Dispiegare



Si tratta dunque di dispiegare le immagini? Nelle pieghe, quelle di un vestito, quelle di un lenzuolo, quelle della cera, lei trova già il gesto di dispiegare. Da dove viene questa ricerca dell’immagine? La immagino al suo tavolo di lavoro che, con il dorso della mano, dispiega un’immagine stampata su una pagina di giornale, lentamente, impercettibilmente…



La sua allusione è giusta. L’immagine funziona sempre – almeno nell’esperienza che ne ho e che risponde, naturalmente, a una scelta, a una propensione per un certo tipo di immagini – in maniera doppia, dialettica o duplice. La stessa immagine ci mostra qualcosa e ci nasconde qualcos’altro allo stesso tempo. Qui essa rivela e la ripiega. Essa porta una certa verità e apporta una certa finzione. Essa stessa ha quindi la struttura di una piega, motivo che mi interessa da tanto tempo, dal lenzuolo capovolto sul letto degli isterici alla Salpêtrière fino ai quadri di Simon Hantaï, passando per drappeggi delle ninfe antiche, le sartie cristiane, i veli di Mallarmé, lo chiffon di Georges Bataille o i concetti barocchi di Gilles Deleuze. Bisogna dunque, costantemente, piegare e dispiegare le immagini. Stropicciare come faceva Hantaï – per mettere in contatto alcune parti dell’immagine che si ignoravano ancora – e poi spalancare. Occorre, sebbene non sia sufficiente, spiegare le immagini. Si deve anche comprendere in cosa ci riguardano, ci guardano, ci coinvolgono.

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