Vedersi non gedersi doppio
Partire dallestrenoverso il.centro in modo labirintico
La.differenza fra luomo di talento e il genio cpn le.sue irinni
Illuminato
Rapporto con l'altro dialogo
Di f fere.za e ripetizione
Restauro castelvecchio
Il modestto il lirico
Logica superiore conquista forma
Qualitavdiegnj
La nozione di “ricettacolo” è invece quella di una realtà sempre identica che accoglie le immagini delle realtà eterne.
Essa è un contenitore, una struttura amorfa che assume le forme che ospita, ma mai in via definita.
Se infatti esso avesse una forma simile a qualche altra forma, questo sarebbe un limite per le forme con caratteristiche opposte a quella.
Esso risulta partecipe in modo assai complesso dell’intelleggibile, e essendo amorfo non può nemmeno essere colto dai sensi, da qui il fatto che è invisibile.
Se l’essere è padre e il generato-copia è figlio, il ricettacolo è madre.
Il ricettacolo è però anche spazialità: mentre l’essere è immobile e non ammette altra cosa all’infuori di se stesso; e il generato è sempre in continuo movimento a causa della trasformazione delle forme; il ricettacolo, immobile e amorfo, è la sede delle cose generate, che sono le uniche che occupano spazio.
Esso quindi, non essendo né essere né generato, non si può cogliere né con Intelligenza né coi sensi, ma con un “ragionamento spurio”, intendendo con questa espressione che lo si può cogliere come elemento necessario alla realizzazione della forma sensibile.
Come nel Decameron, anche nelle opere di William Shakespeare si crea una chiara opposizione tra illocus amoenus e la sfera urbana. Il mondo della città, visto anche nella sua componente negativa, è fra l'altro dominato dall'elemento maschile, mentre nel locus amoenus shakespeariano o boccaccesco non è raro che accada il contrario. Il lettore di Shakespeare verrà peraltro proiettato in un mondo dove il comportamento sessuale viene liberato in quanto non è più soggetto alle norme sociali urbane.
Il locus amoenus riemerse con particolare chiarezza nell’arte pastorale del XVIII secolo, dove la vita dei pastori era concepita come un mondo di beatitudine. Più che come persone lavoratrici, i pastori venivano considerati come una parte della natura in cui erano immersi.
Un locus amoenus intaccato da una visione post-romantica è nel Locus Solus di Raymond Roussel (1914), in cui l'aspetto grottesco ha il sopravvento.
Celebri citazioni di questo tòpos ricorrono anche
“puerile incoscienza del sacrificio”[8], dell’ordine negativo, ma pur sempre ordine, che esso stabilisce.
Dall evento appare la verità della variazione l oggettile uscito dal calco spaziale , l'essere dell essente nello svelamento velamento o presenza ritrarsi dalla spaziatura della contrada gegend radura aletheia apertura della cosmogenesi pre ontologica adimensionale dal quale ogni essere perviene a noi nella piega ripegantesi interna alla monade del punto divista e effrazionandola verso una uberwindung della metafisica per un superoggetto
– sono delle proiezioni – è chiamato daimatematici di quest’epoca
il geometrale
. Ma, vedete, al limite,
1.
il geometrale è
colto solo da Dio
.
2.
Noi,
con i nostri punti di vista finiti, cogliamo
•
solo delle proiezioni, e anche
•
la connessione di una proiezione con un’altra
.L’
oggetto
è
•
la
connessione delle proiezioni
, o se preferite, se volete unlinguaggio più moderno,
•
la
sintesi dei profili
.
••
Ogni oggetto è di profilo. Esistono solo profili
.
•
Percepire è fare una sintesi dei profili
.
Il piano di immanenza è l’orizzonte orientante il pensiero, l’apertura del pensiero[9]. Questa pre-disposizione orientante lo sguardo concettuale, a sua volta, non è un concetto, quindi non può essere oggetto di produzione discorsiva positiva ma soltanto metaforica, per accenni, esperienze, intuizioni.
Sia l'intuizione che la sensazione sono fenomeni cognitivi che fanno riferimento a una datità non coscientemente mediata. La sensazione ha però maggiori caratteristiche oggettuali, è una sorta di riconoscimento immediato dell'oggetto concreto che si dà come tale al soggetto. Vedo che questa è una penna, non lo intuisco. Nell'intuizione invece ciò che appare rimanda nel suo darsi immediato a un'elaborazione soggettiva mentale inconscia che trascende il puro dato sensoriale.
Quanto affermato inscrive il “non detto”, entro i “giochi teoretici” del linguaggio filosofico. In altre parole, non esiste un procedere “puro” del pensiero che risulta essere sempre il frutto di una certa “inclinazione”, di una certa intuizione, che mai si da’ al pensiero stesso essendone la pre-condizione.
Consideriamo, con Lacan, questa spinta, il “resto” di quell’estasi iniziale durante la quale si è smarrita l’Assenza. Le modalità attraverso la quale si cercherà di rimediare, illusoriamente, a questa “perdita” determineranno lo strutturarsi del “Piano” e il tentativo successivo di raggiungere, desiderando, l’Oggetto mitico attraverso il rapporto ontologico.
Detto ciò si comprenderà quanto la filosofia, quale “scienza dei fondamenti” abbia in sé il germe della propria destrutturazione trasformante. Nuove metafisiche, frutto di ibridazioni necessarie, attendono di essere “scritte”.
Il Piano è il luogo dove il pensiero ha origine, appartiene alla dimensione dell’extra-essere poiché riguarda l’orizzonte di possibilità del rapporto teoretico “soggetto-oggetto”. Quanto detto dovrebbe rendere chiaro che nessun attività cognitiva è in grado di produrre semantiche discorsive positive sul Piano che, secondo un gioco di “scatole cinesi”, contiene ciò che dovrebbe “significarlo”. Per tal motivo, in Che cos’è la filosofia, Deleuze e Guattari, diranno che un pensiero privo di immagini è una illusione ma anche che, in definitiva, nessun pensiero può produrre un concetto capace di “dire” ed esaurire il “Piano”. Il procedere cognitivo può soltanto, attraverso un’opera di continua approssimazione, avvicinarsi verso quel “centro” che risulterà sempre “differito”.
Piano consistenza L’immagine è quel “non-detto” che indica cosa significa pensare, come si deve pensare, come si deve costruire una semantica. Per certi versi è il “Principio di realtà cognitiva” di Freudiana memoria. Il filosofo è quel cattivo maestro” che lavora per decostruire in continuazione l’immagine del pensiero considerata “unica e sola”.
In principio c’è la “beanza dell’inconscio” Uno-Tutto, irrappresentabile, perché non facente parte né della dimensione dell’Essere né di quella del Non-Essere[1], bensì di quella dell’oltre-Limite pre-ontologico.
Nulla pre bigbeng
La causa inconscia è una funzione dell’impossibile
La dépense funzionale delle classi ricche. Con la nascita della società borghese – del capitalismo – si mette all’opera una rivoluzione copernicana. Il sistema feudale, basato sulla nobiltà, è basato sul principio della perdita. Il sistema borghese è basato sulla produzione, su funzionalità, decoro e pudore. Nel modello feudale, sia a livello popolare che a livello aristocratico, tutti i valori sono legati ad una concezione della dépense. Era un popolo sostanzialmente anarchico.
La società borghese effettua il passaggio dal principio del dono al principio dello scambio. Essa è fondata sul primato dell’individuo: scioglimento del legame sociale che è implicito nel dono. Il borghese esce dal circolo del dono e si libera dal legame sociale. Il figliol prodigo chiede al padre ciò che gli è dovuto per uscire dal legame sociale, che era istituito dal dono.
L’odio verso la dépense è la ragion d’essere e la giustificazione della borghesia. E della sua ipocrisia poiché, per mostrare il potere, anche il borghese dovrà ricorrere al principio della perdita; ma egli lo fa di nascosto. Il borghese fugge dall’obbligo del dono.
Mauss, nel 1924-25, in Essay sur le don studia forme primitive di scambio → lo scambio originario non è uno scambio, non è baratto. Il baratto giustificherebbe la continuità con la logica dello scambio dell’economia politica. Ma, in realtà, lo scambio originario era dono. Eg gli indiani occidentali del nord: potlàk, dono di rivalità, festa nella quale clan si incontrano per sfidarsi attraverso doni reciproci che mostrano la potenza. La quantità dello spreco, possibile grazie all’accumulazione svoltasi durante la produzione, mostra la potenza. Il dono è dono del legame sociale. Non c’è dono senza contro-dono ma, esso, non è restituito per pareggiare i conti, altrimenti si tratterebbe di scambio. Il dono funziona in modo inflazionistico. Il dono celebra il legame e continua ad intensificarlo. Il dono è usura. Se non si riesce a manifestare il contro-dono, il primo vince ed io perdo. Manca equilibrio; c’è un godimento che porta alla distruzione della sostanza sociale.
antropologia [Mauss: spinta del dono]: il sacrificio. Le cose che l’uomo chiama sacre sono costituite da un operazione di perdita. Il cristianesimo porta il principio del sacrificio ai suoi estremi, mettendo al sacrificio Dio stesso. Il processo di incarnazione è processo di svuotamento della sostanza divina.
Altro esempio sono i giochi, oppure le produzioni artistiche. La parola poesia è sinonimo di dépense, perché significa creazione per mezzo della perdita. Il suo senso è, dunque, vicino a quello di sacrificio.
Bataille: “L’attività umana non è interamente riducibile a processi di produzione e di conservazione, e il consumo deve essere diviso in due parti distinte. La prima, riducibile, è rappresentata dall’uso del minimo necessario, agli individui di una data società (…). La seconda parte è rappresentata dalle spese cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, l’attività sessuale perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante attività che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se stesse.”
Godimento è il rapporto con la cosa, con il sole di Van Gogh. La civiltà è la barratura della cosa. La civiltà è differimento della pulsione che ci potrebbe bruciare. “Il significante sbarra il godimento. L’ordine simbolico ha come fine la barratura (schermatura) del rapporto con la cosa”. La tentazione dell’individuo è bruciarsi con la cosa. La società è interdizione di questa tentazione.
E’ un sole nero; è la luce che attrae e uccide le falene [rif. Icaro]. Eg: Van Gogh si strappò l’orecchio per mandarlo ad una puttana perché il sole gliel’aveva detto. E’ mutilazione sacrificale. La mutilazione sacrificale non è psicopatologia; in molte culture la mutilazione è correlata ai riti iniziatici.
«Ora, tutto il testo di Mallarmé è organizzato in modo tale che nei suoi punti più forti il senso resti indecidibile; ne consegue che il significante non si lascia più attraversare, ma rimane, resiste, esiste e si fa notare»39. All’effetto di indecidibilità contribuisce anche la costruzione della frase mallarmeana: ad esempio, «la sintassi della breve parola or è talvolta calcolata in modo tale da vietarci di decidere se si tratta del nome (sostanza metallica), della congiunzione logica o dell’avverbio di tempo. Sono stati rilevati altri giochi del genere: continue può valere, nello stesso enunciato, come verbo o come aggettivo […]. Altrove, offre agisce come un verbo e/o come un nome, parjure come un verbo e/o come un nome, e/o come un aggettivo»40.
Qui non si può nemmeno più parlare di un evento, dell’evento di un simile testo; non si può più interrogarne il senso, pena il ricadere al di qua di esso, nella rete dei valori che ha praticamente rimesso in questione»36. Tutto ciò pare decisamente eccessivo, benché riferito a un poeta senza dubbio audace. Il filosofo, però, attenua l’iperbole spiegando che, «se Mallarmé segnasse una rottura, questa avrebbe ancora la forma della ripetizione; rivelerebbe per esempio l’essenza della letteratura passata in quanto tale»37. Il fatto che esista un’impossibilità di separare nettamente, nell’opera mallarmeana, la componente di rottura da quella di ripetizione provoca, secondo Derrida, una «crisi della critica […], che avrà sempre voluto, tramite un giudizio, decidere (krinein) del valore e del senso, discernere tra ciò che è e ciò che non è, tra ciò che vale e ciò che non vale, tra il vero e il falso, il bello e il brutto, ogni significato e il suo contrario»38
Il caos fugge alla partizione metafisica essere-nulla, finito-infinito: è il fra i due, il non numerabile, eccedente il calcolo; «come dice La piega, il caos è un puro Many, una pura “diversità disgiuntiva”. Il caos non è Uno, bensì la differenza incalcolabile tra un evento e l’altro, o lo “iato” (Che cos’è la filosofia?), la divergenza tra le singolarità».19
il caos, proprio perché “caotizzante”, proprio in virtù di questo suo potenziale trasformativo che non soggiace a nessuna legge – neppure alla “legge dell’assenza di legge” – crea spontaneamente isole di regolarità nel fluire della creazionedisfacimento continuo delle forme. Il caos convive sempre con il cosmo; Deleuze traccerebbe, in una felice espressione che Davide Tarizzo formula nella sua introduzione italiana a La piega, una sorta di “metafisica del caos”, rinominandola nella filosofia dell’evento; «Un evento è una smagliatura del Mondo. Un evento, se è davvero tale, è un caso, è qualcosa di totalmente imprevedibile e totalmente accidentale, che smaglia ogni rete, ogni trama di necessità che tiene assieme un Mondo».18
Non esistono soluzioni nelcontinuum della conoscenza umana; ogni conoscenza è collegata a tutte le altre attraverso complesse mediazioni e intersezioni, e ogni cambiamento in un ambito conoscitivo determina cambiamenti più o meno cospicui in tutti gli altri ambiti. Le idee filosofiche determinano l'evoluzione della scienza e sono da essa determinate.
il linguaggio che utilizziamo e gli strumenti impiegati per gli esperimenti non sono adeguati alle dimensioni microscopiche. Ogni misurazione determina quindi un salto discontinuo nell'evoluzione del sistema. Questo salto viene oggi chiamato 'riduzione', o 'collasso', del pacchetto d'onde, e il problema di spiegarne la discontinuità rispetto all'evoluzione della funzione d'onda è noto come 'problema della misura'.
Il caos convive sempre con il cosmo; Deleuze traccerebbe, in una felice espressione che Davide Tarizzo formula nella sua introduzione italiana a La piega, una sorta di “metafisica del caos”, rinominandola nella filosofia dell’evento; «Un evento è una smagliatura del Mondo. Un evento, se è davvero tale, è un caso, è qualcosa di totalmente imprevedibile e totalmente accidentale, che smaglia ogni rete, ogni trama di necessità che tiene assieme un Mondo».18
Nietzsche e Mallarmé ci hanno offerto la rivelazione di un Pensiero- mondo che effettua un lancio di dadi. Ma per loro si tratta di un mondo senza principi, di un mondo che ha perso tutti i suoi principi: per questo il lancio di dadi si configura infine come la potenza di affermare il Caso, di pensare tutto il caso, che non è affatto un principio, bensì l’assenza di ogni principio. Il loro lancio di dadi restituisce all’assenza e al niente ciò che scaturisce dal caso, ciò che ha la presunzione di sfuggirvi e vorrebbe limitarlo per principio. [...] Il Niente piuttosto che il qualcosa. Pensare senza principi, in assenza di Dio, in assenza dell’uomo stesso, diventa il compito rischioso di un bambino-giocatore che spodesta il vecchio Maestro del gioco e fa entrare gli incompossibili nello stesso mondo dilaniato (il tavolo va in pezzi). Ma cosa è capitato, in questa lunga storia del “nichilismo”, prima che il mondo perdesse i suoi principi? [...] la crisi e il crollo di ogni ragione teologica
Centrale anche il passo che precede questo (p. 50); «Quando Heidegger evoca la Zwiefalt come il differente della differenza, vuol dire innanzitutto che la differenziazione non rinvia ad un indifferenziato precostituito, ma a una differenza che non smette di spiegarsi e ripiegarsi su ciascuno dei due lati. Non si spiega l’uno se non ripiegando l’altro, in una coestensività dello svelamento e del velamento dell’essere, della presenza e del ritrarsi dell’essente». Questo richiamo ad Heidegger ci sarà funzionale in seguito per cogliere lo statuto della spaziatura della contrada (Gegend), dell’Aperto e della libera vastità in relazione alla lettura derridiana del frammezzo mallarmeano
L’inflessione della materia non è altro che una virtualità che si attualizza esclusivamente nell’anima che la comprende; l’anima “senza finestre” della teoria leibniziana, spiega Deleuze, è la sfera di quei ripiegamenti interiori che permettono la rappresentazione del mondo e i ripiegamenti esteriori della materia.
il concetto dioggettività (Universo) è stato sostituito da Maturana con quello di “Oggettività tra parentesi” (Multiversum), termine che indica come la "realtà" sia un percorso cognitivo (universo) ritagliato all’interno di altri percorsi cognitivi possibili (multiversi), che spiega la prassi dell'osservatore e pone dunque tra parentesi la pretesa di un'oggettività da descrivere indipendentemente da chi la osserva
Una società umana nella quale vedere tutti gli esseri umani equivalenti a se stessi e amarli, può funzionare senza che si domandi loro una rinunzia di individualità e autonomia maggiore di quanto uno possa accettare per se stesso mentre la integra come osservatore essa è un prodotto dell arte umana, cioè, una società artificiale che ammette cambiamento ed accetta ogni essere umano come indispensabile . Una tale società é necessariamente una società non-gerarchica per la quale tutte le relazioni di ordine sono costitutivamente transitorie e circostanziali alla creazione di relazioni che continuamente negano la istituzionalizzazione dell abuso umano. Una tale società è nella sua essenza una società anarchica, una società fatta per e da osservatori che non rinunzierebbero alla loro condizione in quanto loro condizione di osservatori in quanto loro richiedono solamente libertà sociale e mutuo rispetto.
Humberto R. Maturana
Introduzione a "Autopoiesi e cognizione "