
La montagna sacra: "dissacrante". In piena sintonia con la
contro cultura "underground" in voga negli anni settanta.
Il genio di questo colosso del cinema surreale è Jodorosky.
Multivitaminico di famiglia ebrea, sangue russo. Cittadinanza
Francese (per necessità di studio), Messicana e Americana.
Nato in Chile. Insieme a Arrabal e Topor fautore del movimento del Panico. Secondo il quale l'universo è di natura caotica, disordinata e imprevedibile. L'abitudine quindi soffocherebbe l'estro vitale umano, la sua poeticità naturale. Sgretolare l'aspetto prosaico della vita, significa sovvertire la realtà stessa. Il film ne è la pratica diretta. Ed è la pratica di chi lo segue, specie nella sua prima visione. Quì lo spettatore si sente spaesato, escluso, allucinato. Certo le reazioni possono essere le più disparate. Pazientare ripaga! Ricevere passivi messaggi apparentemente privi di logica è il volere del regista (barra guaritore). Difatti i fotogrammi non esitano a prenderecorpo passato il primo terzo del film. Quando Jodorosky stesso, l"alchimista" della montagna sacra, proferisce le sue prime parole. La sua predicazione. Questa è l'esile corda che, se afferrata, ci tira pallidamente fuori dal rovinoso grattacapo dell'orrore (per certi versi evocante l'onirico tunnel Carroliano). Peccato che la trama nel suo svelarsi, si tradisca pure. Scendendo progressivament dal surreale al materiale, acquisendo drasticamente pragmaticità; svelandosi a una sorta di prologo metafisico. Senza dubbio visionario e profetico, il mago della suggestione affronta con creatività unica, temi cari a noi moderni della società di massa. E' iniziata la terapia per lo spettatore; il viaggio spirituale per i nove protagonisti aspiranti immortali. Di quì il film si commenta da solo.
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