Ciò che mi interessa in questo contesto è il fatto che il concetto di forza lavoro riassume in sésia il processo di astrazione dispiegato dal capitale nel processo di mercificazione sia la molteplicità intrinseca della “vita”. In un certo modo la tensione e lo scontro tra lavoro astratto e lavoro vivo viene re-inscritta nel concetto di forza lavoro, che è già “abitato” dal capitale tramite la forma merce. Ora però, coma ha sottolineato in modo particolare Paolo Virno nella sua analisi della natura “biopolitica” della forza lavoro, la molteplicità della vita si presenta come potenza, distinta dal lavoro effettivo[51]. “Per forza‑lavoro o capacità di lavoro”, scrive Marx, “intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente di un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere”[52]. La distinzione tra forza lavoro e lavoro è cruciale per la fondazione della teoria marxiana dello sfruttamento, dal momento che essa getta luce sullo scarto tra il contratto, nel quale la forza lavoro è mercificata e scambiata con un salario, e l’“esercizio” e il “consumo” del suo valore d’uso nel processo lavorativo (nel “segreto laboratorio della produzione”), laddove è prodotto un valore maggiore di quello che viene remunerato per mezzo del salario[53].
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