In Sade, in altri termini, la scrittura diventa una pratica allo stesso tempo squisitamente soggettiva ed essenzialmente politica; dalla cattività della prigione o in sua previsione essa rappresenta «il principio dell’eccesso e dell’estremo: colloca l’individuo non soltanto in una singolarità, ma in una solitudine irrimediabile» (pp. 119-120). Così facendo, nell’estremizzazione del superamento del limite, la scrittura rende evanescente, irriconoscibile e infine inesistente il confine che di solito è posto tra la criminalità e il suo contrario, tra l’azione morale e il suo contrario. L’opera di Sade può quindi essere vista come una sorta di spazio dalla misura indefinita che vive e si edifica in ragione del sovvertimento del limite, della sua neutralizzazione, cioè in ragione di un principio che ora acquisisce schietta valenza politica.

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