Ma la morte di per sé non "libera" l'anima immortale. Essa, per le dottrine orfiche, è destinata a rinascere:
« Dato che anche la teologia orfica ci insegna queste cose. O non è forse vero che pure Orfeo tramanda chiaramente simili dottrine, quando, dopo il mitico castigo dei Titani e la nascita da quelli di questi esseri mortali, dice per prima cosa che le anime passano da una vita all'altra periodicamente e che spesso entrano nei corpi umani, ora in uno ora in un altro »
(fr. 224. Proclo Commento alla Repubblica di Platone II, 338 in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p. 515)
Tale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una "vita pura", la "vita orfica" (bios orphikos Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, tra cui l'astinenza dalle uccisioni.
Le caratteristiche dell'antropologia orfica possono dunque essere riassunte in due affermazioni:
l'uomo, nella sua attuale costituzione, è frutto di un evento storico pregresso: l'uccisione del dio Dioniso (l'essere umano, dunque, è un "epifenomeno", è la conseguenza di un evento critico);[49]
l'uomo, nella sua esistenza e consistenza, è caratterizzato da almeno un elemento divino: nell'essere umano convivono un aspetto "dionisiaco" (lo spirito, l'anima) e un aspetto "titanico" (la materia, il corpo).
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento