Siamo di fronte a cinque leggi che, grazie al grado di mondanità crescente al quale rispondono nel loro porsi in sequenza, intendono primariamente affermare una verità, e secondariamente dimostrare che la condotta del libertino, che sottostà a un sistema di equilibri nient’affatto immediato, non ha nulla di atroce, poiché l’atrocità non ha logicamente luogo nei termini che normalmente le si concedono, dato che questi termini non sono più gli stessi con cui si discute nell’ambiente sospeso di un’opera senza tempo, ma sono radicalmente dissimili. In tal modo la condotta del libertino, primo personaggio nelle narrazioni di Sade, risponde alla natura soltanto, essa vive e si dipana in quello spazio (o in quel tempo) smisurato del superamento del limite che le leggi, l’anima e Dio hanno stabilito per l’uomo all’interno di un sistema di lunghissime imposture. E tali lunghissime imposture, va da sé, sono quelle dell’Ancien Régime e del pensiero di quello che fino ad allora era l’Occidente. Proprio in questo ganglio si evidenzia con forza la «centralità strategica» dell’opera di Sade, promotore di una verità di rottura.
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