- superstizione (irrazionale) riposo in una lecita ignoranza
- religione (ragione positiva) possesso senza critica
- scetticismo (ragione negativa)
- scienza (ragione + natura) verso la conoscenza di cui abbiamo bisogno
- idealismo (dell'universale, non relativo, scuola atlantica, totalitarismi) vedi Arendt relativa, ebrei inglesi espatriati negli stati uniti pragmatici: scuola analitica usa contro modelli Russia e Germania.
- scienza (del particolare, "germi kantiani", del relativo, dominio natura, ampliamento, progresso, dominio del futuro, ridefinizione della natura)
Per Aristotele il compito della filosofia è proprio quello di scoprire le cause che determinano il perché un oggetto tenda ad evolversi in un certo modo e non diversamente. Aristotele parla in proposito di quattro cause, che sono le seguenti:
causa materiale: la materia è il sostrato senza cui l'oggetto non esisterebbe;
causa efficiente: è l'agente che determina operativamente il mutamento;
causa finale: la più importante di tutte, in virtù della quale esiste un'intenzionalità nella natura; è lo scopo per cui una certa realtà esiste.
Delle cause, secondo Aristotele, se ne danno di quattro tipi:
causa materiale, indica la materia di cui è fatta una cosa (ad esempio il marmo nel caso si tratti di una statua);
causa formale, la forma, il modello o l'essenza di una cosa (nel caso citato la forma che rappresenta la statua);
causa efficiente, ciò che ha prodotto la cosa (lo scultore);
causa finale, il fine che quella cosa deve realizzare con la sua esistenza (la statua cioè deve essere utilizzata come statua, ad esempio per ornare un ambiente).
La scolastica ampliò la trattazione aristotelica concentrandosi sulla definizione di causa prima che attraverso la dimostrazione cosmologica veniva identificata con Dio.
Le quattro cause del divenire:
causa materiale: la materia del divenire
causa formale: il principio di determinazione che consente l'attualizzarsi del divenire
causa efficiente: una forma in atto che determina il passaggio dalla potenza all'atto della sostanza in divenire
causa finale: la necessità che il processo del divenire muova "in vista di qualcosa"
Mentre tuttavia le categorie sono costitutive dell'esperienza sensibile, le idee hanno soltanto una funzione regolativa, nel senso che guidano l'esperienza, dandole un senso e un fine.[30] Le idee infatti rappresentano per Kant i tre grandi ideali razionali: quello psicologico (lo studio dell'anima), quello cosmologico (lo studio delmondo), e quello teologico (lo studio di Dio).[31]
Pur non trovando riscontro nella realtà fenomenica, si tratta di idee trascendentali che sul piano della pura ragione servono a spronare la conoscenza, mentre sul piano etico ed estetico recuperano in un certo senso le caratteristiche platoniche, rendendo possibile il finalismo della moralità e del bello.
Lo schematismo trascendentale
Se fosse possibile attribuire agli oggetti soltanto i caratteri dello spazio e del tempo, sottoponendo quindi gli oggetti alla scienza della geometria o della meccanica razionale il problema della conoscenza scientifica potrebbe considerarsi concluso con l’estetica trascendentale. Ma le pretese della conoscenza scientifica vanno più in là: attribuiscono validità scientifica a una fisica che, oltre ai rapporti spazio, temporali, stabilisce fra gli oggetti altri rapporti che solo l’intelletto (non l’intuizione immediata) appare in grado di accertare: principalmente il rapporto di causa-effetto. Qui non si tratta più di aspetti che l’esperienza assume per essere ricevuta dal soggetto, infatti, io posso ricevere un'esperienza anche senza connetterla casualmente.
Si tratta, dunque, di una costruzione del nostro intelletto, e appunto la denuncia di questa interferenza del nostro intelletto faceva la forza di Hume. Se ci limitassimo a registrare le impressioni che riceviamo, troveremmo quel che chiamiamo effetto dopo quella che chiamiamo causa; non raccoglieremmo l'attestazione di un altro nesso che, oltre al post hoc, ci permetta di affermare un propter hoc. Quest’altro nesso, dunque, lo aggiungiamo noi, ma con quale diritto? È chiaro che, in questo caso, la soluzione precedente non può giocare. Gli oggetti per divenire oggetti per me devono assumere i caratteri del mio modo di riceverli; ma nulla li obbliga ad assumere anche caratteri di un mio modo di pensarli: Se fossi io a fare gli oggetti (cioè, kantianamente, se la mia intuizione fosse «intellettuale»), gli oggetti riceverebbero automaticamente l'impronta del mio pensiero, così come automaticamente assumono la forma della mia sensibilità per il fatto che sono io a riceverli.
Ma gli oggetti non li faccio io, dunque il problema rimane.
Kant ci pensò dieci anni, poi riuscì a risolvere anche questa difficoltà. La soluzione consiste nello «schematismo trascendentale», secondo cui l'intelletto, che non può avere una giurisdizione diretta su oggetti che non è lui a fare (non può imporre a cose che non derivano da lui, un suo semplice modo di pensare), può, tuttavia, avere sugli oggetti una giurisdizione indiretta, e così divenire, come dice laCritica della Ragion Pura, il «legislatore della natura».
C'è, infatti, una facoltà chiamata «immaginazione produttiva», che rappresenta «un effetto dell'intelletto sulla sensibilità ». Grazie a questa facoltà, l’intelletto, determina certe strutture nella forma pura dell'intuizione sensibile (spazio e tempo), cioè in quella forma attraverso cui ha luogo la nostra recettività. E poiché gli oggetti, per il ragionamento precedente, non possono divenire oggetti per noi senza assumere la forma della nostra recettività, essi automaticamente, assumono anche quelle determinazioni che l'intelletto, nella sua attività spontanea, ha impresso in essa. Per questo tali determinazioni, pur derivando da un modo di pensare proprio del soggetto, acquistano anche un valore oggettivo rispetto a tutti gli oggetti per noi, cioè ai fenomeni (perché le cose in sé rimangono sempre fuori, dovendosi solo considerare l'oggetto in quanto condizionato dalla forma della mia recettività).
L'attività con cui l'intelletto imprime certe determinazioni nella forma pura della recettività intuitiva è chiamata da Kant «schematismo», essendo lo «schema» in genere una «figura», cioè una determinazione dell'intuizione, la cui regola è dettata dall’intelletto. Lo schematismo di cui si occupa particolarmente la Critica è lo schematismo «trascendentale»; in esso il materiale su cui l'intelletto lavora è la forma pura del tempo, e la regola secondo cui il materiale è determinato rispecchia direttamente le «categorie», o «concetti puri dell'intelletto» (ossia, i modi in cui universalmente pensiamo). Questo, però, non è che un caso particolare di schematismo. La stessa Critica porta l'esempio di schemi geometrici - come quello del triangolo o del cerchio, in cui il materiale determinato secondo una regola (dell'intelletto) è lo spazio, o anche di schemi empirici, come quello di «cane», dove un materiale - questa volta - non più puro, ma empirico - viene organizzato secondo una regola non più a priori, ma ricavata dalla stessa esperienza.
Con la dottrina dello schematismo Kant poteva dirsi giunto in porto: la difficoltà apportata da Hume, che pareva insuperabile, era aggirata, non c’era più bisogno di pensare che gli oggetti fossero fatti dall’intelletto, cioè dalla spontaneità della nostra conoscenza, quasi che noi possedessimo una conoscenza creatrice, per attribuire loro, con universalità e necessità, caratteri che pure derivano da un nostro modo di pensare. Il principio della filosofia trascendentale, che l'accordo in cui consiste la conoscenza ha luogo perché gli oggetti si adattano alla facoltà conoscitiva, e non viceversa - non giocava ormai più solo rispetto ai caratteri fondati sulla forma della nostra recettività, ma anche rispetto a quelli fondati sulla forma del nostro pensiero. Bastava, per questo, ammettere che l'attività spontanea del pensiero fosse capace di imprimere determinazioni nella forma pura della ricettività: a questa, poi, gli oggetti in quanto fenomeni devono senz’altro adattarsi, assumendo così, automaticamente, anche la forma del nostro pensiero.
« Beviamo.
Perché aspettare le lucerne?
Breve il tempo.
O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte,
perché il figlio di Zeus e di Sèmele
diede agli uomini il vino
per dimenticare i dolori.
Versa due parti d'acqua e una di vino;
e colma le tazze fino all'orlo:
e una segua subito l'altra. »
(Alceo, traduzione di Salvatore Quasimodo)
"Fa quello che contribuisce alla perfezione tua, della tua condizione, e del tuo prossimo, e non fare il contrario." Secondo Wolff, tutto ciò che concorre alla perfezione umana è già posto nella su a natura. Il concetto di perfezione è desunto da quello di progresso del singolo e della società. Wolff concepisce questa evoluzione come necessaria, asserendo che sarà tanto più possibile quanto più la società sarà in grado di riformarsi in modo razionale, consentendo a ciascuno la libertà, ed il modo di rendersi utile al progresso degli altri. Anche nel campo del diritto, Wolff afferma il primato del diritto naturale, asserendo che sarebbe meglio ricavare dalla natura umana le norme che regolamentano l'agire. Il diritto all'uguaglianza di fronte alla legge è uno dei principi fondamentali. la società civile è concepita da Wolff come conseguenza di un contratto tra gli uomini, basato sulla mutua cooperazione ed avente per fine il comune benessere. Tuttavia, Wolff, rimase monarchico. Il miglior governo non poteva che essere quello di una monarchia illuminata, alla maniera di Federico II.
La traduzione italiana del Kokinshu, prima monumentale antologia della lirica nipponica.
Gian Carlo Calza su “Il Sole 24 Ore” del 25.03.2001
Giappone. Il mondo in 31 sillabe
In Occidente la forma più nota della poesia giapponese è sicuramente quella dell’haiku, affermatasi a partire dal secolo XVII con autori come Basho, Buson e Issa. Ma sarebbe un peccato fermarsi lì.L’universo della poesia del Sol Levante è debitore per certi aspetti della Cina, e privo di individualità marcate come Li po, Tu Fu, Po Chu I,Wang Wei, ma ha una complessità e una varietà che vale la pena di esplorare. E la lettura del Manyoshu o di questo Kokin waka shu, presentato al pubblico italiano dalla case editrice Ariele con l’ottima cura, scrupolosissima e amorosa, del professor Ikuko Sagiyama (pp.686, Lire 65mila) non è soltanto una piacevole esperienza letteraria, è un meraviglioso itinerario di conoscenza attraverso lo spirito di un popolo che ha avuto e continua ad avere una posizione così a sé e così decisiva nella storia dell’umanità.
L’importanza del ritmo giusto Questa edizione riproduce anche la prefazione giapponese, dovuta a uno dei compilatori, Ki no Tsurayuki, che è uno straordinario documento teorico sulla poesia, sulle sue qualità nazionali e linguistiche, sui suoi legami con lo spirito e il cosmo. La poesia propriamente giapponese ha “come seme il cuore umano”, e si realizza “in migliaia di foglie di parole”. Ma tutti gli esseri viventi, gli usignoli, le rane, compongono poesie. E “la poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, commuove persino gli invisibili spiriti e divinità, armonizza anche il rapporto tra l’uomo e la donna, pacifica pure l’anima del guerriero feroce”.E’ l’augusto Susanoo, fratello della dea del sole Amaterasu, che inventa la forma metrica del wak, cinque versi rispettivamente di 5-7-5-7-7 sillabe, 31 in tutto. La poesia, con il suo metro, il suo ritmo, la sua musica matematica, affonda le radici nel mito e nell’energia cosmica, e la sua funzione è quella di danzare la danza in cui, nella sensibilità dello shintoismo, si risolve l’universo.
Una suprema stilizzazione Eppure, a una prima lettura, niente ci appare più quotidiano, quieto,descrittivo, ripetitivo di questi versi. I temi, stagione dopo stagione, si alternano e ritornano in numerosissime, minime variazioni : il gelo, i susini, gli osignoli, le oche selvatiche, la foschia, i ciliegi, il glicine, il cuculo, il vento, la luna, il grillo, la neve. In cinque versi l’elemento paesaggistico, la descrizione della natura non può che esprimersi in un tocco lievissimo, di stilizzazione suprema, quella che gli occidentali conoscono soprattutto attraverso la pittura di un Hokusai o di un Utamaro. Il cuore umano è presente, è davvero il seme da cui sgorgano le immagini e si fermano in parole, come gocce di brina sulle foglie :ma non c’è in esso la drammaticità, lo spessore, la scissione, la disperazione cui ci hanno abituato secoli di poesia europea e cristiana. Anche nelle poesie d’amore il cuore giapponese batte a un’altra velocità : ci sono amanti che vorrebbero morire dal desiderio come rugiada sul fiore del crisantemo, la cui passione è come le acque del fiume Yoshino ched diroccano e urtano contro gli scogli, altri che si struggono per una donna appena intravista come fiori di ciliegi attraverso la foschia, altri ancora che non sanno da che parte girare il guanciale per ritrovare pace e sogni; Ono no Komachi si rivolge agli incantersimi per vedere nel sonno l’amato, e indossa al contrario la veste da notte; un anonimo, delizioso come talvolta, borghesianamente, i poeti minori delle antologie, desidera essere una cicala di giorno per piangere cantando, e una lucciola di notte per illuminare bruciando d’amore. Se c’è un’intensa e vasta fenomenologia del desiderio, manca del tutto il senso di colpa, il travaglio interiore, il contrasto tra il piano sensuale e quello spirituale dell’esistenza della nostra grande lirica d’amore.
La danza inesausta delle cose Poesia apparentemente senza miti e senza divinità, questa del Kokinshu è tutta percorsa dal senso del tempo e anche in essa, come in quella cinese secondo il giudizio di Montale, uomo e arte sono natura, al contrario che in occidente, dove arte e natura tendono all’uomo, a umanizzarsi all’infinito. L’infinito non sembra esistere per i poeti giapponesi, come non esiste per Omero e i lirici greci. Esiste la danza inesausta delle cose, delle superfici lucenti o buie delle cose, il loro ineluttabile passare. Ki no Tomonori si chiede “La vita? / Cos’è? E’ solo rugiada / effimera e vana”. E Fujiwara no Koremoto, di cui sappiamo soltanto che scrisse questo waka sul punto di morire, ci lascia un testamento eroico e leggero : “Perché pensavo / che la rugiada fosse / una cosa labile ? / La mia sorte da essa differisce / solo nel non posarsi sull’erba”.
Giuseppe Conte su “Il Giornale” del 5.05.2001
segnalando le differenze essenziali tra
percezione e intuizione: mentre per la
prima è decisivo il riferimento alla realtà,
individuata dall’uso di ben precise
coordinate spazio-temporali, la seconda
non si avvale della distinzione tra
realtà e irrealtà, costruendo invece uno
schema delle cose in cui si mescolano
gli elementi percettivi e la capacità
soggettiva di comprenderli come
un tutto. Questo modo creativo di
pensare la realtà è intuitivo in quanto
è autoespressivo: è ciò che rende
i bambini incapaci di distinguere
verità e finzione, ma anche ciò che
rende l’artista capace di vedere e
di far vedere diversamente le cose
che tutti hanno davanti agli occhi.
Intuizione ed espressione finiscono così
per identificarsi, sotto il segno della
comprensione artistica della realtà.
1. Tesi: il mondo ha un inizio nel tempo ed è limitato dallo spazio.
Antitesi: il mondo non ha un inizio ed è illimitato
2. Tesi: il mondo è formato da parti semplici quindi è indivisibile.
Antitesi: il mondo non è formato da parti semplici quindi è divisibile all’infinito.
3. Tesi: nel mondo c’è liberta.
Antitesi: nel mondo non c’è libertà ma tutto e soggetto a leggi meccaniche.
4. Tesi: il mondo ha la sua causa in un essere necessario
Antitesi: nel mondo non c’è alcun essere necessario.
Non potendo scegliere fra tesi e antitesi la cosmologia è inutile.
Estetica Trascendentale e Logica Trascendentale.
Quest'ultima, a sua volta, si distingue in:
Analita e Dialettica.
Nell'Analitica Trascendentale l'argomento è l'intelletto, a differenza dell'Estetica Trascendentale dove di parla dei Sensi.
Le forme a priori (i trascendentali= gli strumenti necessari per fare la sintesi a priori) sono le 12 Categorie, che si dividono in 4 gruppi:
1) Quantità
2) Qualità
3) Posizione o Modalità
4) Relazione
Quindi, affinchè ci sia la Sintesi A Priori, che per Kant è uguale alla conoscenza, obiettivo principale della sua filosofia, bisogna che ci sia un Soggetto e un Oggetto.
Il Soggetto sono le 12 categorie, l'Oggetto invece sono le Intuizioni Empiriche, che altro non sono che il risultato dell'Estetica Trascendentale (citata prima).
Risultato: Concetti Empirici, cioè, Sintesi A Priori, che afferma la possibilità delle scienze fisiche, come la Biologia, Chimica, Fisica.
CONOSCENZA (sintesi) = CONCETTO, INTELLETTO, PENSIERO mediante un concetto puro dell'intelletto (innato, conoscenza dell'universale, spontaneità dei concetti. Vi è pensato l'oggetto. Il concetto puro soltanto la forma sarebbe il pensiero di un oggetto in generale, senza contenuto a cui applicare il pensiero.) + messo in relazione con oggetti dei sensi INTUIZIONE, SENSIBILITà, OGGETTO DEL PENSIERO(+1, conoscenza del particolare, la ricettività delle impressioni. Vi è dato l'oggetto. La pura intuizione contiene soltanto la forma.)
Analitica dei principi (studio dell'applicazione delle categorie alle intuizioni empiriche tramite gli schemi temporali)
conoscenza RAZIONALE filosofica: discorsiva, non può fare riferimento all'intuizione (noumeno).
conoscenza RAZIONALE matematica: costruisce a priori i propri concetti nell'intuizione (la pura intuizione contiene soltanto la forma).
conoscenza scientifica: concetti intelletto più intuizioni pure più sensazioni dall'esperienza.
Io come COSCIENZA (il pensare me stesso), ovvero l'unità sintetica originaria dell'appercezione che sono. Io sono un pensare non un intuire. Così la mia propria esistenza non è per vero fenomeno (e tanto meno semplice parvenza); ma la determinazione della mia esistenza può avvenire solo secondo la forma del senso interno, in quella speciale maniera in cui il molteplice, che io unifico, può essere dato nell'intuizione interna; ed io non ho dunque pertanto una CONOSCENZA di me quale sono, ma semplicemente quale apparisco a me stesso. La coscienza di se medesimo è dunque ben lungi dall’essere una conoscenza di se stesso, malgrado tutte le categorie che costituiscono il pensiero di un oggetto in generale mediante l’unificazione del molteplice in una appercezione.
Per la conoscenza di me stesso io ho pur bisogno di una intuizione di un molteplice entro me, con cui io determini quel pensiero, SECONDO I RAPPORTI DI TEMPO ( FUORI DAI CONCETTI PROPRI DELL'INTELLETTO, COME CATEGORIE), facenti parte della condizione limitativa che chiamo senso interno. L'intelligenza può conoscersi come apparisce a se stessa in rapporto ad una intuizione di un molteplice dentro di me, non intellettuale.
L'INTUIZIONE SENSIBILE PUò ESSERE DI DUE TIPI:
concetto + intuizione pura = non crea conoscenza (SPAZIO E TEMPO sono soltanto nei sensi e fuori di essi non hanno nessuna realtà. ). Ottenere conoscenze a priori degli oggetti ( matematica= INTUIZIONE A PRIORI) solo rispetto alla forma di essi, come fenomeni. Se poi ci possono essere cose che si debbano intuire in questa forma, è ciò che rimane tuttavia indeciso. Per conseguenza, tutti i concetti matematici non sono per sé conoscenze, se non in quanto si presuppone che ci siano cose che si possono rappresentare solo conformemente alla forma di quella pura intuizione sensibile.
SPAZIO E TEMPO = FORME, O INTUIZIONI CHE CONTENGONO UN MOLTEPLICE Noi abbiamo a priori forme così della intuizione sensibile esterna, come della interna nelle rappresentazioni di spazio e di tempo. FORME NELLE RAPPRESENTAZIONI. A queste deve sempre conformarsi la sintesi dell’apprensione del molteplice del fenomeno.
Ma spazio e tempo non sono rappresentati semplicemente come forme dell’intuizione sensibile, bensì, a priori, come intuizioni essi stessi (che contengono un molteplice), e perciò sono rappresentati con la determinazione dell’unità di questo molteplice che è in essi (vedi Estetica trascendentale).
- FORMA DELL'INTUIZIONE -> Dà IL MOLTEPLICE SOLO
- INTUIZIONE FORMALE-> Dà LA SINTESI del MOLTEPLICE DATO, in un'unità rappresentativa, secondo la forma della sensibilità, in una rappresentazione intuitiva.
L'ESPERIENZA è CONOSCENZA MEDIANTE PERCEZIONI CONNESSE. LE CATEGORIE SONO CONDIZIONI DELLA POSSIBILITà DELL'ESPERIENZA, A PRIORI PER TUTTI I SUOI OGGETTI:Noi non possiamo pensare alcun oggetto, se non per le categorie; né possiamo conoscere un oggetto pensato, se non per intuizioni che corrispondano a quei concetti.
- PENSARE ATTRAVERSO CATEGORIE
- CONOSCERE OGGETTO PENSATO MEDIANTE INTUIZIONI CHE CORRISPONDONO A QUEI CONCETTI (dell'intelletto).
L'UNITà DELLA SINTESI DEL MOLTEPLICE (fuori e in noi) è DATA A PRIORI, CON LE SUE INTUIZIONI, COME CONDIZIONE DI SINTESI DI OGNI APPRENSIONE: è l’unificazione del molteplice d’una data intuizione in generale in una coscienza originaria, applicata, in conformità delle categorie, solo alla nostra intuizione sensibile.
Ogni sintesi, per la quale la stessa percezione è possibile, sottostà alle categorie.
L’esperienza è conoscenza mediante percezioni connesse, le categorie sono condizioni della possibilità dell’esperienza, e valgono perciò a priori tutti gli oggetti dell’esperienza.
E' LA SINTESI DELL'INTELLETTO CHE DETERMINA LA SENSIBILITà!
cioè è un atto estetico nel senso dell'estetica trascendentale: ha a che fare con spazio e tempo.
il tavolo è qui ora. il quadro ieri era laggiù.
faccio notare una cosa fondamentale, si parla di casi singolari.
cioè uno sporadico caso empirico.
un caso sporadico empirico può dentro kant darci scienza?
no, non può. la scienza, ormai lo sappiamo, è fatta di giudizi universali che valgono sempre.
quindi o il caso singolo è giustificato da una legge generale, oppure il caso singolo distrugge la mia legge.
ma ciò significa che la legge era sbagliata a monte (poichè non sa giustificare il caso singolo).
il caso singolo però per essere elevato a caso universale (la legge x) ha bisogno di una "unificazione". questa unificazione però ha luogo attraverso il sopraggiungere dell'intelletto.
l'intervento dell'intelletto in questa fase è un mettere insieme (sintesi: aggiungere qualcosa a qualcosa) di casi singolarmente presi (il sole sorge ieri, il sole sorge l'altro ieri ecc) con i quali ho avuto relazione attraverso intuizioni semplici.
ora queste intuizioni semplici, singolarmente prese sono nulle in se stesse se io non ne avessi in qualche modo già avuto notizia, se io, cioè, non avessi già tenuto sott'occhio (ap-prese diremmo in lingua corrente, ma la lingua corrente NON distingue la memoria di casi - la conoscenza empirica la chiamava aristotele in Metafisica I I e I - II, e l'apprendimento concettualmente inteso).
quindi la sintesi dell'A è il processo che rende possibile il fatto: il sole sorge (a cui devo trovare una legge che giustifici "quid iuris" quanto constato di fatto, "quid facti").
tale somma è chiamata "sintesi", ed è attuta dall'immaginazione (kant mi pare che poi la chiami "immaginazione produttiva" distinguendola dall'"immaginazione riproduttiva" che è quella che riguarda gli altri lati)
la somma delle apprensioni (PLURALE!), la sintesi delle apprensioni è il fenomeno nella sua interezza (che è lo stesso sia se lo guardo a 400 km di distanza col binocolo, sia se ci faccio il giretto attorno come ho descritto). In ultima analisi allora in kant la percezione conta un grado razionale.
concetto + intuizione empirica = crea conoscenza . Date solo in quanto percezioni (rappresentazioni accompagnate da sensazione).
Di guisa che le categorie mediante l’intuizione non ci danno ancora nessuna conoscenza delle cose, se non soltanto perla loro possibile applicazione a una intuizione empirica, esse cioè servono solo alla possibilità della conoscenza empirica. Ma questa si chiama esperienza.
CONCETTO= La conoscenza comprende due punti: in primo luogo, un concetto per cui in generale un oggetto è pensato (la categoria).
LA FILOSOFIA DEVE STABILIRE UN LIMITE ALLA RAGIONE, NATURALMENTE INCLINE A TRASCENDERE L'AMBITO DELL'ESPERIENZA POSSIBILE IN CERCA DELL'INCONDIZIONATO. E A STABILIRE LE CONDIZIONI DELL'USO DEI CONCETTI CHE SI APPLICANO LEGITTIMAMENTE ALL'ESPERIENZA POSSIBILE.
CONCETTI o INTUIZIONI sono o puri (a priori, alla rappresentazione non è mescolata sensazione) o empirici (a posteriori, alla rappresentazione è mescolata sensazione, come reale).
La “deduzione metafisica” è il procedimento con cui Kant si sforza di provare la coerenza logica delle categorie, ossia che queste corrispondono a concetti che non implicano in sé contraddizioni.
La matematica è una intuizione a priori (Gli interrogativi che si pone sono come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze) accede alla certezza dei suoi principi attraverso al costruzione di concetti.
Nella matematica e nella fisica l'uomo esprime giudizi universali e necessari superando i limiti dell'esperienza sensibile. Fondata su giudizi ( 2+7=12 ) e intuizioni pure, o forme a priori di spazio e tempo. Conoscenza a priori di oggetti ma solo nella forma, come fenomeni ( de facto non è conoscenza poiché non ci sono rappresentazioni conformi alla forma di quella pura intuizione sensibile, quindi non accompagnate da sensazioni). Accede alla certezza intuitivamente (apodittica, non empirica).
COMPITO FILOSOFIA TOUT COURT PORRE FRENO DISPOSIZIONE RAGIONE A TRASCENDERE AMBITO ESPERIENZA POSSIBILE IN CERCA DELL'INCONDIZIONATO, DARE LEGITTIMAZIONE USO DEI CONCETTI. A proposito della liminarità della conoscenza filosofica (saper stare "sul limite di ogni uso lecito della ragione", quindi stabilire le condizioni dell'uso dei concetti che si applicano legittimamente all'esperienza possibile) Kant sostiene che la critica è opera della ragione in quanto possiede "dei principi a priori della conoscenza".
La critica è opera della ragione in quanto possiede dei principi a priori della conoscenza. Principi operanti come giudizi sintetici a priori, ma indirettamente sintetici, perché valenti solo nell'ambito dell'esperienza possibile e grazie ad essa. Legati alle facoltà dell'intelletto che, per mezzo di concetti puri o categorie, pensano i dati sensibili. Modi di funzionamento dell'intelletto innati, comuni a tutti gli uomini, così validi, necessari e universali. Svolgono una funzione trascendentale ordinatrice(attiva): precedenti a ogni esperienza, acquistanti significato solo se applicati a essa. Perché contingenti all'esperienza possibile, e per concetti, rendono possibile l'esperienza e sono presupposti in questa. Essi esulano dal possedere dogmi ( giudizi a priori analitici del RAZIONALISMO DEDUTTIVO, legati quindi alle facoltà della ragione. Idee di anima, Dio e mondo) e tantomeno teoremi ( giudizi sintetici a posteriori, o empirici, per costruzione di concetti : proprio dell'EMPIRISMO INDUTTIVO, legati quindi a facoltà sensibili per mezzo delle forme, intuizioni pure, a priori di spazio e tempo che oggettivizzano spazializzando) , rendono innanzitutto possibile il loro argomento, cioè l'esperienza, e ne sono il presupposto in questa. Quindi l'esperienza entra nella prova come argomento, ma è anche ciò che rende possibile questa prova.
L’esistenza non è deducibile a priori ma solo a posteriori.
“Io penso” non è un soggetto conoscibile ma è un principio formale ed è la condizione ineliminabile che rende possibile la conoscenza.
LE FORME a priori della ragione umana (spazio, tempo e le dodici categorie), da cui derivano necessità ed universalità:
- CATEGORIE SONO: i filtri che permettono di organizzare il pensiero secondo una funzione determinante, raggruppante le intuizioni concrete ricevute dal grado inferiore
- SPAZIO E TEMPO SONO FORME PURE A PRIORI, O INTUIZIONI A PRIORI, O GIUDIZI FONDANTI.
- ANIMA MONDO E DIO SONO TRE IDEE della ragione, fonte di conoscenza discorsiva-attiva ( filosofia )
- intuizione sensibile: conoscenza immediata attraverso i sensi (input + sensazione)
- intelletto: la facoltà che, a partire dai dati ottenuti dalla sensibilità, produce giudizi (giudizi = soggetto + predicato) e pensa per categorie
- ragione: tenta di spiegare in modo totale e definitivo la realtà - oltre l'esperienza - tramite le idee di anima, mondo e Dio
Il tempo è la forma a priori del senso interno che usiamo per ordinare le esperienze interiori. PROPRIO DEL TEMPO, COME SUCCESSIONE DELL'UNITà.
Kant: prima con uno scritto del 1768 dal nome "Del primo fondamento della distinzione delle regioni dello spazio". Egli qui definisce "a) posizione: relazione reciproca delle parti componenti un ente b) ordine: relazione tra diversi enti nello spazio c) regione: la disposizione di tali elementi.
Nell’ambito della conoscenza umana distinguono tre facoltà: sensibilità (estetica), intelletto (analitica), ragione (dialettica, mera illusione rispetto alla conoscenza noumenica).
SOSTANZA DELLA CONOSCENZA: sinolo di materia e forma ( a priori determina il nostro modo di conoscere la realtà). Conoscenza= sensibilità + intelletto. Pensare= attribuire un predicato ad un soggetto. Questa sintesi è compiuta dall’intelletto che forma concetti empirici e poi riferisce un concetto ad un altro formando i giudizi. Per fare ciò esso utilizza le sue forme a priori dette concetti puri o categorie.
CRITICISMO KANTIANO: Che cosa è l'uomo ( come essere razionale) ? la ragione alla ragione, non il mondo alla ragione. Domanda di stampo antropocentrico, eredità dell'illuminismo.
GIUDIZI SINTETICI A PRIORI: concetti mentali condizionati dalle forme a priori dell'intelletto.
GIUDIZIO (sapere costituito da proposizioni assertive): aggiunge un soggetto a un predicato. Sintesi fra soggetto e predicato. IL MEDIUM è INNATO ( negazione della conoscenza cartesiana e allo stesso tempo della tabula rasa humiana).
SINTETICO: aumenta conoscenza.
PRIORI: valido a prescindere dell'esperienza individuale.
RAGIONE (Vernunft): Può essere intesa come facoltà distinta, la ragione attraverso le sue tre idee principali (Anima, Mondo e Dio) che cerca di unificare concettualmente qualcosa che non ha una sua consistenza sensibile ( necessità irrealizzabile sia scientificamente che fattualmente ).
O come facoltà della conoscenza in generale. (ambiguità in tedesco "Kritik der reinen Vernunftse "critica "se critica fatta "alla" o "dalla" ragion pura).
IL SAPERE DERIVA DA PRINCIPI SINTETICI A PRIORI E DALL'ESPERIENZA.
Per Kant le categorie non appartengono alla realtà perciò hanno un valore gnoseologico trascendentale, cioè sono funzioni dell’intelletto usate per verificare il molteplice sensibile.
RAGION PURA si intende ogni forma di conoscenza che si ha a prescindere dall'esperienza, quindi a priori. Perché indipendente dall’esperienza tradizionalmente riferita alla materia impura.
TRASCENDENTALE: non appartiene alla realtà.
“Criticismo” significa bilancio critico delle facoltà conoscitive umane.
KANT ANTIRAZIONALISTA, FALLIBILISTA IN FILOSOFIA.
LE DUE DISCIPLINE RAZIONALI SONO:
- LA METAFISICA (O CONOSCENZA FILOSOFICA, NO COSTRUZIONE CONCETTI. Rapporto con intuizione mediato-> DAI CONCETTI per trovare la sua certezza apodittica con ragioni a priori e non empirica-> DISCORSIVAMENTE.)
- LA MATEMATICA(CONCETTI A PRIORI NELL'INTUIZIONE). Ottiene sua certezza 2+2=4 apodittica, a priori e non empirica-> INTUITIVAMENTE TRAMITE COSTRUZIONE CONCETTI.
LE CATEGORIE, come la casualità, a differenza di Hume, sono considerate un carattere necessario della conoscenza, infatti sono presenti nell'intelletto di tutti gli uomini.
Prima dell’attività sintetica dell’intelletto c’è un supremo principio unificatore: l’ ”Io penso” o l’autocoscienza trascendentale o appercezione trascendentale.
I giudizi sintetici a priori, ciò a cui Kant arriva per spiegare in che modo possa la conoscenza giungere a validità scientifica, sono quei giudizi nei quali la sintesi tra soggetto e predicato si fonda su un principio a priori interno al soggetto conoscente che non rischia di scadere nel particolare e allo stesso tempo è in grado di apportare nuova conoscenza. È su questi giudizi che deve fondarsi tutta la fisica e anche la matematica. Ancora in opposizione a Leibniz e in questo caso a Locke la matematica si fonda su giudizi sintetici poiché nella somma 5 + 7 = 12 il risultato non è già implicito nella somma come voleva Locke ma risulta dalla sintesi progressiva che il soggetto opera intuitivamente aggiungendo al numero 7 a una a una le unità che compongono il numero 5. Anche la metafisica allora dovrà basarsi su questi principi così che le tre domande [ “Che cosa posso conoscere” (Ragion pura), “Che cosa devo fare?” (Ragion pratica) “Che cosa mi è lecito sperare?” (Giudizio) ] Kant si pone all’inizio della sua opera sono riducibili ad una sola: come sono possibili giudizi sintetici e priori? Le connessioni necessarie che costituiscono la conoscenza allora non dipendono dall’oggetto che di per sé ne è privo, ma dal soggetto che nell’atto conoscitivo proietta sull’oggetto la propria capacità sintetica. La rivoluzione copernicana della filosofia dice Kant deve allora consistere nell’occuparsi non più degli oggetti in se stessi, bensì degli elementi a priori che nel oggetto rendono possibile la costituzione e la conoscenza di quegli oggetti: una simile filosofia è detta filosofia trascendentale.
La critica della ragion pura si concretizza in queste domande:
1. Come è possibile una matematica è una fisica pura?
Kant si chiede quali sono le condizione che conferiscono loro un carattere oggettivo
2. E’ possibile la metafisica come scienza?
E se la risposta è negativa, come è possibile la metafisica come disposizione naturale dell’uomo?
Egli ricerca i motivi per cui la ragione umana pur consapevole dei limiti, sia portata ad oltrepassare i limiti e vuole conoscere l’assoluto e altri oggetti della metafisica. (sintesi Heghel)
Nell’ambito conoscitivo la ragione pretende di andare oltre l’esperienza. In quello morale, pretende di poter raggiungere la santità, In quello sentimentale pretende di poter subordinare a se stessa il mondo e la natura (tecnica).
L'INCONSCIO OTTICO...
Per Walter Benjamin (1892-1940), la natura rivelata dalla fotografia è diversa da quella vista dall'occhio umano: «...al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall'uomo, c'è uno spazio elaborato inconsciamente. (...) Soltanto attraverso la fotografia egli scopre questo inconscio ottico. (...) La fotografia dischiude gli aspetti fisiognomici di mondi di immagini che abitano il microscopico, avvertibili ma dissimulati abbastanza per trovare un nascondiglio nei sogni ad occhi aperti, e ora, diventati grandi e formulabili come sono, capaci di rivelare come la differenza tra tecnica e magia sia una variabile storica». Rosalind Krauss ha mostrato la rilevanza di questo tema per l'arte del '900.
In psicanalisi, detto della relazione che l’individuo intrattiene con l’oggetto (v.), ossia con l’altro da sé, sia questo una persona, una parte di un’altra persona o l’immagine interiorizzata di un’altra persona: il termine può quindi connotare sia gli aspetti delle relazioni interpersonali sia quelli del rapporto di un individuo con la rappresentazione mentale che egli si è fatto dell’altro.
sul lato destro della strada, pedalare.
Trasportava un sacco grigio e pieno, la bicicletta
era da donna.
Poi un ciclista,
da dietro, sempre a destra
unirsi.
Li osservo
pedalare.
L'africano senza caschetto accelera.
Dove corri negro?
E dai jeans sembrano spuntare
due robusti ebani in lotta.
Non restare indietro,
principe.
La Zolla e il Ciottolo
"Amor non cerca solo il suo piacere,
né di se stesso ha ancor premura alcuna,
ma dà il suo bene all'altro, e crea un Cielo
nella disperazione dell'Inferno."
Una Zolla di Argilla calpestata
dai piedi del bestiame cantò quello,
ma un Ciottolo che stava dentro il rivo
in questo modo le rifece il verso:
"Amore cerca solo il suo piacere,
e al suo piacere vuol legare un altro,
contento pur se l'altro perde il bene,
e a dispetto del Cielo fa un inferno".
Merister Eckhart "Dell'uomo nobile"
Quando diventammo amici, pensammo sarebbe stato per sempre.
Ma ora, infelice, te ne vai. Il cielo si fa amara incandescenza greve di rassegnazione.
Vi sono momenti in cui ci tocca la fortuna di trovare dei compagni con cui percorrere il nostro cammino
spirituale, ma spesso l'ora del distacco giunge indesiderata.
Quando i nostri amici decidono di andarsene, spesso ci scopriamo pieni di dubbi,
di confusione, e talvolta di senso di colpa.
Chiunque può abbandonare il sentiero, ma non per questo sarà dannato:
semplicemente imboccherà un cammino diverso.
La regola per chi segue il Tao è questa: percorri la strada per quanto ti è possibile in compagnia,
ma quando devi separarti non trattenere mai il tuo compagno.
Dobbiamo forse sforzarci di non provare sentimenti nei confronti degli amici ?
Dopotutto, i saggi ci mettono sempre in guardia contro l'attaccamento.
Ma l'emozione è parte di ciò che ci rende umani.
Quando un compagno ci lascia, possiamo comprendere le sue ragioni sul piano filosofico,
ma non per questo dobbiamo negare i nostri sentimenti mentre proseguiamo soli. ( Deng Ming Dao )
"ciascuno mantenga il proprio buon modo di agire e faccia entrare in esso tutti gli altri e vi accolga ogni bene e ogni modo di agire."
« Una stupida coerenza è l'ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muro. Dite quello che pensate ora con parole dure, e dite domani quello che il domani penserà con parole altrettanto dure, per quanto ciò possa essere in contraddizione con qualunque cosa abbiate detto oggi. »
(Ralph Waldo Emerson)
« Dubitando, infatti, siamo spinti a ricercare; e indagando a fondo giungiamo a cogliere la verità. »
(Pietro Abelardo, Sic et non, Prologo)
Andrew Collier, Marx: A Beginner’s Guide
— Slavoj Žižek
La Cabala medievale afferma che il peccato di Adamo ha introdotto una falsa separazione tra il Divino maschile e la Shekhinah femminile, consumando dall'Albero della Conoscenza prima che dall'Albero della Vita, due aspetti delle Sefirot
C.Bonvecchio, Esoterismo e Massoneria, Mimesis Edizioni, Milano 2007, p. 252; inoltre O.Wirth, La Franc-Maçonnerie rendue intelligibile à ses adeptes..., Vol. III, p. 48: «Più modestamente possiamo fermarci a colui che i Massoni chiamano Maestro Hiram. Ma come dobbiamo figurarci questa misteriosa entità? Lungi dall‘essere un personaggio, è una personificazione. Ma di che? Del Pensiero Iniziatico, di quell‘insieme di idee che sopravvivono anche quando nessun cervello vibra più sotto la loro influenza. Ciò che è prezioso non muore e sussiste allo stato latente, sino al giorno in cui si offrono delle possibilità di manifestazione. Allora Hiram risuscita nella persona di ogni nuovo Maestro».
M. Eliade, Mythes, rêves et mystères