La politica deve indicare la direzione di marcia della società e deve farlo attraverso il movimento della società stessa, attraverso il protagonismo delle forze che sono realmente capaci di promuovere lo sviluppo
Occorre, quindi, creare le condizioni perché si affermi nella società un nuovo stato di benessere: questa è la vera misura per valutare la qualità di una politica.
  • Psicologia, che considera l'individuo come soggetto che sa e vuole essere libero e che tende ad attuare questa libertà attraverso il conoscere e lagire.
La grandezza dell'arte ci
I via ad apparire solo al crepuscolo della vita 
Il gusto che hanno educato

Blade Runner

Vogliamo vivere!

La storia di Blade Runner è quella di un testo fisso e mobile, impiantato, come i ricordi dei replicanti protagonisti, nel corpo degli anni ottanta e, allo stesso tempo, risoluto ad assicurarsi una vita più lunga. Ridley Scott, seguendo la duplice spinta delle sue aspirazioni e del mercato, continua a riprenderlo e cambiarlo: dal Director’s Cut del 1992 al Final Cut del 2007, ha trasformato un film sui replicanti in un film replicante, dotato della stessa natura dei suoi personaggi e desideroso, come loro, di infrangere le barriere della mortalità. Così il testo si è espanso a raggiera, coinvolgendo una quantità infinita di internauti che, novelli filologi, discutono sulle varianti, sui dettagli, sulla voice over della prima versione o sulle immagini oniriche di Deckard (il blade runner) nella seconda, sull’happy ending del 1982 o sul finale ambiguo del 1992 e 2007. Inserirsi in questi dibattiti è come entrare dentro un romanzo, il cui fascino sta proprio nella continua tessitura, nell’apertura delle interpretazioni possibili e in una discorsività che pare priva di sponde.




Il testo “revenant” - in senso letterale - di Blade Runner ha prodotto a sua volta numerosi replicanti nella galassia mediale: fumetti, narrazioni, videogiochi, serie televisive. Le caratteristiche che già nel 1982 definivano la sua emblematica postmodernità - teorizzata proprio negli stessi anni da Lyotard e da Jameson - ne hanno inciso profondamente la vita che ora più che mai è affidata a tutti i fenomeni definiti dalle particelle “trans”, “inter” “iper” e “cross”, anteposte a parole come testualità, medialità, discorsività. Forse si può parlare anche di inter-temporalità. In che senso?
Ormai mancano solo sette anni al 2019 di Blade Runner. La fantascienza - paradossalmente più di altri generi - è cadenzata sul respiro della contemporaneità: parte dal presente per toccare il passato e proiettarli entrambi in tempi e spazi declinabili solo attraverso sigle ipotetiche. In questo cortocircuito di luoghi e di figure sta, da sempre, la sua capacità di attivare l’immaginario collettivo di ogni epoca.




Blade Runner si situa in un inter-tempo definito dagli slittamenti, dalle impurità, dalle sovrapposizioni, dai ritorni; mette in scena la vertigine delle impalcature temporali, spaziali e psichiche. Come le macchine per volare di Leonardo, ha un sembiante archeologico inciso dalle escrescenze di una modernità selvaggia che si attacca alle cose per divorarle o imprigionarle attraverso la sua natura tentacolare.




Il processo di costruzione seguito materialmente dagli art directors del film è lo stesso della metropoli contemporanea: tende a spettacolarizzare lo squilibrio, a mascherare le superfici, a stratificare anziché distruggere, ad accumulare e contaminare. Così le antiche piramidi incontrano le macchine spaziali e gli edifici ottocenteschi sono sottoposti a un maquillage futuribile; le suggestioni di Frank Lloyd Wright convivono - come ci racconta Ridley Scott - con quelle di Edward Hopper; l’immaginario postatomico si riallaccia, con i suoi miasmi, i suoi fuochi e i suoi fumi, alla fucina di Vulcano; i rimandi a Metropolis di Lang si uniscono alle cupe atmosfere dei fumetti Métal Hurlant; Los Angeles entra in connubio con Hong Kong; gli automi di Hoffmann e i giocattoli di Méliès si danno convegno nella casa del giovane-vecchio Sebastian (l’ingegnere genetico del film) mentre le facciate degli edifici si fanno invadere dagli schermi luminosi prolungando l’estetizzazione elettrica dello spazio urbano già iniziata a fine Ottocento; i “simulacri” di Philip K. Dick si stringono a quelli di Jean Baudrillard; Frankestein si mette a dialogare con Cartesio proiettando l’androide nel mondo del pensiero, fuori dal recinto della bestia automatizzata; il furore apocalittico, che accompagna la fine delle “grandi narrazioni” e delle ideologie, recupera i simboli biblici ed evangelici.




Persa ogni dimensione utopica, la città del futuro porta all’estremo la ricerca del sublime nelle forme degradate e inquinate di una iper-contemporaneità disumanizzata. Ma gli assi su cui si muove sono quelli antichi delle rappresentazioni mitologiche: l’alto e il basso, il vuoto e il pieno, il dentro e il fuori, l’ordine e il caos, il creatore e le creature, il padrone e gli schiavi, gli originali e le copie, la nascita e la morte, l’essere e gli enti, la luce e il buio. Tutte polarità sottoposte da Scott a una radicale secolarizzazione e omologazione, in stretta sintonia con i processi di demitologizzazione sempre più diffusi negli anni ‘80, lontani dalle accensioni cosmologiche e dalle epifanie palingenetiche visibilmente presenti nel testo di Dick Do androids dream of electric sheeps? (1968) dal quale è tratto il film. Se all’Olimpo degli dei si è sostituito il tempio del nuovo capitalismo, le strade sono diventate caotici mercati interraziali, dominati dal pericolo giallo, in un’iconografia della folla, del disordine e della sporcizia che sembra evocare la nostra idea di Medioevo. Gli uomini abitano tra le rovine, nel più totale vuoto spaziale e affettivo che cercano di riempire con presenze sostitutive: giocattoli parlanti o fotografie di una vita remota.




Tutte le ansie di un essere soggiogato e reificato esplodono infine nel problema dell’identità. Il labirinto intricato della città è anche quello del soggetto disorientato, in preda al caos esistenziale e cognitivo. L’inter-tempo si trasforma in inter-essere: commistione di artificiale ed umano, virtuale e naturale. Connesso all’immaginario cyberpunk, il film diventa così, per molti, una sorta di test da situare al crocevia del pensiero filosofico contemporaneo: termini come simulazione, ripetizione e differenza richiamano i percorsi di Deleuze, oltre a quelli di Baudrillard.




Alla macchina che insidia il soggetto nella tradizione fantascientifica, Blade Runner sostituisce, infatti, la seduzione di un’organicità fittizia. La lotta non è più tra la tecnologia e l’uomo, che appaiono perfettamente reversibili nei loro atti di creazione. La macchina costruisce l’uomo, così come l’uomo costruisce la macchina ed entrambi convergono verso un auspicato, ma mai effettivamente raggiunto, processo di conoscenza. Attraverso l’animazione del non-umano si infrange la soglia che separa il vero dal verosimile e il conflitto si sposta tra le superfici e l’interiorità dei corpi, tra quegli elementi indivisibili che sono la materia e il pensiero. Mentre l’esterno dei replicanti è abilmente confezionato in base a un ibrido metastorico di modelli, l’interno è problematico: appare come un vuoto attraversato da schegge estranee; un vuoto terrorizzante dove si può solo galleggiare aspettando la morte; un vuoto in cui si sperimenta la manipolazione dell’Altro, e si cerca di costruire - come suggerisce Žižek in Tarrying with the negative (1993) - il proprio “racconto mitico”, che corrisponde al processo di soggettivizzazione, alla formazione di un’individualità singolare, non del tutto piegata alla serie e al controllo dell’Altro.




I replicanti hanno un archivio identitario, costituito principalmente da fotografie assunte come tracce di un passato che non è mai appartenuto loro. Attraverso la riproposizione ossessiva di queste istantanee il film esplicita anche la sua natura meta-cinematografica. L’immagine non è più un esserci stato, e un esser defunto, come direbbe Barthes, ma un essere altro e un essere altrove. Essa certifica l’artificio e l’inesistenza, al pari dei ricordi innestati nei replicanti senza più gli appigli di una realtà consumata. Si delinea, così, la natura fantasmatica di ogni pensiero, stretto in una morsa di indecidibilità tra vero e falso, tra apparire ed essere, tra materia e spirito. La memoria diventa una finzione, esattamente come i sogni. L’unicorno immaginato dal protagonista, che molti indicano come segnale della sua natura di replicante, è un altro indice di una distesa temporale delimitata unicamente dal vuoto, mentre la storia personale e collettiva sembra per sempre finita.




Accanto alla fotografia, testimonianza di uno sguardo perduto o esperito solo nell’aura inattingibile dell’unicità, Blade Runner mette in scena ossessivamente la presenza dell’occhio: l’organo, più che la funzione. Se, secondo vecchie credenze, nell’occhio si specchia l’anima o la sua mancanza, la pupilla del replicante non può che evocare qualcosa di perturbante o di demoniaco. E, d’altra parte, l’occhio non è soltanto il luogo in cui si manifesta l’interiorità, ma anche quello in cui precipitano, dissolvendosi, le forme tragiche del mondo, come avviene nelle prime inquadrature del film, quando esso assorbe i fuochi e le esplosioni dell’esterno. L’organo della vista appare perciò riflessivo e riflettente, esattamente come l’intero dispositivo di quella “società dello spettacolo” - così qualche decennio prima l’aveva definita Guy Debord - che proprio negli anni ‘80 sembra ormai capillarmente insediarsi non più nell’immaginario individuale del singolo fruitore, ma nel tessuto più intimo di una società civile avviata verso una globalizzazione crescente.




Un altro segnale pregnante a proposito dei dispositivi della visione è dato, nel film, dalla ricerca continua del buio e degli abbagliamenti. Una luce artificiale stringe, taglia come una lama o irradia claustrofobicamente le cose: sembra una luce di sorveglianza, gettata in circolo per far vedere all’improvviso e improvvisamente nascondere. La sua intermittenza impedisce di cogliere chiaramente gli oggetti e i corpi, lasciandoli nella vaghezza e nel turbinio. Il mondo di Blade Runner è come ricaduto in un’origine sconosciuta, in cui le tenebre non si sono ancora del tutto separate dalla luce, mentre la pioggia battente, che bagna tutto il corpo del film, sembra provenire direttamente da una copia sbiadita del Diluvio universale e dare alla realtà l’effige di un acquario.




Da un immaginario mitico, corroso fino in fondo da una indolente tensione centrifuga, discende, d’altra parte, la statura pseudo-eroica del replicante: il personaggio di Roy, in particolare, riassume in sè le figure di Adone, Apollo, Adamo, Lucifero, Cristo e persino dell’”uomo di marmo”, disegnato da Franco Scepi nella locandina del film di Wajda del 1977, con la colomba di pace che esce dalla testa scultorea. Del resto, non sono mancate le letture del film in chiave di lotta di classe. Come tutti i replicanti (a partire dai kolossoí, sui quali ha scritto pagine illuminanti Jean-PierreVernant), Roy non può che officiare il simulacro di un rito, che ha voltato le spalle alla grazia del kairós. È un titano fallimentare che naufraga nel vuoto, primordiale e futuro, in cui è immerso ogni essere vivente. Il suo sacrificio evangelico viene sublimato in una sorta di elogio ormai profanato del poiéin, con un discorso che ambisce a collocarsi nel regno “immortale” della poesia, dove la singolarità, la vanità e il dolore della vita sono metaforizzati dalla “lacrima dispersa nella pioggia”. Le frasi testamentarie dell’eroe riportano in primo piano anche l’esperienza della vista come tramite e traccia essenziale della conoscenza del mondo. Non a caso quando Roy ha ucciso il padre-creatore ha fatto esplodere i suoi occhi.




Nella prospettiva - più volte sottolineata dalla critica - che il replicante non rappresenti l’automa, ma l’essere umano stesso in crisi di identità nella società postindustriale e globale, Blade Runner deposita il suo grido di dolore in una sospensione priva di pathos. L’identità tra gli androidi e gli uomini diventa un semplice dato di fatto, quasi un a priori, a cui non si contrappongono tensioni utopiche, progettuali o ribellistiche. Gli esseri “derivati”, in fin dei conti, non possono concentrarsi né sulla propria origine né sulla loro storia e si dimostrano risucchiati solo dalla propria sopravvivenza e integrazione. L’artificialità non entra in conflitto con l’autenticità, ma anzi ambisce a prendere il suo posto e addirittura a superare i suoi valori consunti e degradati.




A pensarci bene la natura dei replicanti è anche quella delle immagini del film: superfici sottilmente decorate che dissimulano un’assenza di forze e di strati profondi. Blade Runner sembra delineare un’idea di cinema privo di inconscio, totalmente consegnato a una coscienza dell’esteriorità come forma principe dell’esperienza, come percezione confusa di stordimento, di dolore e di estasi. I suoi archivi identitari sono composti di arredi e di figure tratti da un sistema della comunicazione che va sintonizzandosi sull’onda bruciante del presente, in cui la memoria, quando viene alla luce, si presenta priva della diacronia gratificante di un senso, per manifestarsi come pura memoria del cinema e dei suoi generi.




Se nella filosofia di Blade Runner - come scrive Žižek - “il soggetto è per definizione nostalgico”, ovvero è “un soggetto di perdita”, si può dire che nell’economia estetica e concettuale del film la perdita diventi una sorta di vuoto semantico e la nostalgia l’elemento capace di attivare la spettacolarizzazione delle superfici e dei riflessi.

Film sulla nostalgia dell’essere, Blade Runner è diventato, col tempo, esso stesso un oggetto di nostalgia: un corpo vintage, per i suoi replicanti in carne ed ossa e per l’enfasi ancora umanistica di una virtualità che precede l’era del digitale e dell’immateriale.
L'ente è differenza e inizio, l'essere è invece ripetizione e perpetuo riprodursi dell'ente.
Le frasi testamentarie dell’eroe riportano in primo piano anche l’esperienza della vista come tramite e traccia essenziale della conoscenza del mondo.
. Mentre l’esterno dei replicanti è abilmente confezionato in base a un ibrido metastorico di modelli, l’interno è problematico: appare come un vuoto attraversato da schegge estranee; un vuoto terrorizzante dove si può solo galleggiare aspettando la morte; un vuoto in cui si sperimenta la manipolazione dell’Altro, e si cerca di costruire - come suggerisce Žižek in Tarrying with the negative (1993) - il proprio “racconto mitico”, che corrisponde al processo di soggettivizzazione, alla formazione di un’individualità singolare, non del tutto piegata alla serie e al controllo dell’Altro.
La macchina costruisce l’uomo, così come l’uomo costruisce la macchina ed entrambi convergono verso un auspicato, ma mai effettivamente raggiunto, processo di conoscenza.
Ma gli assi su cui si muove sono quelli antichi delle rappresentazioni mitologiche: l’alto e il basso, il vuoto e il pieno, il dentro e il fuori, l’ordine e il caos, il creatore e le creature, il padrone e gli schiavi, gli originali e le copie, la nascita e la morte, l’essere e gli enti, la luce e il buio. Tutte polarità sottoposte da Scott a una radicale secolarizzazione e omologazione, in stretta sintonia con i processi di demitologizzazione sempre più diffusi negli anni ‘80, lontani dalle accensioni cosmologiche e dalle epifanie palingenetiche visibilmente presenti nel testo di Dick Do androids dream of electric sheeps? (1968) dal quale è tratto il film.
Hosamatsu Shin'ichi

Asimmetria
Semplicità 
Austerità ed elevazione spirituale 
Naturalità 
Libera dall'attaccamento 
Quiete 

La perfezione dell'imperfetto
Operare come la natura opera 
Fare opere come se si fossero fatte da sè

Shizen jinen : essere così come si è da se stessi 
Natura si produce da se stessa 
Modo di guardare la realtà 
"Il campo aperto al musicista non è una meschina tastiera di sette note, ma una tastiera incommensurabile, ignota ancora quasi per intero, dove solo qua e là, divisi da folte tenebre inesplorate, alcuni fra i milioni di tasti che la compongono, esprimenti tenerezza, passione, coraggio, serenità, dissimili gli uni dagli altri come un universo da un altro universo, sono stati scoperti da qualche grande artista, che, risvegliando in noi il corrispondente del tema trovato, ci presta il servigio di mostrarci qual ricchezza, qual varietà nasconda, a nostra insaputa, la vasta notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima, da noi scambiata per vuoto e nulla"

 

Baudrillard vs. Matrix


Le Nouvel Observateur intervista Jean Baudrillard a proposito del film Matrix Reloaded.
Dopo avere girato il primo Matrix, i registi del film, i fratelli Wachowski, hanno preso contatto con Jean Baudrillard per chiedergli di fornire la sua consulenza per i sequels in preparazione. Ma il filosofo francese ha rifiutato e spiega il perché in un'intervista al settimanale francese Nouvel Observateur di cui vi offriamo alcuni stralci. "Matrix è un po' il film sulla Matrice che avrebbe potuto fabbricare la Matrice". 
 

Le Nouvel Observateur. Le sue riflessioni sul reale e il virtuale sono alcuni dei riferimenti proposti dai registi di Matrix. Nel primo episodio lei era citato in maniera esplicita e vi si scorgeva anche la copertina di Simulacres et simulation, apparso nel 1981. Questo la sorprende? 

Jean Baudrillard. C'è un equivoco di fondo, ed è la ragione per cui ho esitato finora a parlare di Matrix. Dopo il primo episodio, lo staff dei Wachowski mi aveva contattato per coinvolgermi nei film successivi, ma non c'era neanche da parlarne! (…) Queste persone considerano l'ipotesi del virtuale come un dato di fatto e la trasformano in fantasma visibile. Ma la caratteristica di questo universo, è appunto il fatto che non si possono più utilizzare le categorie del reale per parlarne.

Il collegamento tra questo film e il punto di vista che lei sviluppa per esempio nel Delitto perfetto è però abbastanza sorprendente. Questa evocazione di un "deserto del reale", questi uomini-spettro resi del tutto virtuali, che sono solo la riserva energetica di oggetti pensanti… 

Sì, ma ci sono già stati altri film che trattavano questa crescente indistinzione fra reale e virtuale. Truman ShowMinority Report o anche Mulholland Drive, il capolavoro di David Lynch. Matrix vale soprattutto come sintesi parossistica di tutto questo. Ma il dispositivo qui è più rozzo e non suscita veramente il turbamento. O i personaggi sono nella Matrice, cioè nella digitalizzazione delle cose. O sono radicalmente al di fuori, cioè a Zion, la città di coloro che resistono. In effetti, sarebbe interessante mostrare ciò che accade sul punto di giuntura dei due mondi. Ma quello che è soprattutto imbarazzante in questo film, è che il nuovo problema posto dalla simulazione qui è confuso con quello, molto classico, dell'illusione, che si trovava già in Platone. Il vero equivoco è qui. Il mondo visto come illusione radicale è un problema che si è posto a tutte le grandi culture e che da esse è stato risolto con l'arte e la simbolizzazione. Quello che noialtri abbiamo inventato per sopportare questa sofferenza, è un reale simulato, un universo virtuale da dove è espurgato tutto ciò che c'è di pericoloso, di negativo, e che soppianta ormai il reale, fino a diventarne la soluzione finale. Ora, Matrix è assolutamente all'interno di questo meccanismo! Tutto quanto appartiene all'ordine del sogno, dell'utopia, della fantasia, qui è dato vedere, "realizzato". Siamo nella trasparenza integrale. Matrix, è un po' il film sulla Matrice che avrebbe potuto fabbricare la Matrice. 

E' anche un film che intende denunciare l'alienazione tecnicista e che gioca allo stesso tempo completamente sull'ipnosi esercitata dall'universo digitale e dalle immagini di sintesi…

Quello che è sorprendente in Matrix 2, è che non c'è un barlume d'ironia che permetta allo spettatore di cogliere il lato nascosto di questo gigantesco effetto speciale. Mai una sequenza che abbia quel "punctum" di cui parla Barthes, quel congegno che colpisce e che vi mette di fronte a una vera immagine. E' questo del resto ciò che fa del film un sintomo istruttivo, e il feticcio stesso di questo universo delle tecnologie dello schermo, dove non c'è più distinzione tra il reale e l'immaginario. Matrix è a tal proposito un oggetto stravagante, candido e perverso insieme, in cui non c'è niente né al di qua né al di là. Lo pseudo-Freud che parla alla fine del film, lo dice: a un certo punto, si è dovuto riprogrammare la Matrice per integrare le anomalie nell'equazione. E voi, gli oppositori, ne fate parte. (…) Matrix dà l'immagine di un'onnipotenza monopolistica della situazione attuale, e collabora dunque alla sua rifrazione. In fondo, la sua diffusione su scala mondiale fa parte del film stesso. Qui, bisogna riprendere McLuhan: il medium è il messaggio. Il messaggio di Matrix è la sua stessa diffusione, per contaminazione proliferante e incontrollabile.

E' abbastanza sorprendente vedere anche che ormai tutti i grandi successi del marketing americano, da Matrix all'ultimo album di Madonna, si presentano esplicitamente come critiche del sistema che li promuove in modo massiccio...

E' proprio quello che rende la nostra epoca abbastanza irrespirabile. Il sistema produce una negatività in trompe-l'oeil, che è integrata ai prodotti dello spettacolo come l'obsolescenza è inclusa negli oggetti industriali. E' del resto il modo più efficace di mettere sotto chiave ogni vera alternativa. Non c'è più nessun punto omega esterno su cui appoggiarsi per concepire questo mondo, nessuna funzione antagonista, c'è solo adesione ipnotica. Ma bisogna sapere pure che più un sistema si avvicina alla perfezione, più si avvicina alla irregolarità totale. E' una forma d'ironia oggettiva che fa in modo che nessuna partita sia giocata fino in fondo. L'11 settembre era partecipe di questo, certo. Il terrorismo non è una potenza alternativa, è solo la metafora di quel capovolgimento quasi suicida della potenza occidentale su se stessa. Questo è quello che ho detto allora, e che non è stato accettato. Ma non occorre essere nichilista o pessimista di fronte a questo. Il sistema, il virtuale, la Matrice, tutto questo tornerà forse alle pattumiere della storia. La reversibilità, la sfida, la seduzione sono indistruttibili.

il cinema dei provinciali
ntellettuale accellera e si fa rapido -- ovvero, si allontana sempre più dal discurrere e dal proporzionare della mens e si avvicina all'intuizione im-mediatadel centro. A partire dal gioco, dunque, il Cusano si spinge a trattare prima l'anima e poi il cosmo, fatto anch'esso a immaginedi Dio -- quel Deus Trinitas che, seppur mai tematizzato, sta accompagnando passo passo il nostro cammino.
Dio non è l'anima, nè lo spirito di Dio muove l'uomo, ma è stato creato in te il movimento che muove se stesso (secondo i platonici) e questo movimento è l'anima razionale che muove se stessa e tutte le cose che le appertengono

 Sul piano del finito, per concludere, il movimento della palla si esplica grazie ad una spinta del giocatore attraverso un determinato percorso che essa segue più o meno secondo natura e che è determinato da componenti contingenti ma soprattutto dalla struttura della palla.


Dettagli dinamici me lo dici colori timbri

Non armonico e melodico ma dettagli e microdettagli

Non armonico e melodicoSviluppo dettagli e micro dettagli armonico e me lo dico
Quis hunc nostrum chamæleonta non admiretur? 
Poco gloria dell'uomo nella sua mutabilità. 
Orbita di azione non prefissata 
Trasformarsi e diventare specchio dell'universo 

sensibili manductione
Libertà duttilità conoscenza ed esecuzione del bene non esclusiva astinenza dal male
La guerra è il trauma conseguente possono far uscì il meglio da noi
Stupire con la comprensione del senso della vita, per quello che è, su come reagiamo e su quello che possiamo fare 
Cinema rapidità impressionismo angoscia espressionismo 
Serietà e commerciabilità 
Purezza protestante 
Drayer e il concetto di cucina 
Drayer comprensione della realtà , semplificazione della realtà .
Trump Glamour e voli pindarici
Ferite genio arma umana Erich Vom Stroheim
Musica degenerata: corrotta borghese troppo sofiaticata

Titani

Enciclopedie on line

Titani  Nella mitologia greca, i 6 figli maschi di Urano e di Gaia (Oceano, Ceo, Crio, IperioneGiapetoCrono), della generazione più antica degli dei. Dal più giovane dei T., Crono, derivò la generazione degli Olimpi. In Esiodo i T. sono protagonisti della cosiddetta Titanomachia, che narra la lotta di Zeus e degli altri dei dell’Olimpo contro i T. per la conquista del trono celeste. La lotta si conclude con la sconfitta dei T., fatti precipitare nel Tartaro.

Con il termine titanismo si intende un atteggiamento di ribellione, contro tutte le forze superiori (divinità, destino, natura, potere dispotico ecc.) che dominano l’uomo e ne opprimono gli slanci vitali e la libertà stessa. Rappresenta una tendenza fondamentale dell’anima e della poesia romantiche. Essenzialmente pessimistico, il Romanticismo concepisce l’uomo come perennemente in lotta contro forze prevaricanti: contro i potenti, i ‘tiranni’ (V. Alfieri, F. Schiller); contro la società, con le sue leggi e le sue convenzioni morali (G. Byron); contro la natura stessa dell’uomo, che vincola i suoi slanci vitali (G. Leopardi). A queste forze potenti e avverse i più soccombono senza lottare, gli uomini di eccezione (nel clima preromantico dello Sturm und Drang nasce il concetto e la parola di superuomo) si ribellano, pur consapevoli di essere destinati alla sconfitta. Da ciò la fortuna di alcuni miti poetici (Prometeo, Satana) che percorrono il ciclo romantico presso tutte le letterature.

creavano musica basata sul ritmo ossessivo per curare l'epilessia e per sconfiggere la malinconia di Zeus
eugenetica cinema
Danesi svedesi senso destino è mortalità 
Modello del divismo , lancia fama tragedia
Scienza storia , arte e essenza binocolo
Del tutto accidentale è completamente necessaria
storia particolare contingente poesia universale necessario aristotele
uomo viator infuturare

3 livelli grazia divina
3 donne del cielo
beatrice loda di dio vera testimonianza autentica gloria di dio grazia cooperante
lucia grazia illuminante
maria grazia preveniente anticipa preghiere peccatori

verità storica leggenda enea sesto libro eneide stesso valore profetico sacre scritture

noi diciamo vero intendendo reale , verità per noi sanzione simbolica o iperbole della realtà

dante procedimento inverso realtà una delle tante manifestazioni simboliche grazie alle quali l'uomo intravede e sente verità, che è in eterno presente in dio. ogni opera attraversata dallo spirito di profezia è parola di verità
eneide prefigura avvento nle mondo pace augusto condozione per avvento di cristo appare attraversata spirito di pofezia percorsa dal fiato di dio . realtà documentale no problema , sono reali perchp misteriosamente segnati dalla verità

insemprarsi
inluiarsi
inventrarsi
ficcare l'occhio, nel mistero enigma eterno consiglio
intuire nel divino consiglio

viaggio , fatica dolore

no poema romanzo simbolico allegorico rinascimentale cristiano o islamico
ogni simbolo in dante diventa figura
dogma teologia diventano figure concrete in carne e ossa
figurare allegoria
figurare il simbolo
teologia operante, timbro prassistico linguaggio

lonza lussuria
leone rabbioso superbia
lupa avarizia, firenze cupididigia, curia di roma,

lonza leopardo,

malinconia dell'avaro

oracolo libro di geremia tre bestie pantera leone lupo

libertà liberare e il medio o mezzo
chiamato a liberare
chiamato grazia tre donne
a virgilio, non lui la saggezza la sapienza umana da sola, sapienza umana incanata nel suo castello delle anime nobili dove parlano tra loro e si beano luno dell'altro, non ascoltano i lamenti le domande le preghiere dei poveri mortali, sapienza puramente umana non ama
le donne cor gentile , trasfigurazione in chiave teologica, delle figure di donna , ascoltano e INIZIANO LA EDUCAZIONE
prima navigazione su questo mondo errori peccati e saperi , virgilio non si sarebbe  mosso, il pensiero di perse nulla muove, ma è mosso da amore, amor che muove il cielo e ogni stella
libertà amore liberare
libertà inteso come nomen agentis e non astratto,
concezione non assimilabile a filosofia e teologia medioevale, amore vince tutto amor vicit omnia, vince la stessa divina voluntate, amore prepotenza rispetto alla stessa volontà di dio, dane estemizza da bernardo ( no beatrice teologia operante ) ultima guida amore mistico , più pura mistica di amore

traiano piu che sapiente è vir optimus, non solo profetismo religioso egloca concertito traiano sulla nuova età del puer del figlio, non solo sapienti, ma occorre liberare

libertà amore forza liberante





uomo viator infuturare

3 livelli grazia divina
3 donne del cielo
beatrice loda di dio vera testimonianza autentica gloria di dio grazia cooperante
lucia grazia illuminante
maria grazia preveniente anticipa preghiere peccatori

verità storica leggenda enea sesto libro eneide stesso valore profetico sacre scritture

noi diciamo vero intendendo reale , verità per noi sanzione simbolica o iperbole della realtà

dante procedimento inverso realtà una delle tante manifestazioni simboliche grazie alle quali l'uomo intravede e sente verità, che è in eterno presente in dio. ogni opera attraversata dallo spirito di profezia è parola di verità
eneide prefigura avvento nle mondo pace augusto condozione per avvento di cristo appare attraversata spirito di pofezia percorsa dal fiato di dio . realtà documentale no problema , sono reali perchp misteriosamente segnati dalla verità

insemprarsi
inluiarsi
inventrarsi
ficcare l'occhio, nel mistero enigma eterno consiglio
intuire nel divino consiglio

viaggio , fatica dolore

no poema romanzo simbolico allegorico rinascimentale cristiano o islamico
ogni simbolo in dante diventa figura
dogma teologia diventano figure concrete in carne e ossa
figurare allegoria
figurare il simbolo
teologia operante, timbro prassistico linguaggio

lonza lussuria
leone rabbioso superbia
lupa avarizia, firenze cupididigia, curia di roma,

lonza leopardo,

malinconia dell'avaro

oracolo libro di geremia tre bestie pantera leone lupo

libertà liberare e il medio o mezzo
chiamato a liberare
chiamato grazia tre donne
a virgilio, non lui la saggezza la sapienza umana da sola, sapienza umana incanata nel suo castello delle anime nobili dove parlano tra loro e si beano luno dell'altro, non ascoltano i lamenti le domande le preghiere dei poveri mortali, sapienza puramente umana non ama
le donne cor gentile , trasfigurazione in chiave teologica, delle figure di donna , ascoltano e INIZIANO LA EDUCAZIONE
prima navigazione su questo mondo errori peccati e saperi , virgilio non si sarebbe  mosso, il pensiero di perse nulla muove, ma è mosso da amore, amor che muove il cielo e ogni stella
libertà amore liberare
libertà inteso come nomen agentis e non astratto,
concezione non assimilabile a filosofia e teologia medioevale, amore vince tutto amor vicit omnia, vince la stessa divina voluntate, amore prepotenza rispetto alla stessa volontà di dio, dane estemizza da bernardo ( no beatrice teologia operante ) ultima guida amore mistico , più pura mistica di amore

traiano piu che sapiente è vir optimus, non solo profetismo religioso egloca concertito traiano sulla nuova età del puer del figlio, non solo sapienti, ma occorre liberare

libertà amore forza liberante





distinta dal volgo
vir optimus dio si innamora del vir optimus e la sua volotà vinta dal sentimento e affetto

libertà
amore
forza liberante

infuturare in acvita, vissuta esperienza in pienezza onesta, raggiungere o forma beatitudo gioia beati, prefigurazione

legata al corpo animeperfetta
perfetti anime corpo

teologi bizantini teia aesteis sentire divino solo quando anima e corpo perfettamnte uniti nella contemplazione del nostro fattore

tutto movimento dinamica paradiso teologico, tutto in potenza il discorso di dante

unione senza confusione, giudizio di dio, distinti ma uniti, concordia oppositorum
vedere meglio non annullare

inventrarsi indiarsi

sapere chiede

esperienza dettata da amor ordinatus

ulisse e paolo e francesca amore disordinato

passione che non sa

amore  sapere e conoscere e attraverso essa temperarsi ordinarsi, virgilio

ULISSE AMORE PER IL CONOSCERE E BASTA per fare esperienza delle cose che si dispongono sullorrizzontsale dellimmanenza, da lido a lido da popolo a popli
mai salire ascendere volare fino allo stesso inattingibile

viaggio esperienza e ascesa, ascesi askesis ESERCIZIO è TUTTO LEOPARDI

eliott dante piu riscco shkespeare orrizzontale , tamquam cristus non esset
nessuna idea redenzione e salvezza
visione disincantata

TUTTE LE FIGURE POSSIBILI IMMAGINABILI

grazia aspetto medievale dante

uomini viatores
homo viator
pellegrini

no intelletti archetipi non intuire e ficcare lo sguardo immediatamente nel divino consiglio

capax dei

risveglio

ficcare lo sguardo il corpo nel mistero più alto, divino

da servo a libertate

da condizionatezza a libertà

libertà nomen agentis , libera, è libero colui che libera


i poeti sono i diletti da Dio
de vulgari eloquentia , latino sul volgare

raffigurano meglio il mistero divino
poetico il linguaggio della bibbia

mania poetica di platone

dio che entusiasma entra nel poeta che dice, amore che detta  io che dico
poeta dictator

vs tommaso pesia infima cognitio

grande cantico biblico
linguaggio biblieco
seconda metà 200
secolo dei frati
francescani domenicani e, meno, agostiani
seconda metà 200
secolo dei frati
francescani domenicani e, meno, agostiani
La bellezza può cambiare il mondo? No è il mondo che cambia la bellezza. L'esperienza politica e morale della società adempie a queste cose.
Carol Rama
la sfortuna schiaccia l'uomo o lo tempra
Peggy Guggenheim collezionismo illuminato
effetto
eeeeeeeeee moltiplicatore
ooooooooo unificatore
Uomo xviii secolo interesse in generale all'ordine più che alla storia 
Alla classificazione più che al divenire 
Ai segni più che ai meccanismi di causalità 
l’autorialità del mondo si estende in un soggetto unico che non è più soggetto: cioè esattamente la letteratura. Sarebbe quindi proprio «la grande straniera», la letteratura, a trascinare con sé la filosofia e tutte le altre produzioni discorsive in modo da inglobarle in un grande contenitore senza tempo né spazio all’interno del quale sono valide regole nuove, morbide e per lo più procedurali. E tutto ciò che si dice, si scrive, si annota e si commenta, allora, non sarebbe altro che letteratura.
E allora l’inchiesta archeologica foucaultiana, quella che al contrario del testo letterario mette sullo stesso piano «atti amministrativi, trattati, frammenti di archivi, enciclopedie, opere sapienti, lettere private, giornali» nel gigantesco anonimato del “si” impersonale, potrebbe essere letta a sua volta soltanto come un’ulteriore ipotesi finzionale à la Deleuze e nulla di più, un quadro coerente e dilatato fino alla dismisura in cui l’autorialità del mondo si estende in un soggetto unico che non è più soggetto: cioè esattamente la letteratura. Sarebbe quindi proprio «la grande straniera», la letteratura, a trascinare con sé la filosofia e tutte le altre produzioni discorsive in modo da inglobarle in un grande contenitore senza tempo né spazio all’interno del quale sono valide regole nuove, morbide e per lo più procedurali. E tutto ciò che si dice, si scrive, si annota e si commenta, allora, non sarebbe altro che letteratura.
allorquando si dica che nella filosofia, così come nell’opera di finzione, non c’è nulla di necessitante, non c’è, di nuovo, alcun limite, poiché lo spazio che esse occupano è illimitato, e così il tempo
Siamo di fronte a cinque leggi che, grazie al grado di mondanità crescente al quale rispondono nel loro porsi in sequenza, intendono primariamente affermare una verità, e secondariamente dimostrare che la condotta del libertino, che sottostà a un sistema di equilibri nient’affatto immediato, non ha nulla di atroce, poiché l’atrocità non ha logicamente luogo nei termini che normalmente le si concedono, dato che questi termini non sono più gli stessi con cui si discute nell’ambiente sospeso di un’opera senza tempo, ma sono radicalmente dissimili. In tal modo la condotta del libertino, primo personaggio nelle narrazioni di Sade, risponde alla natura soltanto, essa vive e si dipana in quello spazio (o in quel tempo) smisurato del superamento del limite che le leggi, l’anima e Dio hanno stabilito per l’uomo all’interno di un sistema di lunghissime imposture. E tali lunghissime imposture, va da sé, sono quelle dell’Ancien Régime e del pensiero di quello che fino ad allora era l’Occidente. Proprio in questo ganglio si evidenzia con forza la «centralità strategica» dell’opera di Sade, promotore di una verità di rottura.
Tutte le pagine di Sade, secondo Foucault, sarebbero così tese alla definizione di cinque leggi fondamentali che appaiono nella ripetizione di cui si è detto e nell’alternanza tra le estenuanti scene di sesso crudele e i discorsi assertivi che le preparano o seguono: 1) Dio non esiste; 2) l’anima non esiste; 3) la legge (quindi il crimine) non esiste; 4) la natura non esiste, o meglio esiste sotto l’imperativo della distruzione che la costituisce: essa è dunque essenzialmente malvagia; 5) l’individuo non esiste.
In Sade, in altri termini, la scrittura diventa una pratica allo stesso tempo squisitamente soggettiva ed essenzialmente politica; dalla cattività della prigione o in sua previsione essa rappresenta «il principio dell’eccesso e dell’estremo: colloca l’individuo non soltanto in una singolarità, ma in una solitudine irrimediabile» (pp. 119-120). Così facendo, nell’estremizzazione del superamento del limite, la scrittura rende evanescente, irriconoscibile e infine inesistente il confine che di solito è posto tra la criminalità e il suo contrario, tra l’azione morale e il suo contrario. L’opera di Sade può quindi essere vista come una sorta di spazio dalla misura indefinita che vive e si edifica in ragione del sovvertimento del limite, della sua neutralizzazione, cioè in ragione di un principio che ora acquisisce schietta valenza politica.
pervertire il reale fino ad arrivare al punto da ricadere sulla realtà medesima con le sue proposte sovvertitrici dell’ordine, e da lì ripartire. Ecco che Sade, per supportare questa sua strategia, elimina ogni limite temporale all’interno della sua narrazione: si pensi alla ripetizione estenuante delle stesse situazioni e degli stessi capricci che ha luogo in Justine e Juliette, come Foucault sottolinea nella conferenza; oppure anche alla condensazione estrema, all’ampliamento vertiginoso degli eventi nell’unica giornata deLa filosofia nel boudoir.
Ne viene fuori che l’opera dello scrittore francese non è un manifesto del libertinaggio le cui ragioni stanno nell’analisi, nella promozione e nella diffusione di una sessualità svincolata dalle pastoie della morale e del vivere cortese. Essa rappresenta invece un disegno più esteso che, ponendo il desiderio in relazione con la verità, discute di legge, di Dio, dell’uomo e delle sue convivenze. Quello di Sade appare dunque come un tentativo feroce di definire fratture tramite una leggibile e piuttosto coerente proposta in cui a partire dal detto letterario, prima ancora che da altre azioni concrete, si cerca di dar vita a uno sguardo di ordine filosofico desideroso di posizionarsi finanche sul pianale spinoso dell’etica: la pratica della scrittura, in questo processo, acquisisce un valore decisivo in quanto atto che lo caratterizza a fondamento.
In questo secondo senso la letteratura, come gesto volontario, estremizzando l’“ipotesi finzionale” di Deleuze e portandola dunque a toccare il suo opposto (l’enunciato che somiglia a un sogno ricade concreto sul reale), può arrivare a rappresentare un catalizzatore di lacerazioni discorsive, forse addirittura ponendosi come vettore di soggettivazione, una «strategia […] che passa attraverso una battaglia contro l’egemonia del senso» (p. 12), in linea con il registro guerresco che sovente supporta le dimostrazioni foucaultiane.
oggi vero intendiamo reale , verità per noi sanzione simbolica, verità  iperbole realtà

dante procedimento inverso, realtà una delle tante possibili manifestazioni simboliche grazie alle quali l'uomo può intravedere e sentire la verità, che è in eterno presente in dio, e ogni opera attraversata dallo spirito di profezia è verità
In Platone (Apologia, 41a, Gorgia, 524a) troviamo una tradizione che fa di Radamanto, assieme ad Eaco e Minosse, un giudice dei morti.


Leggere Proust vuol dire, secondo Piperno, trovarsi di fronte




"la forza rabbiosa di uno scrittore che la tradizione ci consegna come una sorta di simulacro di fragilità e deliquescenze morali (...). Invece il vigore muscolare di Proust annienta i suoi esegeti, anche quelli più scaltri, anche i più cinici e nichilisti " (p.161)





Le pagine conclusive della Recherche sono dunque un Inferno i cui dannati sono però inconsapevoli e irresponsabili.
Dell’affare Dreyfus rimasero soltanto due elementi politici, l’odio contro gli ebrei e il disprezzo per la repubblica, il parlamento e l’intero apparato statale, che un grosso settore dell’opinione pubblica continuo a identificare con l’influenza ebraica e il potere delle banche. Il termine “anti-dreyfusard venne usato per indicare tutto ciò che è antirepubblicano, antidemocratico e antisemitico.
L’affare Dreyfus ha il suo eroe non i Dreyfus ma in Clemenceau, e non comincia con l’arresto dell’ufficiale israelita dello stato maggiore, bensì con lo scandalo di Panama.
Parigi è stata giustamente chiamata la “capitale del XIX secolo”, la nation par excellence.
L’antisemitismo del XIX secolo raggiunse comunque il suo culmine in Francia e venne sconfitto perché rimase una questione interna; le sue caratteristiche essenziali riapparvero in Germania e in Austria dopo la prima guerra mondiale.
Disraeli aveva scoperto che il vizio non era altro che il corrispondente riflesso del delitto nella società Se accettata da questa, la malvagità umana si trasforma da atto volitivo in qualità psicologica intrinseca,che l’individuo non può scegliere o respingere perché gli è imposta dall’esterno.
Il Faubourg Saint-Germain ammetteva nella sua cerchia gli invertiti perché si sentiva attratto da quello che giudicava un vizio, la società non dubitava affatto che gli omosessuali fossero dei delinquenti e gli ebrei dei traditori, semplicemente aveva modificato il suo atteggiamento verso il delitto e la slealtà.
La differenza tra il Faubourg Saint-Germain e, che aveva improvvisamente scoperto l’attrattiva degli ebrei e degli invertiti, e la folla che gridava “morte agli ebrei” era che i salotti non si erano ancora apertamente associati al delitto. Da un lato essi non desideravano ancora partecipare direttamente all’uccisione, dall’altra continuavano a manifestare apertamente antipatia per gli ebrei e orrore per gli invertiti. Ciò dava luogo a una situazione equivoca in cui i nuovi venuti non potevano confessare francamente la loro identità, ma neppure nasconderla.
Quanto più l’origine ebraica perdeva il suo significato religioso,nazionale, socio-economico, tanto più l’ebraicità diventava ossessiva; gli ebrei ne erano ossessionati come un difetto o una dote fisica, e attaccati a essa come a un vizio.
Gli ebrei, o gli invertiti, sentivano che avrebbero perso la loro prerogativa in una società di ebrei, o di invertiti, dove l’ebraicità, o l’omosessualità, sarebbe stata la cosa più naturale e più banale del mondo.
La trasformazione del “delitto” del giudaismo nell’elegante “vizio” dell’ebraicità fu estremamente pericolosa. Un delitto era colpito con la punizione, un vizio non poteva che essere estirpato.
L’antisemitismo si mostrò in Europa come un inestricabile miscuglio di motivi politici e di elementi sociali.
"Proust ci conduce attraverso il labirinto delle relazioni ed ambizioni sociali seguendo il filo della capacità d'amore dell'uomo, che viene presentata nella passione perversa di Monsieur de Charlus per Morel, nella disastrosa fedeltà dell'ebreo Swann alla sua cortigiana e nella disperata gelosia dell'autore per Albertine, la personificazione del vizio nel romanzo. Egli non nasconde di considerare i nuovi venuti, gli abitanti di Sodome et Gomorrhe, non solo più umani, ma addirittura più normali" (pag.114)

(...)

"Descrive con abbondanza di particolari come la società, costantemente alla ricerca del bizzarro, dell'esotico, del pericoloso, finalmente identifichi il mostruoso col raffinato e si prepari ad ammettere mostruosità, reali o immaginarie...." (pag.115)

Hannah Arendt "Le origini del totalitarismo", Edizioni di Comunità, Torino, 1999
E c’è una ragione, c’è un principio basilare di governo che è ben compreso dagli analisti seri. In realtà è stato spiegato piuttosto chiaramente dal professore di Scienza del Governo dell’Università di Harvard, lo scienziato politico liberale emerito e consulente governativo Samuel Huntingdon. Ha osservato – lo cito – che “gli architetti del potere negli Stati Uniti devono creare una forza che può essere sentita ma non vista, il potere resta forte quando rimane nel buio. Esposto alla luce del sole comincia a svanire”.

Questo è ciò che gli Stati Uniti fanno fin dalla Dottrina Truman, e sono molte le dimostrazioni di questo principio di base. Bene, Julian Assange ha commesso il grave crimine di esporre il potere alla luce del sole, la cui conseguenza può essere la sua sparizione, se il popolo coglie l’opportunità per diventare cittadino indipendente di una società libera, piuttosto che il soggetto di un Padrone che opera in segreto.

Hume ha osservato che “nulla è più sorprendente che vedere la facilità con cui i molti sono governati dai pochi e l’implicita sottomissione con cui gli uomini rinunciano ai propri sentimenti e alle proprie passioni a favore di quelli dei propri governanti. Quando ci domandiamo con quali mezzi questa meraviglia si possa verificare, troveremo che, dato che la forza è sempre dalla parte dei governati, i governanti non hanno altro che li supporti se non l’opinione. Quindi è solo sulla base dell’opinione che si fonda un governo, e questa massima vale sia per i governi più dispotici e militari, sia per quelli più liberi e popolari”.

Questa è una delle ragioni per cui l’enorme industria delle pubbliche relazioni, la più grande agenzia di propaganda della storia umana, ha raggiunto le sue forme più sviluppate e sofisticate nelle più libere delle società: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Quell’istituzione è sorta circa un secolo fa, quando le èlite sono giunte alla comprensione che il pubblico aveva guadagnato troppa libertà per poter essere controllato con la forza, quindi sarebbe stato necessario controllare atteggiamenti e opinioni. Anche le èlite intellettuali liberali lo hanno capito, quindi, per fare alcune citazioni, insistono affinché “scartiamo i dogmatismi democratici per cui le persone sono i migliori giudici dei propri interessi. Non lo sono. Sono sconosciuti ignoranti e invadenti e quindi devono essere messi al loro posto, naturalmente nel loro interesse”, secondo alcuni prestigiosi intellettuali liberali.


È quasi sempre una innovazione tecnica che mette fine alla ripetizione di stili classici, permette di esplorare nuove forme e scatena l'inizio di un rinnovamento stilistico; ciò è particolarmente vero per l'architettura gotica, lo stile Luigi XV e l'Art nouveau: tre correnti caratterizzate dalle loro linee curve e dall'acquisizione del controllo di un materiale: pietra per la prima, legno per il secondo, metallo per la terza.
L’uomo costruisce lo Stato che ha come fine l’uscita dallo stato di natura per creare condizioni di sicurezza che si esprimono nella salus, nello star bene. Nasce ilCommonwealth, benessere e salute della comunità. L’uomo artificiale, così come quello naturale, può essere conosciuto attraverso il metodo del Nosce te ipso, leggi te stesso. La dottrina di Hobbes, per sua stessa ammissione, non ammette nessun altro genere di dimostrazione.
Lo Stato è l’uomo artificiale creato dall’arte umana a somiglianza dell’uomo naturale. L’arte si distingue in naturale, che deriva da Dio, e artificiale che si esprime nell’imitazione della natura.
Ciò che caratterizza la grande filosofia è proprio il fatto di non arrestarsi di fronte ai dubbi iperbolici. Solo chi ha superato la tentazione del Nulla potrà parlare dell'Essere con un minimo di senso”
Lo Stato è l’uomo artificiale creato dall’arte umana a somiglianza dell’uomo naturale. L’arte si distingue in naturale, che deriva da Dio, e artificiale che si esprime nell’imitazione della natura.
il necessario è il bene? lo chiedo ad Aristotele, lo chiedo all'uomo.
  1. 'Oggi devo inevitabilmente morire. Ne devo pure gemere?' ('Diatribe' I,1,22)
  2. 'Domani devo essere inevitabilmente imprigionato. Dovrò anche lamentarmi?' ('Diatribe' I,1,22)
  3. 'Sono stato condannato all'esilio. Chi mi impedisce di ridere, di essere di buonumore, di essere sereno?' ('Diatribe' I,1,22)
dall’essere come produzione, all’essere come producibile, per dirla con Hardt

' Dal momento che è possibile che le cose stiano nel modo da noi prospettato -del resto, se si respinge questa nostra spiegazione, tutte le cose deriverebbero dalla notte o dal -tutto-insieme' o dal non-essere - si possono ritenere risolte tutte le precedenti aporie; esiste, quindi, qualcosa che è sempre mosso secondo un moto incessante, e questo modo è la conversione circolare (e ciò risulta con evidenza non solo in virtù di un ragionamento, ma in base ai fatti), e di conseguenza si deve ammettere l'eternità del primo cielo. Ed esiste, pertanto, anche qualcosa che provoca il moto del primo cielo. Ma dal momento che ciò che subisce e provoca il movimento è un intermedio, c'è tuttavia un qualcosa che provoca il movimento senza essere mosso, un qualcosa di eterno che è, insieme, sostanza e atto. Un movimento di tal genere è provocato sia da ciò che è oggetto di desiderio sia da ciò che è oggetto di pensiero. Ma questi due oggetti, se vengono intesi nella loro accezione più elevata, sono tra loro identici. Infatti, è oggetto del nostro desiderio il bello nel suo manifestarsi, mentre è oggetto principale della nostra volontà il bello nella sua autenticità; ed è più esatto ritenere che noi desideriamo una cosa perché ci si mostra bella, anziché ritenere che essa ci sembri bella per il solo fatto che noi la desideriamo: principio è, infatti, il pensiero. Ma il pensiero è mosso dall'intellegibile, e una delle due serie di contrari è intellegibile per propria essenza, e il primo posto di questa serie è riservato alla sostanza e, nell'ambito di questa, occupa il primo posto quella sostanza che è semplice ed è in-atto ( e l'uno e il semplice non sono la medesima cosa, dato che il termine uno sta ad indicare che un dato oggetto è misura di qualche altro, mentre il termine semplice sta ad indicare che l'oggetto stesso è in un determinato stato). Ma tanto il bello quanto ciò che per la sua essenza è desiderabile rientrano nella medesima categoria di contrari; e quel che occupa il primo posto della serie è sempre pttimo o analogo all'ottimo. La presenza di una causa finale negli esseri immobili è provata dall'esame diairetico del termine: infatti, la causa finale non è solo in vista di qualcosa, ma è anche proprietà di qualcosa, e, mentre nella prima accezione non può avere esistenza tra gli esseri immobili, nella seconda accezione può esistere tra essi. Ed essa produce il movimento come fa un oggetto amato, mentre le altre cose producono il movimento perché sono esse stesse mosse. E così, una cosa che è mossa può essere anche altrimenti da come essa è, e di conseguenza il primo mobile, quantunque sia in atto, può -limitatamente al luogo, anche se non alla sostanza- trovarsi in uno stato diverso, in virtù del solo fatto che è mosso; ma, poiché c'è qualcosa che produce il movimento senza essere, esso stesso, mosso ed essendo in atto, non è possibile che questo qualcosa sia mai altrimenti da come è. Infatti, il primo dei cangiamenti è il moto locale, e, nell'ambito di questo, ha il primato la conversione circolare, e il moto di quest'ultima è prodotto dal primo motore. Il primo motore, dunque, è un essere necessariamente esistente e, in quanto la sua esistenza è necessaria, si identifica col bene e, sotto questo profilo, è principio. Il termine 'necessario', infatti, si usa nelle tre accezioni seguenti: come ciò che è per violenza perché si oppone all'impulso naturale, come ciò senza di cui non può esistere il bene e, infine, come ciò che non può essere altrimenti da come è, ma solo in un unico e semplice modo. E' questo, dunque, il principio da cui dipendono il cielo e la natura. Ed esso è una vita simile a quella che, per breve tempo, è per noi la migliore. Esso è, invero, eternamente in questo stato (cosa impossibile per noi!), poiché il suo atto è anche piacere (e per questo motivo il ridestarsi, il provare una sensazione, il pensare sono atti molto piacevoli, e in grazia di questi atti anche speranze e ricordi arrecano piacere). E il pensiero nella sua essenza ha per oggetto quel che, nella propria essenza, è ottimo, e quanto più esso è autenticamente se stesso, tanto più ha come suo oggetto quel che è ottimo nel modo più autentico. L'intelletto pensa se stesso per partecipazione dell'intellegibile, giacchè esso stesso diventa intellegibile venendo a contatto col suo oggetto e pensandolo, di modo che l'intelletto e intellegibile vengono ad identificarsi. E', infatti, l'intelletto il ricettacolo dell'intellegibile, ossia dell'essenza, e l'intelletto, nel momento in cui ha il possesso del suo oggetto, è in atto, e di conseguenza l'atto, piuttosto che la potenza, è ciò che di divino l'intelletto sembra possedere, e l'atto della contemplazione è cosa piacevole e buona al massimo grado. Se, pertanto, Dio è sempre in quello stato di beatitudine in cui noi veniamo a trovarci solo talvolta, un tale stato è meraviglioso; e se la beatitudine di Dio è ancora maggiore, essa è oggetto di meraviglia ancora più grande. Ma Dio è, appunto, in tale stato! Ed è sua proprietà la vita, perché l'atto dell'intelletto è vita, ed egli appunto è quest'atto, e l'atto divino, nella sua essenza, è vita ottima ed eterna. Noi affermiamo, allora, che Dio è un essere vivente, sicchè a Dio appartengono vita e durata continua ed eterna: tutto questo, appunto, è Dio! ' (Metafisica, 12.7.1072a19-1072b30)



Può essere intesa in senso dinamico, come nell'idealismo, come manifestazione dell'Assoluto nella storia, che è iniziata (causata) dall'Assoluto e finisce col ritorno all'Assoluto -che quindi è anche la fine e il fine ultimo, l'effetto, oltreché la causa prima-: l'Assoluto non è solo l'inizio e la fine, ma è l'intera storia in ogni suo istante, e nulla di più oltre questa, per cui l'Assoluto solo alla fine è veramente ciò che è, vede sé stesso ed è visto dagli altri compiuto nella storia, ed è così -solo alla fine, quando è propriamente e veramente- causa di sé stesso.
Può essere intesa in senso dinamico, come nell'idealismo, come manifestazione dell'Assoluto nella storia, che è iniziata (causata) dall'Assoluto e finisce col ritorno all'Assoluto -che quindi è anche la fine e il fine ultimo, l'effetto, oltreché la causa prima-:
L'Aquinate pone la causa sui a fondamento ontologico e metafisico della libertà sia di Dio (Liber est causa sui) che dell'uomo (creato a Sua immagine e somiglianza), ma questa libertà si realizza in modo perfetto solamente quando la vita umana vive la vita del Creatore (Deus est ens per se subsistens, causa sui), che è il massimo grado possibile di ogni qualità, anche nella libertà.


Né la virtù si può possedere come un'arte qualunque che, una volta imparata, si possa metter da parte: bisogna ch'essa, per esistere, sia tutta in pratica; poiché un'arte, anche quando non la si eserciti, la si ritiene per le sue nozioni tecniche, e la virtù invece esiste soltanto nell'uso che se ne fa; ed il più alto uso che si possa farne é quello di governare un popolo e di perfezionarsi in quelle nobili pratiche di cui si fa gran parlare dovunque. Ma, un perfezionarsi, intendiamoci, non puramente oratorio sibbene effettivo. Tutto quel che di giusto e di bello dicano i filosofi, non é che l'effetto e la conferma della virtù di coloro che sono stati legislatori dei popoli. Da chi infatti nasce il senso della devozione o la fede religiosa? Da chi emana il diritto delle genti e quello stesso che si chiama diritto civile? Donde nascono la giustizia, la fede, l'equità? Donde il pudore e la continenza e l'odio d'ogni turpitudine e il desiderio della bellezza e della gloria? Donde la fortezza nelle fatiche e nei pericoli? Certo da coloro che, dopo aver ispirato queste virtù agli uomini con le loro dottrine, parte ne confermarono col costume e le altre sancirono con le leggi. Si racconta persino che Xenocrate, filosofo dei più generosi, essendogli stato chiesto in che cosa ai suoi alunni giovassero le sue dottrine, rispondesse: "nel sapere essi fare spontaneamente quel che loro imporrebbero le leggi" . Quel cittadino dunque che sa costringere tutto un popolo con l'impero e la minaccia delle leggi a far quello che i filosofi potrebbero persuadere con le loro dottrine soltanto a pochi alunni, é dunque da preferire a quegli stessi maestri che sanno soltanto dimostrare la teorica bontà delle leggi. Quale mai squisita eloquenza di questi ultimi potrebbe essere anteposta ad un ordine civile ben costituito per istituzioni e per costume? Come infatti io trovo preferibili di gran lunga, per dirla con Ennio, "le città grandi e imperiose" ai villaggi e ai castelli, così trovo preferibile, per la sicura conoscenza delle cose politiche, chi quelle città abbia governato con saggezza e con autorità a chi sia sempre rimasto lontano dai pubblici affari. E, poiché ci entusiasma in particolar modo l'idea d'accrescere le forze del genere umano, e volgiamo ogni nostro pensiero e ogni nostra fatica ad accrescere la sicurezza e il benessere della vita umana, spinti a questo piacere dagli impulsi stessi della nostra natura, procediamo sicuri per quella via che fu sempre cara ai nostri grandi, e non diamo retta a coloro che vorrebbero suonarci la ritirata e far retrocedere quelli che si son già di buon tratto avanzati.






(Cicerone, De re publica I, 2)

Come infatti io trovo preferibili di gran lunga, per dirla con Ennio, "le città grandi e imperiose" ai villaggi e ai castelli, così trovo preferibile, per la sicura conoscenza delle cose politiche, chi quelle città abbia governato con saggezza e con autorità a chi sia sempre rimasto lontano dai pubblici affari. E, poiché ci entusiasma in particolar modo l'idea d'accrescere le forze del genere umano, e volgiamo ogni nostro pensiero e ogni nostra fatica ad accrescere la sicurezza e il benessere della vita umana, spinti a questo piacere dagli impulsi stessi della nostra natura, procediamo sicuri per quella via che fu sempre cara ai nostri grandi, e non diamo retta a coloro che vorrebbero suonarci la ritirata e far retrocedere quelli che si son già di buon tratto avanzati.
Si racconta persino che Xenocrate, filosofo dei più generosi, essendogli stato chiesto in che cosa ai suoi alunni giovassero le sue dottrine, rispondesse: "nel sapere essi fare spontaneamente quel che loro imporrebbero le leggi"
La contemplazione in patria (ossia in Paradiso) sarà infatti per essentiam, quindi perfetta; mentre in via (durante la vita terrena) è possibile unicamente una c. per creaturas (mediante le cose create) imperfetta. Si determina così una gerarchia: al grado più basso si trova la c. della verità, quindi la c. di Dio in aenigmate (in modo enigmatico), poi il raptus di Paolo, quindi la visione in patria. La distinzione tra vita attiva e vita contemplativa costituisce un secondo polo di riflessione che, tra 12° e 13° secolo, si sviluppa sia all’interno del monachesimo certosino sia nel pensiero teologico. I certosini distinguono quattro tappe della vita contemplativa: lettura, meditazione, preghiera e c.; anche qui però si presenta il problema del ruolo dell’intelletto: la c. può infatti essere intesa come unione intellettuale oppure, al contrario, come una sospensione dell’attività intellettiva per poter essere colmati da Dio. I teologi tendono invece a definire la vita contemplativa in contrapposizione a quella attiva. Guglielmo di Auxerre collega quest’ultima ai doni di intelletto e sapienza, e la ritiene superiore a quella attiva perché più prossima agli angeli e quindi a Dio. Secondo Rolando di Cremona la vita attiva si manifesta in una azione visibile ed esteriore regolata dalla ratio, la contemplativa in una interiore e intellettiva. La vita contemplativa è superiore perché orientata alla visione di Dio, ma deve anche indirizzare la vita attiva e ne costituisce dunque il presupposto, oltre che il fine. Nel passaggio alla modernità tale correlazione diventa meno stringente in quanto l’attività si collega strettamente all’aspetto produttivo. Rovesciando la prospettiva antica e medievale ove la vita dell’uomo si definisce in funzione della c., nella modernità la verità può essere raggiunta solo attraverso l’azione, secondo una conoscenza che si modella sul ‘fare’. In tale contesto, la tematica della c. sembra rimanere appannaggio della mistica.
La struttura delle cattedrali rispecchia le leggi divine esemplificate dalle forme platoniche e dalle armonie orfico-pitagoriche: idee perfette, eterne, incorruttibili esistenti in un universo soprasensibile e quindi non percepibile dall’essere umano in condizioni normali, prima della morte. Nel mondo terreno, la matematica, la musica, la luce (i colori) e l’architettura sono emanazioni di questa dimensione iperuranica.
L’esoterismo delle cattedrali medievali è stato già indagato da insigni studiosi come Otto von Simson e Paul Frankl, due storici dell’arte tedeschi naturalizzati americani, e da Emile Mâle, storico dell’arte francese e membro dell’Académie Française, tutti e tre affascinati dall’influenza dell’ermetismo neo-pitagorico e neo-platonico sulle armonie architettoniche di quei magnifici edifici, inestricabilmente legata all’idea di un ordine morale ideale
discorso definire nominare dare statuto alloggetto
farlo APPARIRE renderlo descrivibile