Come è già stato detto, il primo studio critico sulla tragedia è contenuto nella Poetica di Aristotele. In esso troviamo elementi fondamentali per la comprensione del teatro tragico, in primis i concetti di mimesi (μίμησις, dal verbo μιμεῖσθαι, imitare) e di catarsi(κάθαρσις, purificazione)[82]. Scrive l'autore nella Poetica: "La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta [...] la quale per mezzo della pietà e della paura provoca la purificazione da queste passioni"[83]. In altre parole, gli eventi terribili che si susseguono sulla scena fanno sì che lo spettatore si immedesimi negli impulsi che li generano, da una parte empatizzando con l'eroe tragico attraverso le sue emozioni (pathos), dall'altra condannandone la malvagità o il vizio attraverso la hýbris (ὕβρις - Lett. "superbia" o "prevaricazione", i.e. l'agire contro le leggi divine, che porta il personaggio a compiere il crimine). La nemesis finale rappresenta la "retribuzione" per i misfatti, punizione che fa nascere nell'individuo proprio quei sentimenti di pietà e di terrore che permettono all'animo di purificarsi da tali passioni negative che ogni uomo possiede. La catarsi finale, per Aristotele rappresenta la presa di coscienza dello spettatore, che pur comprendendo i personaggi, raggiunge questa finale consapevolezza distaccandosi dalle loro passioni per raggiungere un livello superiore di saggezza[84]. Il vizio o la debolezza del personaggio portano necessariamente alla sua caduta in quanto predestinata (il concatenamento delle azioni sembra in qualche modo essere favorito dagli dèi). La caduta dell'eroe tragico è necessaria, perché da un lato possiamo ammirarne la grandezza (si tratta quasi sempre di persone illustri e potenti) e dall'altra possiamo noi stessi trarre profitto dalla storia. Per citare le parole di un grande grecista, la tragedia «è una simulazione», nel senso utilizzato in campo scientifico, quasi un esperimento da laboratorio:




« La tragedia monta un' esperienza umana a partire da personaggi noti, ma li installa e li fa sviluppare in modo tale che [...] la catastrofe che si produce, quella subita da un uomo non spregevole né cattivo, apparirà come del tutto probabile o necessaria. In altri termini, lo spettatore che vede tutto ciò prova pietà e terrore, ed ha la sensazione che quanto è accaduto a quell'individuo avrebbe potuto accadere a lui stesso. »



(Jean-Pierre Vernant[85])

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