Ciò che Aristotele chiama «potenza», secondo Bergson, non può esaurirsi completamente nell'«atto». Se ciò accadesse, la realtà perderebbe quella intima pulsione che la sollecita incessantemente a divenire, a trasformarsi. Se la «potenza» aristotelica si risolvesse interamente nella realizzazione dell'«atto», la realtà sarebbe condannata a un eterno e gelido presente. Ci ritroveremmo pertanto a vivere in un mondo privo di movimento. In una realtà dove il povero Achille, conte abbiamo appreso dai manuali del liceo, non riuscirebbe mai a raggiungere la simpatica tartaruga, secondo l'ammonizione di Zenone.

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