Su tutti e tre i livelli che ho distinto schematicamente possiamo tracciare le storie di lotta e di resistenza (centralmente organizzate o autonome che siano), producendo interruzioni e modificazioni all’interno dello “sviluppo” capitalistico. Tutto questo ci conduce, come ha sostenuto ad esempio John Chalcraft, alla necessità di “pluralizzare il capitale”. Concordo con lui sul fatto che i “molteplici regimi di produzione e sfruttamento” che compongo il capitalismo storico e quello contemporaneo debbano essere indagati al di là di ogni pregiudizio “economicistico”, dal momento che la loro costruzione si basa “non solo sulla forma merce ma anche sulla guerra, lo stato, l’edificazione di imperi, la lotta politica, la cittadinanza, le relazioni capitale/lavoro, la sindacalizzazione, il razzismo, la questione di genere e così via”[44]. Ciononostante, questa enfasi sull’elemento di molteplicità e pluralità non dovrebbe spingerci a sottovalutare o addirittura a eludere il momento di unità che inerisce essenzialmente tanto al concetto quanto alla logica del capitale, ciò a cui Gilles Deleuze e Felix Guattari si riferiscono col termine “assiomatica”[45]. Essa si rifà tanto alla necessità di tradurre l’attività umana nel linguaggio del valore attraverso la “griglia ermeneutica” del lavoro astratto, quanto all’insieme di relazioni sociali che emergono da questa necessità.
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