Ma l’immortalità raccontata negli antichi miti non è forse – o, almeno, non è solo – da interpretare alla lettera come una domanda “filosofica” sulla finitudine dei viventi, quanto piuttosto su quel quid– assolutamente umano – che dà senso pieno all’esistenza. Una caratteristica umana, quella forza vitale che forse la vita nomade riusciva a conservare, ma che la vita stanziale – con i suoi ritmi sempre uguali, con la ripetitività dei gesti della semina, della raccolta, della manutenzione dei campi e delle vie d’acqua, con la, forse necessaria, razionalità del costruire e del progettare – pian piano uccideva.
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