di prodotti finiti ed un funzionamento produttore. Si ha senso dove si assuma il punto di vista dell’espressione, con un movimento che procede cioè dall’espressione verso il contenuto (dove si guardi a partire dall’espressione), stante la solidarietà dei due. 
In questi termini, è al livello molare che si può determinare una “logica del senso” come voleva Deleuze prima dell’anti-Edipo: dove si dia la dualità di due serie (come quella tra prodotto e produzione), il senso può prodursi come “la frontiera, il filo di lama o l’articolazione della differenza tra gli uni e gli altri, poiché dispone di una impenetrabilità che gli è propria e nella quale si riflette”39. Dunque, a ben vedere nonostante l’apparente eccentricità del concetto, il molare è lo stemma sotto il quale si pone la semiotica strutturale nel momento in cui postula, classicamente secondo una linea Greimas-Eco-Lotman, il senso come scarto (ma anche come possibilità di circolazione e di scavalcamento) tra (almeno) due livelli: presupposto massimamente strutturale a livello epistemologico40 ma certamente anche metodologico, laddove “operativamente” si assuma l’opacità del testo come selvaggio41, cioè come molare alterità antropologica tra il genetico e il generativo, per cui il rapporto, molare, tra l’empirico e il semiotico deve essere pensato dalla semiotica, in quanto “logica della cultura”, secondo una “teoria della menzogna”42. La menzogna trova cioè la sua possibile scaturigine nello scarto che si genera (nel senso del generativo) attraverso una “trasformazione al contrario”43 rispetto alla sua genesi, trasformazione che risale da un prodotto semiotico al modo della sua produzione. È chiaro comunque che l’ipotesi di una differente logica di strutturazione tra i due piani e di una comunicazione tra gli stessi per “ridondanza”, per cui l’espressione è in relazione di “strutturazione amplificante” con il contenuto è, seppur suggestiva, in palese contrasto con l’impostazione glossematica44.

In maniera
del tutto analoga e conseguente, si direbbe che la semiotica generativa, da un lato si definisca ab
origine come disciplina della sostanza di un contenuto pensato non ‘come’ ma ‘a partire’ da quello
linguistico49, dall’altro ribadisca il dettato iniziale della purezza formale definitoria del modello di
segno hjelmsleviano50, per cui la relazione tra i due piani è una partizione51 mobile. Se nell’analisi di
testi verbali si può assumere implicitamente l’uso hjelmsleviano di matrice linguistica, la questione di
una ridefinizione del proprium dell’espressione si pone sempre più radicalmente con l’estensione degli
interessi semiotici a testualità di tipo diverso, visive soprattutto, ma non solo. Così, il contenuto, che
è piano definito esclu- sivamente in termini funzionali, si identifica con il semantico, che ne è invece
sostanza: si assiste cioè ad una “sostanzializzazione” del contenuto, per cui quello che è un piano in
una descrizione formale riceve determinazioni sostanziali dall’identificazione con il semantico.





nella teoria la generalità del contenuto trova il suo doppio corrispondente nella particolarità dell’espressione

“il n’y a pas de contenu spécifique à un langage particulier”57: in
qualche misura, quest’ultimo è già dato prima dell’espressione
contenuti plastici.

Per lo stesso principio, il ritmo viene inteso, “contrairement à l’acception de ce mot, qui y voit un arrangement particulier du
plan de l’expression”, come forma rilevante anche soltanto al piano del contenuto60. Il contenuto
è in questi termini un semantismo diffuso e generale veicolabile almeno parzialmente da espressioni
di tipo diverso: l’espressione diventa allora una sorta di residuo non semantizzato, ciò che non è
immediatamente passibile di descrizione attraverso le categorie individuate sul piano del contenuto.

Il passaggio, che si realizza tra Semantica strutturale e Del senso, sembra essere sancito
dall’introduzione in quest’ultima raccolta del fortunato concetto di “semiotica del mondo naturale”
(Greimas 1970: 49ss), che dovrebbe permettere di definire epistemologicamente le modalità
di effettuazione dello scambio osmotico tra mondo e lingua (scambio che si suppone avvenire per
articolazione chiasmatica), evitando ogni forma di “fallacia referenziale”. “Le monde naturel est
un langage figuratif, dont les figures – que nous retrouvons dans le plan du contenu des langues
naturales – sont faites des ‘qualités sensibles’ du monde” (Greimas e Courtés 1979: v. Monde naturel).

il mondo naturale sia una semiotica in senso tecnico hjelmsleviano e il suo piano dell’espressione
diventi contenuto di quella della lingua, vale perciò: Mondo naturale (C)—–E = C——E Lingua
naturale, dove “=” specifica la relazione chiasmatica. Pur volendo intendere con macrosemiotica
“un lieu d’élaboration et d’exercise de multiples sémiotiques” (Greimas e Courtés 1979: v. Monde
naturel), ciò non specifica in alcun modo, se di semiotica si tratta, che cosa s’intenda per piano del
contenuto del mondo naturale (di qui le parentesi). A meno che non si indichi semplicemente (con
un fenomenologismo di superficie occultato attraverso la terminologia glossematica) che il mondo
in qualche misura ci parli.

La dimensione sensibile sembra costitutiva della semiotica in conseguenza diretta della sua fondazione
antropologico-fenomenologica: la Semantica strutturale si costituisce secondo l’ipotesi di fondo della
possibilità (ma anche della necessità) di una “descrizione del mondo delle qualità sensibili”61. Dopo
aver stabilito che, in prima battuta, i significanti, “nel loro statuto di non-appartenenza al mondo
umano”, “vengono automaticamente respinti verso l’universo naturale che si manifesta al livello delle
qualità sensibili”, Greimas può subito notare come “gli elementi costitutivi dei diversi ordini sensoriali
poss[a]no, a loro volta, essere colti come significati e istituire il mondo sensibile in quanto significazione”
62.





“Tipologia dei modi di produzione segnica” in Eco 1975: § 3.6, 285ss. Di passaggio, Eco 1997 (riconsiderando Eco 1975, p. 321) nota come, rispetto ad un calco in quanto espressione della quale ricostruire un contenuto possibile (secondo quanto esplicitato dalla teoria della produzione segnica), per uscire dal semiotico sia sufficiente “focalizzare l’attenzione non sul momento in cui si legge il calco ma su quello in cui si produce [...] da solo”. Tuttavia, verrebbe da chiedersi come questa storia possibile del calco, questa archeologia dell’impronta, non sia già “trasformazione al contrario” da parte del soggetto epistemologico, nella forma dello “spostamento della sua focalizzazione”. “Focalizzazione” pare peraltro termine sintomatico, giacché è stato giustamente notato come la teoria dei modi di produzione segnica possa essere considerata come una teoria dell’enunciazione
Osservano a proposito Deleuze e Guattari che l’“avanzata verso una con- cezione diagrammatica del linguaggio è tuttavia ostacolata per il fatto che Hjelmslev concepisce ancora la distinzione dell’espressione e del contenuto secondo il modello significante-significato, e mantiene così la dipendenza della macchina astratta dalla linguistica”
Ma dall’identificazione del semantico (nell’accezione del tutto condivisibile di luogo generale di produzione del senso53) con il contenuto (che è piano formale) ne consegue una sorta di svuotamento dell’espressione
Ma se il sensibile in questi termini rileva ancora solo del contenuto, l’attenzione al “rimosso” della figuratività, intesa nell’accezione di griglia culturale ipostatizzata, porta a considerare il sensibile come luogo di individuazione di una funzione semiotica peculiare, plastica, di cui esso è supposto costituire il piano dell’espressione 

Si stabilisce così, si direbbe al primo giro di carte, un interesse per la sostanza semantica
della “polpa spessa della materia”63

La dimensione sensibile si impone inizialmente come pertinenza a
livello di effetti di senso della “presenza” sul piano del contenuto di un mondo naturale, per poi ritrovare
il suo proprium nella propriocettività come mediazione (sempre di matrice fenomenologica) tra
mondo e lingua. Se in un primo momento il sensibile, in quanto attributo, concerne primariamente
un insieme di qualità imputabili al mondo naturale, successivamente, in quanto dominio, esso trova
il suo luogo di iscrizione nella propriocettività. In sostanza, se inizialmente si suppone il diaframma
mondo/lingua trasparente o comunque irrilevante nella sua descrizione, in un secondo momento la
propriocettività permette di definire questa relazione come superordinata ai suoi termini, ed il corpo
proprio, come luogo dell’estesia (dell’insieme, cioè, di “modi in cui i soggetti entrano in contatto
percettivo con il mondo”64), controlla il rapporto variabile, in modulazione, tra mondo e lingua. Si
assiste cioè a un ispessimento di quello stesso contatto mondo/lingua, solo postulato dalla semiotica
generativa al suo inizio e che, da sottile relazione di tipo logico-linguistico, si accresce in membrana,
osmotica ma consistente, occupata dalla corporeità propriocettiva. Ma se il sensibile in questi termini
rileva ancora solo del contenuto, l’attenzione al “rimosso” della figuratività, intesa nell’accezione di
griglia culturale ipostatizzata, porta a considerare il sensibile come luogo di individuazione di una
funzione semiotica peculiare, plastica, di cui esso è supposto costituire il piano dell’espressione65

non essendoci commercio possibile tra dominio del sensibile e definizione della funzione semiotica, uno definendo un interesse “tematico” della disciplina, l’altra un suo fondamento epistemologico.



controlla il rapporto variabile, in modulazione, tra mondo e lingua

luogo dell’estesia (dell’insieme, cioè, di “modi in cui i soggetti entrano in contatto percettivo con il mondo”

In sostanza, se inizialmente si suppone il diaframma mondo/lingua trasparente o comunque irrilevante nella sua descrizione, in un secondo momento la propriocettività permette di definire questa relazione come superordinata ai suoi termini

cambiare prospettiva, muovendo dal mondo naturale del figurativo e dalla griglia culturale che esso proietta verso la materia che ne costi- tuisce supporto: è l’ipotesi della “lingua altra” che Greimas postula per “poter specificare il campo particolare” che si sforza di delimitare

linguaggio autonomo e secondo, quella “lingua altra” in cui “i formanti plastici sono chiamati a fare da pretesto a degli investimenti di significazioni diverse”

plastico è il risultato di un’operazione di individuazione analitica, non è in alcun modo dato a prio- ri, risultando invece dalla proiezione dell’assunto metodologico fondamentale della semiotica per il quale si ha semiosi soltanto se c’è relazione espressione/contenuto. La sua specificità starebbe allora nella sua esistenza seconda, risultato di una (ri)valorizzazione del sensibile, della “volonté de rendre compte de la materialité du signifiant”

il piano dell’espressione concerne “qualités sensibles”, quello del contenuto “idées et récits”

i mondi della casa e della cucina corrispondono a ciò che, in semiotica, si chiama la sostanza del piano del contenuto; sono la materia semantica [...], i materiali e i volu- mi colorati corrispondono alla sostanza del piano dell’espressione”: ovvero, “la materia improntata all’approccio del sensibile”

Non è certo in questione la rilevanza dell’analisi

cristallizza sull’espressione una dimensione sensibile dopo aver identificato il contenuto con il semantico, sovrapponendo il tal modo un problema formale con uno sostanziale.

giacché il semantico occupa stabilmente il contenuto, a ciò che rimane, l’espressione, resta la dimensione sensibile, sotto la quale si profila, in fondo, l’idea di matrice linguistica del fonologico come supporto



“noi usiamo segni come espressioni per esprimere un contenuto” ritagliato da un “continuum del
contenuto”, 39, come se il continuum fosse un modo proprio esclusivamente del contenuto

il rispetto della formalizzazione hjelmsleviana di cui si è detto più sopra, sembra continuare in maniera sotterranea ad indicare comunque un analogon del fonologico come semplice supporto/veicolo materiale del semantico. Di questa inter- pretazione “materiale” della metafora topologica hjelmsleviana, per cui l’espressione è un ‘esterno’ rispetto all’ ‘interno’ del contenuto (Hjelmslev 1943a, p. 63), è testimone la terza parte del Trattato dedicata alla “Teoria della produzione segnica”: nella “tipologia dei modi di produzione segnica” una della categorie differenziali riguarda infatti “il lavoro fisico necessario a produrre l’espressione” (Eco 1975, p. 285). Nella successiva rielaborazione hjelmsleviana della materia come continuum “av- volgente” espressione e contenuto Eco fornisce esempi della sostanza dell’espressione come “suoni, colori, relazioni spaziali” (Eco 1984, p. 74). Si tratta probabilmente di un’esemplificazione “didat- tica” giacché questa interpretazione materiale dell’espressione è chiaramente in contrasto proprio con il concetto echiano di continuum sviluppato nelle stesse pagine (e ripreso in Eco 1997). Tutta- via, in un altro luogo, discutendo di falsi, si distinguono “prove attraverso il supporto materiale”, identificato in quanto tale come sostanza dell’espressione, rispetto alle “prove attraverso il con- tenuto”, che devono essere messe in relazione alla “struttura semantica” (Eco 1990, pp. 185-7). Sembra cioè esserci una sorta di resistenza dell’interpretazione materiale (ed in Eco 1997, nella ri- presa dell’ipotesi del continuum come rielaborazione del modello hjelmsleviano già proposto in Eco 1984, sembra comunque riproporsi momentaneamente un diastema espressione/contenuto
  
Rivalorizzare l’espressione significa in questi termini risollecitare il supporto nella sua dimensione sensibile83. In secondo luogo, e con un’apertura teorica che pare più feconda, l’espressione sembra essere ciò da cui l’analisi deve muovere perché più resistente, residuale, rispetto alla descrizione semiotica: l’espressione è la prova della resistenza del testo, come dimensione d’accesso ad un contenuto ulteriore o altro

estesia (dell’insieme, cioè, di “modi in cui i soggetti entrano in contatto percettivo con il mondo”



chiaramente l’ipotesi all’origine della discussione sul plastico come lettura “altra”, ampiamente citata in precedenza (Greimas 1984 e Floch 1985). Ma è sempre il saggio sulla semiotica del mondo naturale che è dirimente in questa prospettiva. Vi si riconoscono “due modi irriducibili” nella signi- ficazione della parola senso: da un lato, glossematicamente, sovrapposizione di due configurazioni arbitrariamente definite espressione e contenuto; dall’altro, direzione dall’espressione al contenu- to che “si configura come un’intenzionalità, come una relazione che si stabilisce fra il tragitto da
percorrere e il suo punto terminale”


le figure del mondo fanno senso solo “tramite la sensibilizzazione che impone loro la mediazione del corpo”



“l’événement que constitue la rencontre entre l’énoncé et l’instance qui le
prende en charge


È dalla presenza della corporeità in quanto mediazione che deriva l’attenzione
alla mediazione in quanto prassi: di qui, la priorità del processo sul sistema93, di un approccio
dinamico (della “signification vivante”94) ad uno statico (attento alle significazioni in quanto già
depositate negli stock culturali stabilizzati), del divenire rispetto all’essere95
metafora topologica hjelmsleviana

il corpo trovi la sua posizione teorica grazie
al suo installarsi al centro di un fenomenologico “campo di presenza”.

“pris de position” di un corpo proprio
che, da un lato, fenomenologicamente, è “terzo termine, sempre sottinteso, della struttura figura e
sfondo”98, dall’altro, semioticamente, la cui “présence est definie en termes déictiques, c’est-a-dire,
en somme, à partir d’une sorte de présent linguistique”

“soggetto e oggetto” sono “due momenti astratti di
una struttura unica che è la presenza”

In questi termini il corpo proprio è “il perno del mondo”
101 e della lingua. L’ipotesi della semiotica del discorso è allora proprio quella merleau-pontiana
di assumere la percezione come “testo originario”, in cui “il senso ricopre il sensibile”102. Dunque
il corpo proprio della fenomenologia della percezione viene recuperato definitivamente al discorso
semiotico attraverso la sua investi- tura a “centre de référence”103 dell’enunciazione

innesto a tutti gli effetti, poiché il
corpo proprio dell’istanza dell’enunciazione va ad occupare il luogo della funzione semiotica stessa che
definisce la relazione tra i due piani dell’espressione e del contenuto.

Merleau-Ponty per cui, attraverso il corpo, “il senso si articola
visibilmente o si esprime”111 nel sensibile: in traduzione semiotica, questa articolazione prevede che
il senso come contenuto si articoli con il sensibile come sua espressione.

ESTERO ESPERISSIONE INTERO PERCEZIONE PROPRIO CETTIVO POSIZIONE SOGGETTO ATRATTO CHE PERCEPISCE

il dato teorico perde traccia del suo essere un risultato. In
primo luogo, uno stimolo cruciale è proprio la lezione di Floch sul plastico: come si è visto, il plastico
invita ad una ripertinentizzazione e ad una lettura altra, e gli effetti di senso supplementari introdotti
dalle “qualità sensibili” sembrano ascrivibili (residualmente) al piano dell’espressione.

In questo
senso, Fontanille precisa una posizione (mai fondata all’interno del paradigma generativo, ma condivisa
nell’uso), omologando esplicitamente e direttamente l’espressione al mondo naturale. In secondo
luogo, Fontanille propone una formalizzazione fenomenologica semplice ed astratta, che prevede un
modello del corpo come regione chiusa, delimitante un interno e delimitata da un esterno, di fatto
costituito secondo la categoria inglobante/ inglobato: è questo modello topologico “réglé par une opposition
simple: externe/interne”115 che rimotiva per isomorfismo la metafora hjelmsleviana, per cui
espressione e contenuto si rapportano come faccia “esterna” ed “interna” del segno116.

Il modello è fortemente
influenzato dalla teoria dell’Io-pelle come corpo-involucro in Anzieu 1985.

riportare all’analisi l’inanalizzato (che non può
essere accantonato nell’inanalizzabile).


trattare “tout les langages comme des non-langages118”, come dei
sistemi (inizialmente) monoplanari: la biplanarità, cioè, non è data a priori, ma va stabilita in corso
d’analisi.

“la perception est déjà sémiotiquement formée

funzione segnica ￿ si definisce esplicitamente
l’espressione come dominio e il contenuto come codominio, per cui vale ￿: E‘C. In questi termini,
l’espressione è partenza e accesso al senso, è il luogo di una resistenza all’atto dell’enunciazione,
il quale si costituisce come contenuto

la sémiotique visuelle aborde la construction du
plan de l’expression des objets planaires avant de s’interroger sur les relations entre forme de
l’expression et de forme de contenu”

CONTENUTO l’acte même de l’enonciation

l’idea di Fontanille è allora “quella di considerare i modi del sensibile come non-linguaggi
in senso hjelmsleviano, cioè come semiotiche monoplane in attesa di enunciazione per fare senso
(da cui la centralità della prassi). Questo atteggiamento metodologico permette di porsi la seguente
domanda: in che modo un non-linguaggio può partecipare alla formazione di un linguaggio?”.

espressione : sensibile :: contenuto : intellegibile

le plan de l’expression est celui, grosso modo, de la manifestation sensible de la
sémiosis

Nous
baignons dans un monde déjà signifiant

reversibilità” dei piani: il colore del frutto è espressione per il contenuto
della sua maturazione, che può essere espressione della sua “durée” come ulteriore contenuto.
“Accorder signification” ad un evento o un oggetto è definirlo come espressione di un contenuto

In fine di partita, resta intatta la questione sulla possibilità di una differenza tra i due piani. Riassumendo,
l’unica determinazione che sembra rilevante nell’uso in maniera tale da riverberarsi sulla
teoria prevede che sia espressione il dominio di una funzione semiotica il cui codominio sia costituito
dal contenuto. Vale cioè per la funzione semiotica ￿: E￿C. Da questo primo tratto formale che rileva
del problema dell’orientamento ne consegue un secondo, correlato, che sollecita piuttosto il tema della resistenza

Ogni strutturalismo si definisce cioè in base ad una “forma seriale” che “si realizza necessariamente nella
simultaneità di almeno due serie”128, e la cui logica opererebbe infatti in funzione di tre presupposti:
lo scarto tra le due serie come “variazione primaria”129, l’orientamento assunto da questo stesso
squilibrio tra le serie, ed infine un’“istanza paradossale” di circolazione, “casella vuota”130, irriducibile
ai termini delle serie ma tale da assicurare la comunicazione tra gli stessi.

della relazione tra
lo scarto e il suo orientamento.

la semiotica si occupi da sempre di macchine
molari, in cui appunto si tratta certo di correlare una serie-espressione ad una serie-contenuto ma
precipuamente di assumere il punto di vista dell’espressione e di valutare uno scarto produttore di
senso: in questi termini, la semiotica assume il testo in primis come macroconfigurazione espressiva
statistica, che essa lavora secondo il modo dell’estrazione, per il quale si tratta appunto di estrarre
il “contenuto” da un “contenitore”. [estrarre prigioniero dalla prigione]

Più in generale sulla riflessione deleuziana sullo strutturalismo, cfr. Petitot 1985, p. 67-73. Si è
peraltro potuto osservare come la teoria greimasiana dell’enunciazione sia “un’applicazione teorica
tra le più coerenti” del concetto deleuziano di casella vuota

Partire dall’espressione significa orientare la funzione semiotica
mirando dal dominio dell’espressione al codominio del contenuto. Ma soprattutto è nella definizione
stessa di quel morfismo che permette di trasformare da uno all’altro che trova il suo luogo il problema
della resistenza. Molarmente, l’opacità del senso è infatti già l’indice della sua presenza132.
Così, a
livello molare, se pure si dice che espressione e contenuto si diano in solidarietà, si muove sempre
dalla prima verso il secondo

Orientare la funzione semiotica
significa supporre sempre, dalla parte della serie espressiva, “un eccesso [...] che si annebbia”134
rispetto a quella del contenuto.


si annebbia”134
rispetto a quella del contenuto. Ed infatti è la macchina molare del testo che può essere definita un
“meccanismo pigro”135: il testo espressivo è un tessuto inerte perché troppo fitto. La costituzione
semiotica del testo è a tutti gli effetti un atto giuridico in cui il soggetto operatore riconosce a questo
uno statuto semiotico che è in primo luogo di natura espressiva: di qui la possibilità di una trasformazione
al contrario che si fonda sulla dissociazione del prodotto dalla produzione, del genetico
dal generativo.

Lasciare un residuo è a tutti gli effetti il modo di procedere sottrattivo del filtro: il
testo della semiotica testuale è così un segnale denso nel senso acustico del termine, che viene fatto
oggetto di un filtraggio tale da scartare alcune frequenze per enfatizzarne altre.
La resistenza che si
produce tra espressione e contenuto va allora intesa in senso elettrologico, come calore che si dissipa
nel passaggio dall’espressione al contenuto


In questi termini si può parlare di tensione costituente tra il plastico e il figurativo sulla base della
quale si fondano i processi di (ri)semantizzazione: “La semantizzazione di tipo plastico non si radica
in elementi o categorie (linee, colori, relazioni topologiche) che ‘consustanzialmente’ si differenziano
dal livello figurativo, ma in una resistenza localmente assunta da ciò che viene pertinentizzato come
dell’ordine dell’espressione ad articolarsi immediatamente con contenuti figurativi” (Basso 2003b, p.
322). Il valore di un testo è anche la misura di questa resistenza avvertita o ricostituita dall’analisi.

lo scarto che ne risulta è allo stesso tempo quanto permette di ritornare al testo, di reintegrarlo per rifiltrarlo nuovamente137

Così in generale il problema metodologico del filtro sta nel suo dover esserci senza esserci (troppo).
Discutendo della prassi della musica elettronica, Schaffer rileva che il filtraggio rischia sempre di
far sentire non una trasformazione (anche radicale) del segnale in entrata ma semplicemente la
frequenza propria del filtro stesso: in questo caso, “c’est le filtrage qu’on entend. La causalité
operatoire s’impose [...] L’opération oblitère l’objet, le dégrade, le marque de son timbre, au sens
indésiderable du terme” (Schaeffer 1966, p. 67). È certo il problema metodologico di ogni forma di
semiotica testuale

La molarità rumorosa
dell’espressione richiede così il fare sottrattivo, per estrazione, del filtro.

lasciar perdere quella parte dell’eredità hjelmsleviana relativa alla biplanarità del segno, assumendola,
come già osservato, proprio come un residuo materiale di natura storico-(pratico-)linguistica,
residuo che in realtà parassita nella teoria un po’ incongruamente su una distinzione più cruciale,
quella tra forma e sostanza138

Così, nella rilettura hjelmsleviana di Garroni, la considerazione della
relazione forma/sostanza come superordinata a quella espressione/contenuto permette di muovere
dalla questione della biplanarità del segno a quella della correlabilità delle strutture semiotiche.

La
semiotica diventa a tutti gli effetti “studio dei sistemi trasformabili”, teoria che richiede, al di là di
espressione e contenuto, la correlazione esplicita di due diverse considerazioni formali: da un lato
una forma formale, “pura istanza di analizzabilità, specificabile in un modello formale costruttivo”,
dall’altro una forma sostanziale, “istanza operativa”, “destinata all’esplicitazione formale della sostanza
in quanto destinata a correlarsi con quella prima considerazione formale”139

“La sostanza non si presenta, in sede di semiotica come
scienza, come sostanza, ma si presenta come una certa forma della sostanza rispetto a una certa
istanza di analizzabilità: forma determinata da un altro punto di vista rispetto alla forma di cui è
sostanza”

Sempre nel campo d’applicazione di una logica strutturale della messa in
serie, si tratta, invece di guardare dal molare verso il molecolare, di guardare dal molecolare verso il
molare: questo cambio di prospettiva è per definizione un cambio di posizione, ma non lo è secondo
un rapporto di simmetria.

compito: quello di moltiplicare le serie, di connetterle trasversalmente, poiché è in gioco non
più una funzione binaria ma un concatenamento già potenzialmente multiplo.

la reversibilità, se è vero che anche in Eco la funzione semiotica si definisce a partire dall’espressione
come dominio, implica che si pongano immediatamente le condizioni per pensare quest’ultima già
in quanto contenuto.

Laddove uno sguardo
molare cerca due serie, uno molecolare ne cerca subito n. La reversibilità è infatti un primo modo
in cui, “e converso”140, per semplice inversione del rapporto lemma-definizione, il dizionario
viene aperto verso la germinazione del rizoma enciclopedico.

nelle catene salta la distinzione Espressione/Contenuto poiché questa semplicemente
non risulta più pertinente, non fa la differenza: ciò che diventa rilevante è piuttosto il meccanismo
di funzionamento che permette il concatenamento141


È qui sottintesa la modellizzazione del molecolare in termini di catene di Markov su cui insistono
più volte Deleuze e Guattari

L’idea di una “cibernetica microscopica”142
nell’ordine del molecolare, che pure sembrerebbe massimamente astratta, emerge allora chiaramente
nello studio echiano delle mnemotecniche: espressione e contenuto indicano esclusivamente l’entrata
e l’uscita di una macchina con input (un trasduttore143) così che ogni mnemotecnica è descrivibile
come una rete di trasduttori la cui entrata è etichettata come espressione e la cui uscita come contenuto.

se si assume un rapporto di indeterminazione tra espressione e contenuto
salta (analogamente) il problema del residuo tra i due: si darebbe cioè residuo soltanto laddove si
produca una fissazione molare dell’espressione, rispetto al quale misurarlo.

Divenuta irrilevante la
questione della precipuità della relazione espressione/contenuto (dello scarto e della resistenza), non
a caso si pone tipicamente, come già ricordato, piuttosto un altro problema, di tipo meccanico, che
concerne il funzionamento: cioè, come si innesca la rete? Ovvero: da dove parte il cammino sul grafo
della macchina mnemotecnica complessiva?





[[[[Ironia tuttavia non vuol dire comicità. Nel saggio Il comico e la regola (1980) , Eco prende le distanze nei confronti delle teorie che attribuiscono alla comicità un carattere liberatorio ed eversivo. A suo avviso, in un regime di permessività assoluta non c’è carnevale possibile, perché nessuno si ricorda di ciò che viene messo in questione. In realtà il comico non è tanto diverso dal tragico: mentre nel secondo la regola viene sempre evocata, nel comico è taciuta, ma questo non vuol dire che non sia sempre operante: “la regola introiettata dal comico è talmente riconosciuta che non c’è bisogno di ribadirla”. Il rapporto comico-tragico è perciò fuzzy, oscillante: ciò spiegherebbe “perché mai proprio l’universo dei mass media sia al tempo stesso un universo di controllo e regolazione del consenso e un universo fondato sul commercio e sul consumo di schemi comici. Si permette di ridere proprio perché prima e dopo la risata si è sicuri che si piangerà”. Non diversamente nel saggio Pirandello ridens (1969) , Eco sostiene che “si ride proprio e solo per ragioni assai tristi”. Il riso implica una forte esperienza del conflitto: “gli angeli non ridono (...); il diavolo sì”.

Gli scritti più recenti di Eco prendono in attenta considerazione la tendenza a considerare tutto simile a tutto. Le origini di questo orientamento devono essere cercate nel neoplatonismo, il quale appunto pretende di eliminare le opposizioni e pone al sommo della scala degli esseri una entità inafferrabile e oscura (l’Uno) da cui tutto deriva per emanazione. Ne consegue che tutti gli esseri hanno un rapporto di affinità tra loro: il neoplatonismo, pur pensando l’Uno come il luogo della coincidenza degli opposti, anzi proprio per questo, è non solo un pensiero della conciliazione, ma anche un pensiero dell’elusione. Infatti l’Uno è in se stesso insondabile ed inesprimibile; quanto all’universo essendo retto da una rete di similitudini e di simpatie cosmiche, di esso si può dire tutto e il contrario di tutto. Ogni determinazione si rivela insufficiente e inadeguata.]]]]]

È in effetti in questo luogo, o in questo insieme di
loca mnemonica, in questa riflessione comune sulla memoria, che la semiotica non è lontana da una
icnologia, se questa è una teoria della traccia, intesa come ichnos, non iscrizione ma iscrivibilità la
cui terzità, peircianamente come generale, come condizione di iterabilità, è superordinata all’interno
e all’esterno, al passato e al futuro poiché li produce entrambi145.


la scrittura sia condizione di ri-scrittura

prospettiva di un imbricamento tra scrittura
e temporalità

 stemma dell’iscrivibilità la figura del “piegare un foglio”: in prima battuta, si determinano due lati
per il tramite di una frontiera provvisoria tra di essi, “mediazione che anticipa ciò che media” perché
li costituisce in quanto lati; ma, in secondo luogo, il foglio tende a tornare in posizione, così che la
piega “ricorda e anticipa”, traccia al contempo del passato e del futuro146.

Si direbbe in effetti che a livello molecolare “il funzionamento della macchina
è indiscernibile dalla sua formazione: macchine cronogene confuse col loro proprio montaggio”
(Deleuze e Guattari 1972, p. 326)

Se dunque uno sguardo
molare procede sottrattivamente per estrazione, uno molecolare lavora sulle relazioni tra termini additivamente,
secondo il modo della coalescenza: attraverso quest’ultimo, la semiotica rivela, appunto,
“un paesaggio molecolare”, “risultato transitorio di aggregazioni chimiche”, secondo “una spiegazione
fotomeccanica della semiosi” che vede sotto (ma forse meglio sarebbe dire “in mezzo”) alla molarità
delle immagini un molecolare “pullulare di tratti non significanti del retino differenziabili per forma,
posizione, intensità cromatica”147, che si potrebbero dire “segni-particelle”148


E se la semiotica
come disciplina, molecolarmente, è una pratica semiotica tra tutte le altre, una “attività produttiva”
149, essa si costituisce non tanto come “navigazione”, in cui la scia sparisce dileguandosi dietro
il timone, quanto come “esplorazione di terra”, prassi che scava e lascia tracce del suo passaggio in
quello stesso paesaggio molecolare che attraversa150

passaggio in
quello stesso paesaggio molecolare che attraversa150, secondo una declinazione della semiosi come
traccia che, in quanto percorribilità, è una iterabilità151, e dunque, pienamente, una terzità.

È palese che non è in questione un’opposizione (ancora meno in termini di eventuali paradigmi
semiotici), ma uno sguardo bifronte che segnala asimmetricamente un “ciclo” delle “transizioni che
vanno dal molare al molecolare e viceversa” (Deleuze e Guattari 1972, p. 330). È uno “sguardo
di Giano” (Caprettini 1986) poiché Giano è il “dio delle transizioni e dei passaggi” che “controlla
gli spazi e le dimensioni” (Caprettini 1992: 94). In una prospettiva lotmaniana di semiotica della
cultura Caprettini può così, da un lato e riprendendo Avalle, pensare il racconto molarmente come
una messa in serie binaria di “funzioni narrative” che definiscono il piano espressivo per “valenze
mitiche” che ne costituiscono un piano del contenuto di matrice antropologica (Caprettini 1992,
p. 112), dall’altro descrivere un molecolare figurativo nella fiaba il cui “potenziale narrativo”,
markovianamente, permette, a partire da unità figurative, di “generare stringhe di racconto che si
ripetono” (2000, p. 10). Lo sguardo molecolare riesce allora a vedere la fiaba non solo come forma
chiusa a posteriori da una sanzione (la quale infatti, nota Caprettini, spesso non è espressa -al
contrario di quanto assicurato da alcuni stereotipi teorici) ma soprattutto come meccanismo tensivo
in fieri (Caprettini 2000, p. 14). Peraltro già il Groupe ￿ ha opposto un approccio macrosemiotico a
uno micro, rispettivamente per l’elaborazione di “concepts ad hoc” vs. la definizione di “constructs
a priori” (Groupe ￿ 1992, pp. 47-48).
  “Il campo è insomma un territorio semantizzato del ‘percepito’ e del ‘percepibile’, pieno di
anticipazioni e di retrovisioni sui processi di costituzione di formanti, che dipendono da un interesse
tematico” (Basso 2002, p. 49). Ferraris nota come rispetto al noema, un aisthema sia “sensibile
per la provenienza, non per il modo della registrazione” (Ferraris 1997, p. 49): è quest’ultimo che
qui rileva.


La rilevazione di
una configurazione (in quanto insieme di figure che rilevano del figurale) non permette di parlare
propriamente di forma in senso semiotico.







Nessun commento: