Si tratta ancora degli anni in cui una cerchia variegata di intellettuali ebrei tentano, dopo la crisi della cultura dell’assimilazione, di elaborare un pensiero effettivamente alternativo a quello dell’Occidente rappresentato per loro soprattutto dalla cultura tedesca. Ciò che è a nostro avviso illuminante in quello scrittarello, al di là della legittimità filologica dell’interpretazione biblica (ma la mediazione è quella del Talmud), è una distinzione tra giustizia e diritto. Giustizia è infatti la «condizione di un bene che non può essere un possesso» ed è «lo sforzo di fare del mondo il sommo bene»37. La giustizia non è in relazione con la buona volontà del soggetto, non è una virtù, ma fonda una nuova categoria etica. La giustizia alla fin fine può solo essere, come stato del mondo o come stato di Dio. Essa è la categoria di ciò che esiste. Tra diritto e giustizia si spalanca un immenso baratro, analogo a quello tra il possesso, sia pure temporaneo, e la garanzia che il mondo e Dio hanno in quanto sfuggono al possesso.
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