Vexations dans un placard





















Roland Topor

"Lezioni di piano"



Volete vedere un film d'amore come Dio comanda? Siete capitati bene. Inutile dilungarsi nell' elencazione dei numerosi premi assegnatigli. E' il racconto, per certi versi metaforico, di una romantica ed enigmatica "donna pianoforte".
Chiarito il suo misterioso mutismo(di origni traumatiche forse) sin dalle prime del film, si comprende come il pianoforte sarà un vero e proprio protagonista. Il prolungamento vocale di Holly Hunter. La copiutezza del suo corpo, dei suoi pensieri, della sua ragione di vivere. Nonchè il suo primo amante.
L' obbiettivo sfiora magicamente la realtà storica di un epoca, i coloni di metà milleottocento. In Nuova Zelanda per la precisione, dove la natura aveva ancora la meglio.
Coprenetrando fra le radici dell'antica foresta tropicale, si schiudono fatalmente le dimensioni della passione, dove la donna, nei suoi poliedrici volti, si può esprimere come meraviglioso soggetto principale.
Lasciarsi trasportare con estrema leggerezza dall'eleganza delle musiche (perlopiù pianoforte, composta da Michael Nyman); dalla fotografia, capace di rittrare più di un quadro poetico: delle emozioni. E' veramente facile e piacevole, anche per un duro. Visto che di duri ce ne sono, dico solo Harvey Keitel. In versione un pò addolcita e romanzata.
Così si viaggia nella carne dell'uomo, senza esclusione di colpi di bobina. Nel crudo. Dove la Campion non si risparmia l'occasione di punire l'ambiente puritano dell'epoca. Magistrale la scena della "comare anziana" che urina rumorosamente sotto la sua gonna pomposa e nera, coperta dalle prommettenti discepole, munite di scialle; costituenti un vero separè vivente, monumento all'ipocrisia. Il contrasto tra il "giusto" e lo "sbagliato", è molto forte. Lo si percepisce nel binomio popolo dei maori/coloni, isola contaminata e incontaminata, nello spirito dei due amanti contro il loro antagonista. Romanzo cinematografico che vince! Veramente riuscito.
Abbiamo giaciuto
in quel letto
disfatto

Il cadavere della notte aveva
accolto sopra
gli scheletri della passione

Le lenzuola erano un velo marino
Ci avevano sollevato dal mondo

Poi al mattino
solo
la luce del sole
Pensavo alle notti passate
Che del fiore
nulla
avevano in comune

Pensavo alla mia
donna
Che era fiore
calpestato
dall'amore

Pensavo agli abissi delle parole
Ai confini oltre
la vita

Pensavo a tutto
Avevo paura

Avevo perso
lo sguardo
dell'amore

Avevo perso il bisogno
di pensare il
fiore
"Povere donne. Si affidano al primo venuto, conquistate da un sorriso e da un regalo, si abbandonano a tutti i suoi capricci perché credono che ubriacarsi d'amore voglia dire toccare l'assoluto naturale, e quando si scoprono impreparate al delirio ci piangono su."

Adrian Lyne
L'innamorato prende la forma del vaso in cui giacie
Tu sei malato...

Mi andro a far tarare il pisello da uno specilista!

"The holy mountain"


La montagna sacra: "dissacrante". In piena sintonia con la
contro cultura "underground" in voga negli anni settanta.
Il genio di questo colosso del cinema surreale è Jodorosky.
Multivitaminico di famiglia ebrea, sangue russo. Cittadinanza
Francese (per necessità di studio), Messicana e Americana.
Nato in Chile. Insieme a Arrabal e Topor fautore del movimento del Panico. Secondo il quale l'universo è di natura caotica, disordinata e imprevedibile. L'abitudine quindi soffocherebbe l'estro vitale umano, la sua poeticità naturale. Sgretolare l'aspetto prosaico della vita, significa sovvertire la realtà stessa. Il film ne è la pratica diretta. Ed è la pratica di chi lo segue, specie nella sua prima visione. Quì lo spettatore si sente spaesato, escluso, allucinato. Certo le reazioni possono essere le più disparate. Pazientare ripaga! Ricevere passivi messaggi apparentemente privi di logica è il volere del regista (barra guaritore). Difatti i fotogrammi non esitano a prenderecorpo passato il primo terzo del film. Quando Jodorosky stesso, l"alchimista" della montagna sacra, proferisce le sue prime parole. La sua predicazione. Questa è l'esile corda che, se afferrata, ci tira pallidamente fuori dal rovinoso grattacapo dell'orrore (per certi versi evocante l'onirico tunnel Carroliano). Peccato che la trama nel suo svelarsi, si tradisca pure. Scendendo progressivament dal surreale al materiale, acquisendo drasticamente pragmaticità; svelandosi a una sorta di prologo metafisico. Senza dubbio visionario e profetico, il mago della suggestione affronta con creatività unica, temi cari a noi moderni della società di massa. E' iniziata la terapia per lo spettatore; il viaggio spirituale per i nove protagonisti aspiranti immortali. Di quì il film si commenta da solo.
Sono la sospensione del mattino

Le mie labbra
l'attesa della rugiada

Sono

I miei occhi
colmi di nuvole
Di fuoco e oro

Sono


Kim Thierry Raymond Dunstan

Parlo del mio equivoco

Mi dia il picciolo della mano
Prona

Vede come diffonde fino alla superficie
una sottile pioggia
invernale

Il percolare della sua anima

La mia patologia

Continui

Ieri ha bagnato molesta
la mano
di un'uomo

Solo?

Poi
nella notte
si è prodigata a fondere
nella sorgente della mia
donna
Silenziosa e trasparente
come un'anfora notturna
l'amore

La sua mano malata non era
molesta

La mia mano malata è forse radice
della mia
vita
Un artista invecchia come si
accorda
all'universo una botte di vino
Ho consumato una parola
addio
Piccole esili luci
da pesca
Sopra uno scoglio notturno
immerso nel mare nel cielo
Svegliano l'architetto oltre
la sua pietra
plumbea

la nebbia è infinita
Ci piacevano le monete d'oro
Fessure che gridavano e piangevano
quelle notturne monete
come gli piacevano

Quando
donavamo la notte e
dalle mie umide
dita
schiuse
colava il notturno

Avevo sete di quell'oro caldo che
come resina dall'albero fondeva i
corpi

"Eyes wide shut"


È trasparente come un sogno a occhi aperti, Eyes Wide Shut (Usa e Gran Bretagna, 1999. Lo è fin dalla prima immagine: di spalle, Alice Harford si lascia scivolar via una morbida vestaglia. Stanley Kubrick dichiara le proprie intenzioni d'autore. Sullo splendido corpo di Nicole Kidman si apre l'occhio del cinema. A questa "apertura" del resto, allude la prima parte del gioco di parole che dà il titolo al film ( shut chiuso sostituisce open nell'espressione "eyes wide open" occhi ben aperti). È l'oggetto del desiderio, il corpo nudo di Alice. Meglio: è l'oggetto che evoca il desiderio che fa emergere alla superficie della coscienza, quella di Kubrick e della nostra. E qui, in superficie, il desiderio ci si mostra come se fosse trasparente. Certo, il desiderio non è mai trasparente, non arriva mai davvero alla superficie della coscienza. Piuttosto, ci arriva per così dire in maschera. La sua opacità prende forma assumendo i tratti d'un fantasma, o di più fantasmi. Ora si manifesta come sogno scatenante, ora come incubo e angoscia. Per lo più, anzi, nell'uno e nell'altro modo insieme. Così accade in Eyes Wide Shut. Il desiderio di Alice è evocato e portato in superficie prima da un incontro casuale a una festa e poi da un ricordo lontano. Quella stessa notte, le si ripresenta però come incubo, costringendola nel sonno a un riso che, appena sveglia, diventa pianto. E il marito? Anche per Bill (Tom Cruise) il desiderio ha in serbo quest'esperienza ambigua. Solo che, prima di manifestarsi apertamente come incubo profondo, la sua opacità riesce ad abitare a lungo la superficie della coscienza, leggera e trasparente come un sogno a occhi aperti, appunto. trasparente, ancora è la stessa narrazione. Questa almeno è l'impressionante che si ha in platea. Per quanto le situazioni si facciano man mano straordinarie, tuttavia c'è nelle immagini e nel montaggio una freddezza di sguardo che tiene in secondo piano il mistero. È come se Kubrick tornasse a raccontarci Arancia meccanica (1971), ma eliminandone il pathos. Nell'Alex di quel film si mostrava l'anomalia. L'inferno che era in lui si faceva immagine e suono. Kubrick se ne lasciava coinvolgere, e così ce lo comunicava: come inferno estetizzato. Ora, invece, in Bill - e in Alice - si scorge la normalità, fors'anche la banalità. Solo che, inaspettato, il suo volto è quello stesso d'allora: l'inferno. Raccontandocelo, quel volto, Kubrick evita coinvolgimento e iperbole. Sceglie piuttosto un'estetica della distanza, e in questo senso della trasparenza. D'altra parte, il film è disseminato fin dall'inizio di segnali, di sintomi che inducono in sospetto. La trasparenza narrativa - ci suggeriscono - è della stessa natura di quella del desiderio: è una maschera che dà forma all'opacità e superficie alla profondità. Davvero si può credere che, al contrario del desiderio di Alice, quello di Bill non abiti i sogni e l'immagirano ma si faccia concreta realtà? Nella prima parte del film, Bill viene lusingato da due giovani donne: ti porteremo dove finisce l'arcobaleno, gli promettono. Poi, molte sequenze dopo, sull'insegna d'un negozio di costumi (colmo di suggestioni oniriche) sta scritto "Over the rainbow". Mascherato, appunto, Bill immagina di poterlo raggiungere, quel luogo introvabile del desiderio. E lo raggiunge. Né potrebbe esser diversamente. Che cosa è l'oggetto del desiderio, se non il luogo che il desiderio si costruisce a propria immagine? Questo ci pare sia la grande villa dell'orgia, con le sue ombre erotiche e i suoi riti oscuri: il luogo dove, per il desiderio di Bill, finisce l'arcobaleno. Che lui per primo ne sia spaventato, ne è una conferma: i nostri fantasmi ci fanno paura proprio solo perché ci somigliano. D'altra parte, per quanto reale possa sembrare la situazione, Bill sta in essa con quel misto spaesante d'estraneità e familiarità, di marginalità e centralità, che è tipica di chi, dormendo sta fuori e dentro, ai margini e al centro del proprio sogno. L'opacità del desiderio finisce dunque per farsi trasparente anche alla banalità di Bill. La sua maschera posata sul letto è lì a rammentarglielo (in Schnitzler la circostanza ha una spiegazione realistica che nel film non è neppure tentata). E Bill, come accade negli altri grandi film di Kubrick, rischia di sprofondare, catturato nel proprio inferno. Tuttavia, suggerita da Alice, ora gli si presenta una via di fuga. Se gli occhi bene aperti ci mostrano l'anomalia su cui stiamo come su un abisso, è saggio chiuderli. Vedendo l'inferno, e poiché lo si vede, si scelga di vivere in superficie. Dunque: non "eyes wide open" ma, più coraggiosamente, "eyes wide shut". Anche perché, parafrasando e forse "migliorando" il cinismo di Frank Ziegler (Sydney Pollack), la vita continua: fa sempre così, fin quando non lo fa più.

Roberto Escobar
Da Il Sole 24 Ore, 10 marzo 1999

DESTINO

Volti al travaglio
come una qualsiasi
fibra creata
perchè ci lamentiamo noi?

Giuseppe Ungaretti, da "Allegria"

Acqua e sale

La poesia è la soluzione del cuore
Ero in mezzo alle onde di un mare che
non mi apparteneva
Quel mare non era la mia
acqua

Ero solo perchè dimenticavo
Ero solo perchè

Le lacrime non mi colavano dal viso si
ritenevano dentro
silenziose
Morivano a guardare dai vetri tondi il mare
incresparsi uno specchio dal cuore

Ero solo uno innamorato
perso
"Sono un buon amico, ma come tutti ho difetti. Il mio l'hai conosciuto"

"La maledizione dello scorpione di giada"


Terminata la proiezione si poteva dire: "Già visto", "Woody è sempre Allen", "Ogni anno non si risparmia". O forse si risparmia troppo?! visto lo scarso impegno nell'inventarsi nuovo, evidente e incontestabile. Usando il suo stile potremmo dire: Allen è un conservatore di sè stesso. Un dinosauro che però fà ancora ridere e sopratutto riempire le sale, e basta... Non si rischiano di sfiorare i toni dell' altissimo mondo del cinema. Ma lassù, nell'olimpo Hollywodiano, una nuvoletta gli rimane dedicata comunque. Il suo popolo lo acclama, come ogni stagione che ha fame di lui; io lo perdono e forse lo ringrazio. Di questi tempi si ha bisogno di cinema, e di ridere con la R.
Nella maledizione il piccolo uomo si cimenta ancora come il giovane sarcastico, e sopratutto autoironico. Quì più che mai!
La "commedia uomo donna" tipica degli anni quaranta (decennio in cui è abilmente ambientato il film) è un'occasione imperdibile per rappresentare la sua amata commedia tragica della vita.
Tante battute da manuale. La maledizione dello scoprpione di giada è da inserire a pieno titolo fra i tomi dell'opera in farsi del grande regista Newyorkese.
"Emozione nella mia vita significa una cena senza bruciori di stomaco."

Woody Allen, da "Scoop"
"...solo una volta prima che l'orrido sipario della realtà cali su di noi."

Woody Allen, dal "La maledizione dello scorpione di giada"
E' pesante un ricordo dal cuore
I pesci danzano
acqua e brillanti
Sono loro
l'amore del pescatore

Acqua e sale
la sabbia e l'oro
del mare sono loro
anche le stelle

Spassiunatamente

Nce arrivammo, nuje,
Curva su curva,
Dall’ alto scennenno
Int’ ‘a povere ‘e camionne,
Int’ ‘a povere ‘e camionne

Nce arrivammo, nuje,
Pe’ oblique scalinate,
Nce arrivammo ncopp’ o’ mare,
Nce arrivammo ncopp’ o’ mare

‘Stu mare, int’ ‘a solita calura,
che’è squisitamente frisco,
scunsulatamente frisco…

Parola su parola nce arrivammo,
Nce arrivammo ncopp’ ‘o mare,
Scustamato paraviso…

Siamo mangiatori di pesce,
Ne facimmo na passione,
Ne facimmo na passione…

Cercatori noi
Di siguardi e malintesi,
E truvatur’ ‘e sole
E truvatur’ ‘e sole…

Che ce par’ ‘e vedè
Che ce par’ ‘e truvà
Na femmena

Ah, bbella, bella, bella, bella
Famme vedè,
Famme capì…

Bbona, bona, bona, bona
Famme guardà,
Famme tuccà…

Ah, che sera!...
Na scudisciata turcomanna
E mezza luna…



Ah, che sera!
Na scudisciata turcomanna
A mezza luna…

Paolo Conte
.
Oh è come l'amore solo
l'amore
Non si accorgeva che lui era triste
perchè era solo
Giace una donna divertita
dal desiderio lontano dell'uomo

Invernale

Un volo leggero
avvolge una perla di carne
E trapelano dalle guancie solo
i profondi fiori rossi
Suonare il campanello è l'umiliazione di chi ha atteso tanto
L'italia è un paese unico:
"Tale da essersi fatto più italiano il pomodoro dell'Italia stessa"

"Melinda e Melinda"

Duo volti della stessa vita, due storie, una mela: New York.
Quella Alleniana, un pò europeizzata, molto affascinate.
Accompagnata dal tragico della musica classica, che si
fonde nella commedia del jazz, sin dall'apertura dei titoli,
in un certo senso rivelatori. La pellicola si accende su di un
tavolino "perfetto", rotondo da caffè, intellettuale. Dove quattro
uomini si interrogano su quanto duemila e cinquecento anni prima
si interrogavano già senza risposta i beneamati ellenici. Ecco
la magia che ama Woody, giocare con la vita, sorriderne, piangerne
intorno alla lente da fuoco di un tavolino.
Melinda è il massimo comun denomintaore, l'incarnazione del mondo.
E la gravità dei suoi sentimenti si lascia leggere nell'infinito
rappresentarsi della realtà, dove occhi diversi, quattro paia al
caffè, dipingono diverse realtà. Quante prima dello spegnersi dello
schermo? "il più possibile grazie", risponderebbe forse Woody Allen.

Non leggere

E' come se rimpiagessi__Lei
che non ho voluto

E' come se la volessi
ora che più non posso
desiderarla

E' come se
_è come se

Lei mi invitasse a pensarla
un sol tocco nell'acqua

Se lei mi volesse rovinare
nell'affanno per cercarla su
un riflesso infranto, specchiato di
naufrago passato
Sapresti spiegarmi come apprezzare il pianoforte senza saperlo suonare?
Si svela la vita
girando un disco.

Si rivela alle vecchie labbra del
giovane che anela
Un battito
di vita

Danzando si svela
la vita
Nessun rimpianto solo un bel ricordo
l'amicizia
sono: Lo Aspirante Filosofo Col Registratore Di Voce
Quando la interpello è
un padre premuroso

E
se la guardo la spoglio
___la Malaeducazione
La mia brutta compagnia
___è
quando la incontro
Una truffa Un campanello

Non è mia madre
la mia famiglia?
Figli della rete
Figli di tutto
Una donna sospende un calice di cristallo e
sospira e
proferisce con voce rauca sensuale
delle parole che
possono morire di solitudine

"L'arte del sogno"


Suggestionare lontano da Hollywood a qualcuno
può sembrare un assurdità? Beh non direi per Michel Gondry.
Tante volte ci sono bastati un pò di cuscini per farci
viggiare. In questo caso basta un lettore cinematografico
per sognare ad occhi aperti. Forse lo spettatore più
esigente e cavilloso ne rimarrà deluso. Si fermerà al primo
aspetto del racconto: irrazionale e banale. Si dilungherà in
critiche ampollose; o semplicemente in profondi sonni (che forse lo porteranno a fare meglio del regista stesso). Insomma allo stesso modo "L'arte del sogno" rimane una disciplina libera. Come i bambini di sognare, è una licenza per una poesia delicata e triste.
Non aspettatevi il solito film americano della domenica sera, e lasciatevi trasportare
dallo spirito romantico e originale e sopratutto francese del regista. Film prezioso.
Ottima l'interpretazione del giovane talento Gael García Bernal, naturale e perfetto Peter Pan.

Una pillola

L'uomo pensa di aver addomesticato il gatto ma non si rende conto invece che ne è diventato suo schiavo... ed il gatto se la ride
Mi ci voleva
un dolore
per leggere
l'Allegria

"Kika una donna in prestito"


In Kika lo spettatore dovrebbe lasciarsi perdere nell'estro
esasperato del regista. La telecamera è appesa ad un filo.
Imbilica fra il reale e il surreale, tra la commedia e il
dramma, fra il passato e il futuro. Non direi troppa carne
al fuoco. In questo film c'è troppo Almodovar, troppo per
radicarsi nei consueti 117 minuti di un comune nastro.
E se il genio spagnolo è sinonimo di troppo, questo prodotto
è il troppo del troppo. Eccessivo. Forse indigeribile.
E' interessante come Pedro nasconda la sua sensibilità
dietro a rappresentazioni così squallide dell'uomo. Come se
un messaggio autentico (in questo caso la critica allo spettacolo
verità dei media), non possa che essere portato da un cogegno di
personaggi più agghiaccianti della realtà stessa che denunciano.
Si apprezza molto la fotografia di alcune scene; come la maestria
nel rappresentare i diversi volti della femminilità. Una licenza
cinematografica ormai prerogativa del regista spagnolo.

"Natura morta"


Il ritratto di un antico continente nel ventunesimo secolo, su tela cinemetografica ovviamente. Può sembrare la presentazione
di un film di fantascienza, e forse per qualche bianco occidentale che
preferisce fermarsi a questa impressione per non impressionarsi troppo, è anche fin troppo azzeccata.
Come molti prima di me hanno definito, questo film è documentario
"apocalittico", è disperazione di un paese in progresso da troppi
decenni oramai. La parola chiave per leggerlo? "perduto". Come la terra delle due gole e il suo popolo, come i parenti dei due protagonisti e i protagonisti stessi. Su questa nota la pellicola sembra accordata alla perfezione, sino al particolare delle finestre che paiono televisori rotti, privi di
immaginazione, bianchi e luminosi, statici. La natura è l'anima delle persone e l'anima è negli occhi di un bambino che si accende disinvolto la sigaretta; nei movimenti meccanici di un
operaio che abbatte un palazzo a mazzate di sudore. Nella prima impressione che suscitano i paesaggi sono celati i sentimenti del regista. E nei rumori fastidiosi che accompagnano l'intero percorso delle cineprese si può afferare un impronta di denuncia non poco marcata.
Badiamo bene che non ho usato suoni ma rumori, perchè questo produce il progresso, a New York come a Pechino. Con arte e delicatezza lo spettatore avverte un substrato a questa disastrosa condizione, sa che questo non tutto, c'è qualcosa di sommerso come le case
dall'acqua. Lo si coglie nelle lamentele dei cittadini più anziani; nell'affetto per una rappresentazione del proprio villaggio su di una vecchia banconota; attraverso le parole di un bambino che canta un'antica canzone d'amore. Oltre i brandelli la Cina non ha passato, è già rovinosamente sfumata nel baratro dell'occidentalizzazione. Quì e dove tutto è ancora cavallo con la modernità. E dalla sella sembra che nessuno riesca più a scenderci, o sappia perlomeno il perchè di esserci salito.
Mi preparavo già
a vegliare
un dolore
eterno nel notturno
divenire del tempo
Bruciano gli occhi
premono ma
non sanno
chè fare
delle ore
Loro lo sanno
quelle gatte della vita
nel sangue ci hanno
come l'acqua nel vaso
Un artista è sempre un bugiardo
Ieri notte eravamo lontani
nel contatto delle carni

Lontani dal piacere che volevamo
Sopra l'amore volavamo
negli'occhi assenti
nella bocca contratta
nella voce uniti
come
il dito alla mano
la corda alla nave

Ieri notte mi stringevi forte e
eri la paura che mi avvolgeva
la forza del dolore

Mi sbocciavi profondo
lontano nel tempo
Ieri notte ero con te
perduto
Bruciano gli occhi
non passano che idee
confuse
sulla carta senza valore
come i romanzi

E scrivo
per noia e
per tempo

Una fila di dosso

La terra è così geometrica
in città
è tutto un piano che è casa della macchina
e non del cavallo!

Questo triste asfalto
questa depressione negata:
"è bastata una siringata di cemento"
Ne è bastata una a me pel piede sul pedale
che vibrava al modo di chi prima di me il piede
ce l'ha pestato con la pelle
pestato con una preghiera fra le dita
una chiesa
Una vita privata di sensi
è la vita
La poesia ti scarta il cuore come una...
Due uomini seduti sullo stesso divano
distanti un metro circa
con le mani sulla federa
____________________un contatto di stoffa
____________________un pensiero
_________Si attraversa

un oceano di distanza
Mi ricordo minuti fa ci immergiavamo in quel bagno di cinema
Il foglio deve sempre mancare per essere un'ispirazione
"Per il regista americano il passato non è mai memoria, ma è ”il presente in costume”."

Da Il Mondo, n. 1, 7 gennaio 1950
Ennio Flaiano
"Dì, se il mio cazzo pisciasse di questa roba buona, tu lo succhieresti?"
"Eh mi metterei in lista."
"Da' un po' qua, giovinotto, che iscrivo nella lista anche il mio nome."

François Rabelais
Gargantua, cap. 5: Discorsi dei bevitori
Entrando in una libreria sento spesso la frustrazione
del pittore
Un bambino che impara a parlare
coglie la sua identità

Un bambino quando cresce cresce e
il resto è solo lingua straniera
Talvolta il paesaggio che ci circonda non rappresenta che
il nostro stato interiore

Talvolta siamo silenziosi e gli occhi sono spenti

Talvolta ci capita di soffrire
costruire e distruggere e scoprire
Rompere il legame tra l'individuo e la sua identità
è scavare il terreno e porre le sue rovine in un museo