I mores sono dei precetti normativi accettati da tutta la comunità poiché investiti di un'auctoritas (derivante sia dal fatto che venivano seguiti e tramandati dai patres, sia in quanto rivelati dai sacerdoti). Questi mores non solo sono un'usanza investita di sacralità, bensì rappresentano un abbozzo di 'costituzione' per l'intera comunità romana, obbligata a seguirli. Si riteneva infatti, soprattutto in epoca regia, che il rispetto di tali precetti (investiti a un tempo di una valenza sia religiosa, sia magica) proteggesse dalle forze dell'occulto in quanto espressione del soprannaturali e della volontà divina. I mores, come sistema di credenze e di valori universalmente riconosciuti e unanimemente condivisi all'interno della civiltà romana, informavano a sé l'agire pubblico e privato dell'individuo. Non si è certi, ma è possibile che i mores, una volta emanati, avessero la funzione di creare un precedente normativo.
Secondo le opere storico-giuridiche di Gaio e Sesto Pomponio[3] i mores, sono usi e costumi delle tribù che si unirono e formarono Roma[4].
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