s. neutro latino scientifico (dal greco phyle, tribù) usato in italiano come sm. Nella terminologia biologica, successione continua di forme viventi, morfologicamente diverse ma verosimilmente originatesi da una medesima forma ancestrale. Nella nomenclatura botanica, il termine indica la categoria sistematica, con suffisso -phyta, posta al di sotto del regno e corrisponde alla divisione. In zoologia, è la categoria sistematica, detta anche tipo, compresa tra il regno e la classe.
La breve citazione da Dodds (I Greci e l’irrazionale) è la seguente: «il vino ha in sé qualche cosa di soprannaturale e di demonico».
Queste invece le lunghe citazioni da Deleuze («Porcellana e vulcano», in Logica del senso): «Quando Bousquet parla della verità eterna della ferita, è in nome di una ferita personale abominevole, che egli porta nel suo corpo…».
«L’alcolismo non appare come la ricerca di un piacere, bensì di un effetto. Tale effetto consiste principalmente in ciò: uno straordinario indurimento del presente. Si vive in due tempi contemporaneamente, si vivono due momenti contemporaneamente».
«L’alcool è a un tempo l’amore e la perdita di amore, il denaro e la perdita di denaro, il paese natale e la sua perdita. È l’oggetto, la perdita dell’oggetto e la legge di tale perdita in un processo concertato di demolizione».
La citazione finale è tratta dallo scapigliato Emilio Praga, I superstiti:
E stasera, o mesta vergine,
Noi stasera danzeremo,
E nel vino affogheremo
Le mie ciance e il tuo dolor!
“Scrivere non è raccontare i propri ricordi, i propri viaggi, i propri amori e i propri lutti, i propri sogni e i propri fantasmi. Sarebbe come peccare per eccesso di realtà, o d’immaginazione: in ambedue i casi è l’eterno papà-mamma, struttura edipica che si proietta nel reale o s’introietta nell’immaginario. […] La letteratura segue la via opposta, e si pone solo scoprendo sotto le persone apparenti la potenza di un impersonale che non è affatto una generalità, ma una singolarità al livello più alto: un uomo, una donna, una bestia, un ventre, un bambino… Non sono le prime due persone che servono da condizione dell’enunciazione letteraria; la letteratura incomincia solo quando nasce in noi una terza persona che ci spoglia del potere di dire Io (il “neutro” di Blanchot). Certo, i personaggi letterari sono perfettamente individuati, e non sono né vaghi né generici; ma tutti i loro tratti individuali li elevano a una visione che, come un divenire troppo potente per loro, li trasporta in un indefinito: Achab e la visione di Moby Dick. […] Non si scrive con le proprie nevrosi. La nevrosi, la psicosi, non sono passaggi di vita, ma stati in cui si cade quando il processo è interrotto, impedito, chiuso. La malattia non è processo, ma arresto del processo, come nel “caso Nietzsche”. Così lo scrittore in quanto tale non è malato, ma piuttosto medico, medico di se stesso e del mondo. Il mondo è l’insieme dei sintomi di una malattia che coincide con l’uomo. La letteratura appare allora come un’impresa di salute: non che lo scrittore abbia necessariamente una salute vigorosa, ma gode di un’irresistibile salute precaria che deriva dall’aver visto e sentito cose troppo grandi, troppo forti per lui, irrespirabili, il cui passaggio lo sfinisce, ma gli apre dei divenire che una buona salute dominante renderebbe impossibili. Da quel che ha visto e sentito, lo scrittore torna con gli occhi rossi, i timpani perforati.”
— Gilles Deleuze, Critica e clinica
cenao delle diagonali di armonia e melodia
da intervallo a continuità armonia infinita
consonanze di basso riferimenti
consonanza e risonanza
il mondo dell'armonia prestabilita
armonia attraverso l'accordo
LARMONAI SI DEFINISCE PER LACCORDO E NON PIU PER LINTERVALLO
macchinario voce strumento
la scdittura per gli struenti non esisteva
stato macchinario che non intruduce alcuna dfferenza
lo scambio l'ugualianza
barocco inbvita a ripartire da una definizione delle consonanze e dissonanze
risobabza armonica
ALLINIZIO LE DISSONANZE NON SONO ARMONICHE MA MELODICHE sono espressive , è il fatto che le voci esprimano cose
espressività voci permette il cromatismo
gli strumenti che imitano voci
CROMATISMO FONDAMENTALE NELLA MUSICA BAROCCA
monterverdi inventore cromatismo rovesciato si applica per inferenza o deferenza alle voci
rinascimento contrappunto nelle risonanze del suono
le voci si devono sovraspporre rispettando la risonanza
leibniz migliore mondi possibili APERTURA DISSONANZE arte della DISSONANZA
armonia per intervalli rinascimento ammetteva solo accordi perfetti e accordi di sestale altre c ombinazini si fondavano sui ritardi
apre la porta a nuove possibilità armoniche
che per i conservatori era linizio del caos: le dissonanze il mondo delle dissonnanze
musica franco fiamminga sacra che rifiutava lespressività e il desideriod i fare entrare l'espressione dei sentimenti che passera attraverso la monodia accompagnata
e il cromatismo dellinizio di certe formule
si passa a una nuova forma di esprexsività
il barcco o la scoperta degli accordi dellarmonia per accordi fa saltare in aria l'espressività
la vera espressività per loro era linflessione, linflessione melodica
LA MUSICA BAROCCA RIMPROVERATA DI AVER PRETESO L'ESPRESSIVITà DAGLI ACCORDI, come fa a nascere da un accordi di suoni?
passaggio da una dominante fissa a una fluttuante
MUSICA BAROCCA MONDO SIMULTANEITà
passando a mondo verticale
filososifa leibniz ingresso nel mondo della siultaneità
la scala ai tempi di verdi non è unificata
monteverdi giocava sullambiguità non su una scala unificta, ma su i due livelli
rapporto di scala ovvero di dominante tonica che si oppone a le parti recitative dellopera
due livelli un lato musicsa derivva dalla danza: musica pastorale
dallaltra un erranza che permette di esprimere e opporre i due sentimenti
concetto non rigore ma fa valere i germi di novità, che operano nel vecchio
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metafora dello specchio e del punto di vista
ognuno è uno specchio dell'universo secondo il suo punto di vista
imlpica un esterno, la camoagna, il punto di vista da sulla campagna, dal lato sempre della convessità
la campagna è convessa
sono un punto di vista senza finestre
cinmea , ovvero cella tappezzata di schermi, la pellicola piegata si spiega sullo schermo
ognuno avrebbe il suo film
l'accordo dei punti di vista è laccordo dei film fra loro
non va bene e perchè il film deve essere girato
troppo riferimento allesteriorità
shoenberg
immagini digitali
ciò che coglie il punto di vista è ciò che non ha esistenza fuori di se
immagini senza modello
genesi pura delle immagini digitali
il modello leibniz: no specchio, no finestra, no schermo
passerà per lo psecchio e la finestra e negherà la finestra
siamo senza porte ne finestre
QUALE TERMINE ADEGUATO: no specchio no finestra no schermo
di cosa siamo tappezzati, le "pareti dell'unità" ?
pareti chiuse opache
TAVOLE DI INFORMAZIONI
in comunicazione con una tavola di informazioni che gli corrisponde
i dati si inscrivono nella tavola
su ogni tavola si iscrivono certi dati
c'è u mondo? si se le tavole di informazione concordano
consulto la tavola di informazioni in me stesso
non apro la mia finestra
che cosa è la città?
la città è nella nostra testa
la città è meravigliosa è come un CERVELLO
un cervello se voleyte mostruoso disgustoso
MA CERVELLO COME TAVOLA DI INFORMAZIONI
UN PUNTO I VISTA SULLA CAMPAGNA è LA FINESTRA
SULLA CITTà
INIZIO DI TAVOLA DI INFORMAZIONI, DATI NUMERICI SI ISCRIVONO SULLA MIA RTAVOLA DI INFORMAZIONI
MONOLOGO FA FREDDO MA NON HO APERTO LA FINESTRA
è il regime delle tavole di informazxione in città: QUINDI SIAMO DEI PUNTI DI VISTA SULLA CITàà
essere un punto di vista significa leggere una tavola di informazioni, solo che io ho sempre informazioni che l'altro non ha, perfortuna
ognuno ha le sue informazioni
potrebbe essere in dissonanaza, ci vuoe un armonia singolare perchè le informazioni concordano vagamente
leibniz precursonre shoenberg precursore pittura modenra
nellarte moderna la tavola cambia statuto
non più finestra sul mondo, lha comportata
esoressionismo astrattao FONDAMENTALE PER AVVIO PITTURA CONTEMPORANEA
non solo questione figurativa e non
superficie opraca in cui si iscrive PITTURA DI FINLESSIONE A CURVATURA VARIABILE è la linea di pollock
la linea si iscricve su una specie di tavola di informazioni
come una curva di temperatura
NON COSA VEDO DALLA FINESTRA MA QUALI INFORMAZIONI IL TAVOLO MI COMUNICA
superficie oipaca come tavolo di informazioni
il pittor ein cui ciò è piu evidente il genio in cui tutto appare pu profondamente
è rauschemberg con lui appare nuovo statuto
STORIA MUTAZIONE STATUTO DEL QUADRO
come sfondo una materia spampata, no collage
sopra fa la sua pittura una klinea dinflessione infinita con dati numerici in tutti i sensi
non iu alto basso destr asinistra
una finestra rinvia ad uomo orizzontale
LIBERAZIONE PUNTO DI VISTA DA OGNI FRONTALITà
potenza pittorica allo stato puro
di cosa mi infroma questo quadro?
mondo leibniziano realizzato
arcitettura barocca non piu al primo piano ma al superiore
dall'inflesisone alla curvatura alla serie infinita
dallinflesisone allinclusuione
l'inflessione si include è inclusa in cosa? nel punto di vista
alla condizione ci il punto di vista sia colto
senza
riferimento ad un esteriotirà supposta
e solo in riferimento ad altri punti di vista
MODELLO NON FINESTRA MA TAVOLA DI INFORMAZIONI
un sistema informatico: quello ceh volete
senza ifnestre
in che modo le inflessione sono incluse in certi punti di vista
definiti punti divista
il mondo è non solo serie infinita ma è inlcuso in ogni piunto di vista ovvero in ognuno di noi
il punto di vista non è su qualcosa che è esteriore ma non c'è niente estewrno al punto fdi vista
anzi di esterno ci sono solo gli altri punti di vista
nientaltro
la città non esiste fuori dai punti di vista sulla città
NON è UN OGGETTO PERCHè CI SONO SOLO OGGETTILI OSSIA SERIE DI PROFILI
LA CITTà è LACCORDO DEI PUNTI DFI VISTA FRA LORO
la città è laccordo
la città è SEMPRE PIEGATA ED ESSERE PIEGATA SIGNIFICA ESSERE IN , INSLUSI
i punti di vista sono i supergetti
accordo dei soggetti è dio
il punto di vista è regolago dallintenro come gli altri punti di vista
il mondo è n cinema un teatro tialiano, una scena a trasformazione
defoinendolo ancora piu intenro del cinema che comuqnue rivia allestero
i soggetti e punti di vista sono senza èporte e finestre
SOGGETTO UGUALE MONADE
coglie la serie infinita del mondo ma questa è in lui
i soggetti sono i spmelici in contrasto con la materia composta
CIO CHE è SMEPLICE NON PUO RICEVERE NULLA DALLESTERNO
SE UN SEMPLICE RICEVESSE QUALCOSA DALLESENRO FORMEREBBE UN COMPOSTO CON CIO CHE AGISCE SU DI LUI
TUTTO è in lui
livelli:
1siamo dei punti di vista sul mondo sulla serie infinita del mondo, ma non esiste fuori dal punto di vista in una data variazione o un altra
tutto è nel punto di vista e visibile nel punto di vista
( noi siamo punti di vista sulla citta e non abbiamo ne porte ne finestre)
la stupidità dei problemi di comunicazione
ogni soggetto è come uno specchio sul mondo, uno specchio di dio sul mondo
è uno specchio concavo, inflessione rinvia a centro di curvatura dal lato della concavità
sotto vettore concaità
ogni monade o soggetto è uno specchio delluniverso secondo l suo punto di vista
212
ho un corpo perchè esprimo na piccola porzione della swrie
sennò sarei una pura anima nel mondo
soggetto divine supergetto quando diviene punto di vista
siamo un punto di vista sul mondo sulla serie infinita del mondo
ogni punto di vista è su una serie
serie delle potenze del due serie delle curvature
ogni punto di vista assume una serie
LA SERIE DI TRASFORMAZIONI ATTRAVERSO CUI PASSA LOGGETTILO
SODDISFAZIONE dello spirito
il mondo si ordina
ogni punt di vista si definisce in rapporto a una serie
soggetto è un punto di vista sul mondo, sulla serie infinit del mondo
simao dei punti di vista sulla città leibniz
diverse situazioni di colui che guiarda
il nostro rapporto con il mondo ovvero il rapporto che intratteniamo noi soggetti
o supoegetti noi con la serie infinita dekla trasformazioni
stessa città diversamente rapprsentata
a ogni punto di vista corrisponde una forma o un profilo una faccia
ogni soggetto è un punto di vista a ogni pu nto di vista corrisponde un profilo della città
falso prospettivismo
il punto di vista fa sorgere il gruppo di trasformazioni
a ogni punto di vista corrisponde un cambiamento di forma, potere ordinare le forme e passare da una forma all'altra
il pov è ciò che rileva la connessione de profili
i profili rimarranno eternamente separati per conto proprio
pov cogli eserie infinita eventi del mondo una curva a curvatura variabile
ogni centro e punto di inflessione marca un evento
problema della pluralità dei soggetti
bisogna che una stessa serie sia suscettiile di variazioni
a ognu punto di vista ccorrisponde una variazione della serie
OGNUNO DI NOI COGLI UNA VARIABILE DELLA SERIE
ognuno coglie una variazione , una serie infinita
OGNUNO DI NOI COGLIE LA SERIE INFINITA
ma in una data variazione
è nelle mie profondità è una forma piegata di cui non sono cosciente
cogliendone chiaramente solo una porzione
che tocca a me o a voi una porzione
tante variazionei quanto porzioni chiare
regione chiara è il sito il punto di vista
ho un corpo perchè ho un punto di vista e non il contrario
ho un corpo perchè esprimo na piccola porzione della swrie
sennò sarei una pura anima nel mondo
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passa per tutti i punti di vista singoli li mescola tutti
pascal la verità al di là e al di qua
prospettivismo
il punto di vista e la condizione della possibilità della verità
il punto di vista manifestazione e emergenza verità
UN SOLO PUNTO DI VISTA SU UNA CLASSE DI PROBLEMI OVVERO QUELLO CHE PERMETTE DI ORDINARE I CASI
HA UN SITO PERCORRE UNA REGIONE
COME COSTRUIRE IL PUNTO DI VISTA IN FUNZIONE DEL QUALE SI POSSONO ORDINARE I CONTRARI. questo è prospoettivismo e relativismo
per ogni famiglia di problemi di ci vuole un punto di vista, che è leemento genetico
il punto di vista è un atto
ordina i casi i contrari gli opposti
trinagolo aritmetico è linvenzione di un punto di vista sulle potenze del due
il punto di vista estrare una forma dal caos
metamorfosi connesione di passaggio fra fomre, anamorfosi creazione forma dall 'informe
come il punto di vista ciò che estrae una fomra qualsiasi a partire da una non forma
relativismo punto di vista la verità è relativa al punto di vista
IL PUNTO DI VISTA è LA CONDIZIONE DELLA POSSIBILITà DEL MANIFESTARSI
E DELLA COSTITUIRSI DELLA VERITà IN UN CAMPO
il campo o dominio del punto di vista che corrisponde a esso
cabia statuto dell'oggeto
oggettilo sotto il punto di vista
il soggetto è un punto di vista
si definisce attraverso un atto costitutivo che è il punto di vista
il soggetto ha un sito è la regione percorsa del suo punto di vista
dalla curva variabile o dal gruppo di trasformazioni
da soggetto a supergetto
coppia oggettilo superoggetto
oggetto definito da un gruppo di trasformazioni
oggettile oggetto in quanto segnato da una curvatura o da un'inflessione a curvatura variabile
mondo teatrale feste barocche importanza alle scene di trasformazione
ogetto è indefinibile a prescidere dal gruppo di trasformazioni da cui è colpito o dalla curvatura variabile da cui è colpito
involuzione involvere avviluppamento
oggettile non solo passaggio da una forma ad un altra
come metamorfosi della forma, la forma è costantemente in metamorfosi
oggettile è l'oggetto a curvatura variabile
punto di vista non è solo ciò da cui si rivela una metamorfosi dell'oggetto
ma anche ciò da cui sono o divento capace di ordinare i casi
PUNTO DI VISTA è ORDINARE I CONTRARI ORDINARE GLI INVERSI E GLI OPPOSTI
PORRE UN PROBLEMA SOLO SE IN GRADO DI DETERMINARE IL PUNTO DI VISTA IN FUNZIONE DEL QUALE POTETE ORDINARE I CASI CORRISPONDENTI AL PROBLEMA
i casi a volte finit a volte infiniti a volte progressione a volte regressione
leibniz tutto avviene sotto forma di curva irregolare talmente irregolare che si rinuncia a trovare la legge
quale è la regola? bisogna trovare un punto di vista nonostante la irregolarità della curva
centro curvatura trovare il punto di vista
per ogni famiglia di problemi trovare un punto di vista
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oggettile serie infinita sintesi di profili
ogetto declina una famiglia di curve cerchio elisse parabila iperbole
leibniz oggetto definito da un gruppo di trasformazioni
logetto è indefinibile a prescindere dal gruppo di trasformazioni da cui è colpito, dalla curva variabile da cui è colpito
è uno statuto nuovo quello dell'oggetto
Enki/Ea è essenzialmente il dio della civilizzazione, saggezza e cultura. Era anche il creatore e protettore dell’uomo, e del mondo in generale.
In generale, tuttavia, Enki sembra riflettere un’epoca pre-patriarcale, in cui le relazioni tra i sessi erano caratterizzate da una situazione di parità tra i sessi. Nella sua figura, Enki preferisce la persuasione al conflitto, che cerca di evitare per quanto gli è possibile.
Ištar
in tutti i racconti si mantiene comunque l'associazione della dea con il pianetaVenere, che le comporta l'appellativo di Signora della Luce Risplendente. L'iconografia della dea è associata anche alla stella a otto punte (un simbolo che si ritrova anche nell'iconografia cristiana correlato alla Vergine Maria). Il simbolo della stella a otto punte rievoca il fatto che il pianeta Venere ripercorre le stesse fasi in corrispondenza di un ciclo di 8 anni terrestri, cosa già ampiamente conosciuta agli astronomi/astrologi sumeri.
La figura del “serpente” – legandosi al concetto di “conoscenza” – (più chiaro nella Genesi, ma già accennato in certi tratti della tradizione mesopotamica), ci fornisce una possibile chiave di lettura per i turbamenti dell’uomo sumerico nella fase di transizione dalla vita nomade a quella stanziale. Sono propri della civiltà sumerica, infatti, i primi importanti insediamenti urbani, le grandi opere di irrigazione, le coltivazioni su larga scala, gli allevamenti. In una parola il primorapportostoricamente attestatodi “conoscenza”– potremmo dire tecnica – con la natura.
Pubblicato in: n. 04 Colore /
I colori dei Greci
di Maria Michela Sassi
«Quanto diversamente i Greci hanno veduto la natura, se siamo costretti a riconoscere che i loro occhi erano ciechi per l’azzurro e il verde, e invece del primo vedevano un bruno più scuro, in luogo del secondo un giallo (giacché designavano con la stessa parola, per esempio, il colore dei capelli bruni, quello del fiordaliso e del mare meridionale, e con la stessa parola il colore delle piante più verdi e della pelle umana, del miele e della resina gialla: sicché, stando alle testimonianze, i loro grandissimi pittori hanno ritratto il loro mondo solo col nero, il bianco, il rosso e il giallo) – quanto diversa e quanto più vicina agli uomini dovette apparire loro la natura, dal momento che ai loro occhi i colori degli uomini erano anche nella natura preponderanti e questa nuotava, per così dire, nell’atmosfera dei colori umani! (Azzurro e verde disumanizzano la natura più di ogni altro colore)…».
Con queste parole Friedrich Nietzsche denunciava, nell’aforisma 426 di Aurora, la ‘cecità cromatica’ dei Greci, riprendendo un giudizio diffuso negli anni ’80 del XIX secolo. Era stato Johann Wolfgang von Goethe a cominciare: nella sua Teoria dei colori(1808-10) aveva osservato, e non si sbagliava, che il lessico greco del colore esibisce una peculiare ‘mobilità’ e ‘oscillazione’. L’area del giallo, ad esempio, non è nettamente delimitata dal rosso da un lato, dal blu dall’altro, né quella del rosso dal giallo e dal blu: così il termine xanthos può coprire le più diverse sfumature del giallo, da quello lucente delle bionde chiome degli eroi omerici alla vampa rossastra del fuoco, o il purpureo (porphyreos) può sconfinare nel blu. Goethe ne aveva desunto che gli antichi avessero scarso interesse per un’esatta discriminazione delle tinte; e notando, in aggiunta, la tendenza a concepire bianco e nero come colori (riportati all’antitesi di luce e oscurità), poteva giocare la visione greca del colore, esperienza psicologica ‘viva’, contro l’arida scomposizione della luce bianca nel prisma che aveva segnato, con il famoso esperimento di Isaac Newton, gli inizi dell’ottica matematica moderna.
Successivamente, in un quadro dominato dal darwinismo, nel sistema cromatico antico si era indicata non una ‘diversità’ da recuperare ma un tratto di ‘primitività’, da misurare proprio sul metro della lista newtoniana dei colori. Così William Gladstone, illustre come omerista non meno che come politico, nei suoi Studies on Homer (1858), aveva insistito sull’imperfetta discriminazione dei colori prismatici e, per contro, sulla forte sensibilità alle impressioni luminose (lo stesso nome greco del bianco, leukos, deriva dalla medesima radice etimologica del latino lux) che caratterizza la lingua dei poemi omerici e, su questa scia, dell’intera letteratura greca. In particolare, Gladstone aveva denunciato la vaghezza della designazione del blu, espresso in una sfumatura così scura da confondersi col nero (kyaneos), o così chiara da confondersi col grigio (glaukos, associato spesso a un’impressione di luminosità come nell’epiteto di Atena glaukopis, ‘con occhi chiari di civetta’). Curiosamente, poi, nella narrazione epica il cielo può essere grande e ampio, stellato, di ferro o bronzo, ma non è mai blu. Gladstone concludeva che l’organo visivo, in noi perfettamente sviluppato, era dato a Omero nella sua infanzia: perciò ancora più sensibile alla luce che al colore, e incapace di distinguere nettamente l’una dall’altro, nonché i diversi colori fra loro. E di lì a poco (siamo negli anni di Aurora) un oftalmologo, Hugo Magnus, avrebbe offerto a queste tesi l’appoggio della fisiologia, giungendo a disegnare uno schema evolutivo universale del senso del colore (parallelo allo sviluppo funzionale della retina) sulla base di un processo di identificazione che inizia a muoversi dai colori più ricchi di luce, sul versante rosso dello spettro (rosso e giallo), per passare a quelli di intensità luminosa via via più debole (verde, blu, violetto), sul versante opposto (Die geschichtliche Entwickelung des Farbensinnes, Leipzig 1877).
Nella prima metà del Novecento si è assistito ad una (parziale) inversione di rotta. In una fase di arretramento del paradigma evoluzionistico sotto l’incalzare del relativismo culturale, la linguistica ha portato attenzione crescente (la cosiddetta ipotesi Sapir-Whorf rientra in un movimento generale in questa direzione) sul fatto che le lingue del mondo operano, ciascuna, una segmentazione determinata (e in quanto tale arbitraria) dei diversi ambiti del reale: e le tassonomie cromatiche offrono qui un banco di prova esemplare. Ecco allora che la tendenza del greco antico a una distinzione floue dei colori, la prevalenza di notazioni di splendore e la ricchezza di sfumature favorevoli all’innesto di dati affettivo-simbolici (lo splendore prezioso di xanthos, la luce inquietante dell’occhio glaukos) vengono viste come manifestazione di uno ‘stadio mentale’ arcaico, in cui il sensibile predomina sul logico. In questa prospettiva si è preferito insistere su fatti di verbalizzazione piuttosto che di fisiologia della percezione: ma, significativamente, un’idea di ‘sviluppo’ ha continuato (e continua) a sottendere il quadro. Il problema è che la predilezione innegabile del lessico greco per gli aspetti quantitativi del colore (la ‘luminosità’, o gradazione di chiarezza/oscurità, e la ‘purezza’) a scapito della dimensione qualitativa o ‘tinta’ (determinata dalla posizione nello spettro) non trova spiegazione esauriente nella categoria della diversità culturale. Di fatto, come gli antropologi hanno dovuto ammettere in base allo studio pur controverso di Brent Berlin e Paul Kay (Basic Color Terms. Their Universality and Evolution, Berkeley-Los Angeles 1969), il colore è un dato di percezione e, in quanto tale, ‘universale’: perciò le culture più diverse condividono la tendenza a una più precoce e precisa definizione (in termini di tinta) di colori come rosso e giallo, che raggiungono il massimo della purezza a un grado particolarmente elevato di luminosità, e sono quindi capaci di più forte impatto visivo, mentre colori come verde e blu, di impatto visivo minore, vengono inizialmente colti e descritti in termini di valore luminoso, e solo gradualmente focalizzati come tinte.
Resta vero che sullo sfondo comune del colore naturale si innestano fatti di diversificazione culturale. Prendiamo il caso esemplare del termine greco porphyreos: l’ampiezza dell’area semantica che esso copre non dipende da una generica ‘indefinitezza’ nomenclatoria, ma dalla precisa tecnologia di produzione della porpora nel mondo antico. Più tinture, dal giallo al rosso scarlatto al blu-violetto, potevano ottenersi dal succo secreto da più specie di murici, a seconda del dosaggio e/o del momento di arresto del processo di esposizione fotochimica (o dell’eventuale bollitura). In particolare le varietà del rosso scuro e del violetto, poi, erano ottenute con succo non diluito, di cui un singolo mollusco forniva pochissime gocce. Ciò spiega le connotazioni di preziosità di questo aggettivo, ulteriormente arricchite da associazioni simboliche (con il sangue o con la morte): è purpureo, ad esempio, lussuoso ma anche ambiguo annunciatore di morte, il tappeto che Clitennestra (nell’Agamennone di Eschilo) stende davanti allo sposo reduce dalla guerra di Troia.
Anche quella strana latitanza del blu di cui si è detto può essere ricondotta, forse, a specifiche condizioni socioculturali osservando che essa è complementare a una preferenza per i toni del rosso e del giallo che può trovare spiegazione (come la trova presso tante culture primitive) con la loro qualità di colori ‘animali’, perciò utili alla distinzione di elementi importanti per la vita pratica: là dove blu (e verde) funzionano come colori di sfondo, poco importanti in contesti scarsamente interessati a una fruizione contemplativa del paesaggio naturale (ai fini pratici la nuvolosità del cielo o il movimento del mare sono più importanti della loro tinta). Anche la cultura greca, di fatto, appare segnata da un interesse per la varietà e classificazione dei tipi umani decisamente superiore a quello per il paesaggio: potremmo scoprire insomma che Nietzsche aveva ragione, affermando che la natura dei Greci «nuotava, per così dire, nei colori umani».
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