lo studio di simboli e miti, quella che egli riteneva l'essenza primordiale della dialettica storica, ovvero l'alternanza di fasi matriarcali e patriarcali. Si tratta di teorie che egli riprese ed approfondì in altre importanti opere come Il popolo licio (1862), La Saga di Tanaquil (1870), concepita all'origine come risposta all'avversata Storia romana del Mommsen[5], ed infine le Lettere antiquarie (1880-1886). Secondo la sua concezione storiografica, i primordi della storia umana sono caratterizzati da una successione di fasi in cui dapprima sarebbe prevalso l'elemento materno (e con esso i simbolismi della terra e dell'acqua, il diritto naturale, la promiscuità sessuale, la comunità dei beni) e in seguito quello paterno (e con esso i simbolismi celesti, il diritto positivo, la monogamia, la proprietà privata). Il passaggio tra queste fasi sarebbe avvenuto attraverso momenti di potere violento delle donne (amazzonismo), dapprima in quanto ribellione alla supremazia fisica del maschio nei primordi della civiltà e poi come degenerazione della fase classica del matriarcato cosiddetto demetrico, visto da Bachofen come "poesia della storia", ordinato come sarebbe stato secondo le pacifiche ed eque leggi della madre terra[6]. Pur sprovviste di fondamento storico, queste teorie hanno ispirato gran parte delle più valide ricerche moderne su questi temi: la loro rivalutazione è stata operata sia da destra (Ludwig Klages, Alfred Baeumler, Julius Evola)[7], in sintonia del resto con l'ideologia decisamente conservatrice di Bachofen[8], sia da sinistra (innanzitutto Walter Benjamin[9], ma già Karl Marx e Friedrich Engels).
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