Per Berkeley non ci sono sostanze, non esiste l'uomo od il cane, bensì solo quell'uomo, questo cane.
il chirurgo che non ha emozioni
il padrone che non ha emozioni
l'economista che non ha emozioni
il politico che ha emozioni
domani un hard disk uccide un uomo
stretto nell'analisi analogica
spogliato del suo contenuto biologico

membra o scarti deframmentati
riposano
come abiti appesi
fianco a fianco d'interminabili abiti

mantengono il calore
nei file
alito sullo specchio d'inverno
orbitanti presso

musica come atto e potenza
il corpo può essere la chiave del mondo spirituale
Pawel Althamer
maschere interminabili
moltiplicano l'orizzonte del mio nome
e incatenano nella nebbia
stelle oscene
io dentro una
meravigliosa scatola
che non mi appartiene
inscatolo
scatole meravigliose
eroine greche
piombo invisibile
come se il corpo fosse solo
una contingenza pura
gli occhi
legano e trascinano
l'anima nell'angusto vortice
della mente
gli stessi fatti empirici non sono certi, ma si riducono a semplici impressioni che poi si traducono in idee, copie sbiadite delle sensazioni, che conserviamo solo per l'utilità della vita.

Per Aristotele il compito della filosofia è proprio quello di scoprire le cause che determinano il perché un oggetto tenda ad evolversi in un certo modo e non diversamente. Aristotele parla in proposito di quattro cause, che sono le seguenti:

causa formale: consiste nelle qualità specifiche dell'oggetto stesso, nella sua essenza;
causa materiale: la materia è il sostrato senza cui l'oggetto non esisterebbe;
causa efficiente: è l'agente che determina operativamente il mutamento;
causa finale: la più importante di tutte, in virtù della quale esiste un'intenzionalità nella natura; è lo scopo per cui una certa realtà esiste.


Delle cause, secondo Aristotele, se ne danno di quattro tipi:
causa materiale, indica la materia di cui è fatta una cosa (ad esempio il marmo nel caso si tratti di una statua);
causa formale, la forma, il modello o l'essenza di una cosa (nel caso citato la forma che rappresenta la statua);
causa efficiente, ciò che ha prodotto la cosa (lo scultore);
causa finale, il fine che quella cosa deve realizzare con la sua esistenza (la statua cioè deve essere utilizzata come statua, ad esempio per ornare un ambiente).

La scolastica ampliò la trattazione aristotelica concentrandosi sulla definizione di causa prima che attraverso la dimostrazione cosmologica veniva identificata con Dio.


Le quattro cause del divenire:

causa materiale: la materia del divenire
causa formale: il principio di determinazione che consente l'attualizzarsi del divenire
causa efficiente: una forma in atto che determina il passaggio dalla potenza all'atto della sostanza in divenire
causa finale: la necessità che il processo del divenire muova "in vista di qualcosa"

Kant intende per materia «ciò che corrisponde alla sensazione» e per forma «ciò per cui il molteplice del fenomeno può essere ordinato» secondo le forme pure a priori di spazio e tempo. La stessa attività formale poi è attribuita alle categorie o concetti puri dell'intelletto (par.13), a loro volta ordinati dall'attività sintetico formale dell' Io penso (par.16).
L'idea così concepita consiste nel collegamento che la ragione opera tra più concetti, per cui conoscere significa collegare: ad esempio, è d'uso ancora oggi l'espressione "farsi un'idea" di qualcuno o qualcosa, sulla base di più nozioni connesse insieme.[29]
Mentre tuttavia le categorie sono costitutive dell'esperienza sensibile, le idee hanno soltanto una funzione regolativa, nel senso che guidano l'esperienza, dandole un senso e un fine.[30] Le idee infatti rappresentano per Kant i tre grandi ideali razionali: quello psicologico (lo studio dell'anima), quello cosmologico (lo studio delmondo), e quello teologico (lo studio di Dio).[31]

Pur non trovando riscontro nella realtà fenomenica, si tratta di idee trascendentali che sul piano della pura ragione servono a spronare la conoscenza, mentre sul piano etico ed estetico recuperano in un certo senso le caratteristiche platoniche, rendendo possibile il finalismo della moralità e del bello.
Di conseguenza, i principi logici sono leggi di natura e regole del pensiero, ricavate per astrazione dal linguaggio ordinario. Grammatica, logica e psicologia si corrispondono, poiché non vi è distinzione tra l’enunciato, cioè la lingua particolare in cui viene espresso un significato (per esempio, il greco), e la proposizione, cioè il linguaggio o la struttura semantica significativa in cui qualcosa viene espresso (per esempio, il linguaggio verbale o il linguaggio simbolico come la matematica).
Ares bello
Efesto brutto fabbro stupefacente
“analitica”, che significa metodo di risoluzione di una conclusione negli elementi o premesse da cui essa deriva, le quali, pertanto, la “fondano” ovvero la “giustificano”.
Schemi precostituiti. Non si applicano alla realtà in sé, ma solo al fenomeno ( oggetto dato attraverso organi senso ).
Kant:
Lo schematismo trascendentale

Se fosse possibile attribuire agli oggetti soltanto i caratteri dello spazio e del tempo, sottoponendo quindi gli oggetti alla scienza della geometria o della meccanica razionale il problema della conoscenza scientifica potrebbe considerarsi concluso con l’estetica trascendentale. Ma le pretese della conoscenza scientifica vanno più in là: attribuiscono validità scientifica a una fisica che, oltre ai rapporti spazio, temporali, stabilisce fra gli oggetti altri rapporti che solo l’intelletto (non l’intuizione immediata) appare in grado di accertare: principalmente il rapporto di causa-effetto. Qui non si tratta più di aspetti che l’esperienza assume per essere ricevuta dal soggetto, infatti, io posso ricevere un'esperienza anche senza connetterla casualmente.

Si tratta, dunque, di una costruzione del nostro intelletto, e appunto la denuncia di questa interferenza del nostro intelletto faceva la forza di Hume. Se ci limitassimo a registrare le impressioni che riceviamo, troveremmo quel che chiamiamo effetto dopo quella che chiamiamo causa; non raccoglieremmo l'attestazione di un altro nesso che, oltre al post hoc, ci permetta di affermare un propter hoc. Quest’altro nesso, dunque, lo aggiungiamo noi, ma con quale diritto? È chiaro che, in questo caso, la soluzione precedente non può giocare. Gli oggetti per divenire oggetti per me devono assumere i caratteri del mio modo di riceverli; ma nulla li obbliga ad assumere anche caratteri di un mio modo di pensarli: Se fossi io a fare gli oggetti (cioè, kantianamente, se la mia intuizione fosse «intellettuale»), gli oggetti riceverebbero automaticamente l'impronta del mio pensiero, così come automaticamente assumono la forma della mia sensibilità per il fatto che sono io a riceverli.

Ma gli oggetti non li faccio io, dunque il problema rimane.
Kant ci pensò dieci anni, poi riuscì a risolvere anche questa difficoltà. La soluzione consiste nello «schematismo trascendentale», secondo cui l'intelletto, che non può avere una giurisdizione diretta su oggetti che non è lui a fare (non può imporre a cose che non derivano da lui, un suo semplice modo di pensare), può, tuttavia, avere sugli oggetti una giurisdizione indiretta, e così divenire, come dice laCritica della Ragion Pura, il «legislatore della natura».
C'è, infatti, una facoltà chiamata «immaginazione produttiva», che rappresenta «un effetto dell'intelletto sulla sensibilità ». Grazie a questa facoltà, l’intelletto, determina certe strutture nella forma pura dell'intuizione sensibile (spazio e tempo), cioè in quella forma attraverso cui ha luogo la nostra recettività. E poiché gli oggetti, per il ragionamento precedente, non possono divenire oggetti per noi senza assumere la forma della nostra recettività, essi automaticamente, assumono anche quelle determinazioni che l'intelletto, nella sua attività spontanea, ha impresso in essa. Per questo tali determinazioni, pur derivando da un modo di pensare proprio del soggetto, acquistano anche un valore oggettivo rispetto a tutti gli oggetti per noi, cioè ai fenomeni (perché le cose in sé rimangono sempre fuori, dovendosi solo considerare l'oggetto in quanto condizionato dalla forma della mia recettività).
L'attività con cui l'intelletto imprime certe determinazioni nella forma pura della recettività intuitiva è chiamata da Kant «schematismo», essendo lo «schema» in genere una «figura», cioè una determinazione dell'intuizione, la cui regola è dettata dall’intelletto. Lo schematismo di cui si occupa particolarmente la Critica è lo schematismo «trascendentale»; in esso il materiale su cui l'intelletto lavora è la forma pura del tempo, e la regola secondo cui il materiale è determinato rispecchia direttamente le «categorie», o «concetti puri dell'intelletto» (ossia, i modi in cui universalmente pensiamo). Questo, però, non è che un caso particolare di schematismo. La stessa Critica porta l'esempio di schemi geometrici - come quello del triangolo o del cerchio, in cui il materiale determinato secondo una regola (dell'intelletto) è lo spazio, o anche di schemi empirici, come quello di «cane», dove un materiale - questa volta - non più puro, ma empirico - viene organizzato secondo una regola non più a priori, ma ricavata dalla stessa esperienza.
Con la dottrina dello schematismo Kant poteva dirsi giunto in porto: la difficoltà apportata da Hume, che pareva insuperabile, era aggirata, non c’era più bisogno di pensare che gli oggetti fossero fatti dall’intelletto, cioè dalla spontaneità della nostra conoscenza, quasi che noi possedessimo una conoscenza creatrice, per attribuire loro, con universalità e necessità, caratteri che pure derivano da un nostro modo di pensare. Il principio della filosofia trascendentale, che l'accordo in cui consiste la conoscenza ha luogo perché gli oggetti si adattano alla facoltà conoscitiva, e non viceversa - non giocava ormai più solo rispetto ai caratteri fondati sulla forma della nostra recettività, ma anche rispetto a quelli fondati sulla forma del nostro pensiero. Bastava, per questo, ammettere che l'attività spontanea del pensiero fosse capace di imprimere determinazioni nella forma pura della ricettività: a questa, poi, gli oggetti in quanto fenomeni devono senz’altro adattarsi, assumendo così, automaticamente, anche la forma del nostro pensiero.

« Beviamo.
Perché aspettare le lucerne?
Breve il tempo.
O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte,
perché il figlio di Zeus e di Sèmele
diede agli uomini il vino
per dimenticare i dolori.
Versa due parti d'acqua e una di vino;
e colma le tazze fino all'orlo:
e una segua subito l'altra. »
(Alceo, traduzione di Salvatore Quasimodo)
Le tre massime del pensare illuminato della Critica del Giudizio di Immanuel Kant: pensare da sé, pensare mettendosi al posto degli altri e pensare in accordo con sé stessi, sempre coerentemente. La prima è la massima del pensare libero da pregiudizi, la seconda del modo di pensare aperto, la terza la massima del modo di pensare conseguente, della ragione ed è quella architettonica.
non suscettibile di aumenti o diminuzioni di Tommaso e

"Fa quello che contribuisce alla perfezione tua, della tua condizione, e del tuo prossimo, e non fare il contrario." Secondo Wolff, tutto ciò che concorre alla perfezione umana è già posto nella su a natura. Il concetto di perfezione è desunto da quello di progresso del singolo e della società. Wolff concepisce questa evoluzione come necessaria, asserendo che sarà tanto più possibile quanto più la società sarà in grado di riformarsi in modo razionale, consentendo a ciascuno la libertà, ed il modo di rendersi utile al progresso degli altri. Anche nel campo del diritto, Wolff afferma il primato del diritto naturale, asserendo che sarebbe meglio ricavare dalla natura umana le norme che regolamentano l'agire. Il diritto all'uguaglianza di fronte alla legge è uno dei principi fondamentali. la società civile è concepita da Wolff come conseguenza di un contratto tra gli uomini, basato sulla mutua cooperazione ed avente per fine il comune benessere. Tuttavia, Wolff, rimase monarchico. Il miglior governo non poteva che essere quello di una monarchia illuminata, alla maniera di Federico II.
"Nel metodo filosofico non bisogna far uso di termini che non siano stati chiariti da un'accurata definizione, né bisogna ammettere come vero alcunché di non sufficientemente dimostrato; nelle proposizioni bisogna determinare con pari cura il soggetto e il predicato e il tutto deve venire ordinato in modo che siano premesse quelle cose in virtù delle quali le seguenti sono comprese e giustificate." (Logica, §139) Anche per Wolff, la filosofia prima, cioè l'ontologia (scienza dell'ente in quanto ente), ha per oggetto lo studio delle determinazioni che appartengono a tutti gli enti, sia sotto determinate condizioni, sia in assoluto.
Secondo Wolff, la "filosofia è la scienza dei possibili in quanto tali" e delle "ragioni per cui i possibili si realizzanoSecondo Wolff, la "filosofia è la scienza dei possibili in quanto tali" e delle "ragioni per cui i possibili si realizzano"
Diaghilev's "Ballets Russes"
Ballet "Parade" - 1917

Sets and costumes - Pablo Picasso
Music - Erik Satie
Scenario - Jean Cocteau
Choreography - Leonide Massine
Re - Suzanna della Pietra
Cospiratori della poesia 

La traduzione italiana del Kokinshu, prima monumentale antologia della lirica nipponica.
I quattro si incontravano in segreto, spesso di notte, a verificare,cassare, integrare, lunghe liste di nomi accompagnate da documenti per ciascuna delle persone prese in esame. I criteri della selezione erano severissimi e complessi, per di più c’era poco tempo : dovevano finire prima che la nozione di quanto stavano preparando si diffondesse. A cercare di immaginarsi ora quei momenti di grande pressione e preoccupazione di cura estrema e attenzione a ogni dettaglio si ha l’impressione di una cospirazione ristretta nella preparazione, ma di ampia portata. E certo lo fu. Questi quattro funzionari di corte, membri di un’aristocrazia bassa o decaduta, stavano preparando una rivoluzione le cui proporzioni e i cui effetti nessuno sarebbe riuscito a calcolare. Il mandato che avevano ricevuto proveniva dall’imperatore stesso ed era la prima volta nella storia del Giappone, che un fatto simile accadeva. Daigo ascese al trono a tredici anni e si trovò a regnare dall’897 al 930, un periodo lunghissimo per quei tempi in cui i sovrani venivano incoronati bambini e indotti ad abdicare dopo pochi anni per consentire alla più potente famiglia del tempo, i Fujuwara, di governare in loro nome. Si stava dunque preparando una lotta per un nuovo assetto del potere ? Certamente, ma non quello politico, che dura il sogno di un mattino, bensì quello più profondo, lungo, imperituro a volte, della cultura e della poesia. L’imperatore Uda, padre di Daigo, era stato convinto dal grande ministro Sugawara no Michizane – poi caduto in disgrazia, esiliato, riabilitatao post mortem e infine deificato come protettore della calligrafia – che il Giappone potesse continuare la propria strada e il proprio sviluppo culturale, religioso, linguistico e letterario autonomamente. Con un decreto foriero di profonde trasformazioni politiche e culturali, nell’894 Uda aveva abolito le ambasciate in Cina e preso a promuovere una concezione più “nipponica” della società. I quattro funzionari di Corte, i quattro “cospiratori”, appartenevano a questa tendenza di rinnovamento nazionale. Daigo aveva loro chiesto di compilare un’antologia poetica che raccogliesse waka – e cioè le brevi poesie di trentun sillabe che da qualche tempo si andavano affermando come nuovo genere lirico – di poeti sia contemporanei che della generazione precedente. Waka significa poesia o canto del Giappone, non c’era all’epoca, pare, netta distinzione tra i due generi, e la raccolta sottolineava la propensione crescente per lo sviluppo della cultura nazionale. Certo, non veniva negata l’importanza della poesia cinese, ma come fonte tradizionale d’ispirazione, non come lingua né come forma.. Il principale compilatore, Ki no Tsurayuki (871?-945?) con gli altri tre, il cugino Ki no Tomonori (m. 906?), Mibu no Tadamine (att.898-920) e Oshikoshi no Mitsune (att.898-922), presentarono al trono, probabilmente nel 905, un’antologia oggi conosciuta in millecentoundici poesie e intitolata Kikin waka shu (raccolta di poesie vecchie e nuove) comunemente chiamata Kokinshu. Di quest’opera fondamentale e monumentale è ora uscita un’edizione in italiano curata da Ikuko Sagiyama dell’Università di Firenze. La Sagiyama ha mirata soprattutto a fornire un prezioso strumento didattico per gli studenti e gli studiosi di letteratura classica anche decidendo di privilegiare un tipo di traduzione accademica piuttosto che letteraria. Oltre alla versione delle poesie e delle introduzioni, sia quella in giapponese di Tsurayuki sia quella in cinese, forse di Ki no Yoshimochi (m.919), la curatrice ha compilato un ampio apparato critico di note e saggi e, soprattutto, ha accompagnato le poesie con il testo in lingua indicandone anche la lettura fonetica e fornendo in più la traslitterazione in caratteri latini. Le poesie del Kokinshu esprimomo in modo incomparabile l’altissimo livello di civiltà e di concezione estetica a cui era pervenuta la società di Heian (794-1185) imperniata intorno alla corte dell’omonima capitale imperiale, l’attuale Kyoto. La cultura, la letteratura, l’arte, la concezione dello spazio, quello naturale come quello architettonico e urbanistico, ma soprattutto il canone dei comportamenti, lo stile della vita concepita come un costante, festivo cerimoniale, costituirono il modello imprescindibile, una sorta di Stella Polare dello spirito, per la civiltà giapponese di allora come di tutte le epoche successive. Nel suo celeberrimo inizio della prefazione (Kanajo) che è anche uno dei primi documenti della critica letteraria giapponese, Tsurayuki dichiara che cosa intenda per poesia nazionale :”La poesia giapponese, avendo come seme il cuore umano, si realizza in migliaia di foglie di parole. La gente in questo mondo, poiché vive fra molti avvenimenti e azioni, esprime ciò che sta nel cuore affidandolo alle cose che vede o sente. Si ascolti la voce dell’usignolo che canta tra i fiori o della rana che dimora nell’acqua : chi, tra tutti gli esseri viventi, non compone poesie? La poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, commuove persino gli invisibili spiriti e divinità, armonizza anche il rapporto tra l’uomo e la donna, pacifica pure l’anima del guerriero feroce”. Tsurayuki mira a stabilire alcuni concetti fondamentali sul senso del waka e sulla sua funzione, rivendicando ad essa la forza di muovere Cielo e Terra, e di essere l’interprete dei sentimenti umani. E però si tratta di concetti contenuti anche nella prefazione in cinese e sostanzialmente riconducibili allo Shi jing stesso, il classico cinese della poesia. La fortuna letteraria di Ki no Tsurayuki è legata tanto alle sue poesie e alla sua diaristica quanto a questa prefazione. Ed è una fama dovuta anche al fatto che egli si esprime non in cinese, ma, come diremmo noi, in “volgare”, cioè nel giapponese dell’epoca. Questa scelta ne fece attraverso i secoli una sorta di eroe della cultura nazionale anche perché, come già detto, il Kokinshu possiede pure una prefazione in cinese (Manajo) scritta però da un letterato diverso. Le poesie del Kokinshu suddivise in vebti libri, trattano di vari argomenti. Anzitutto il rapporto con la natura nelle quattro stagioni, poi felicitazioni, viaggi, amore e vari altri generi. All’interno di ciascun gruppo le poesie sono ordinate cronologicamente, ma non nel senso della data di stesura, bensì in quella della situazione emozionale. All’interno del primo gruppo, primavera e autunno sono le epoche favorite e occupano ognuna due libri invece di uno ciascuno dell’estate e dell’inverno. In qualche caso la poesia riflette uno stato positivo legato alla stagione; ma perlopiù la bellezza della natura, lo splendore dei ciliegi a primavera, l’abbagliante rossore degli aceri d’autunno, tendono a riflettere il senso dell’impermanenza, della caducità delle cose :”Effimero, / dai rami è caduto / questo fiore, / ed ora sull’acqua fluttua / come labile spuma” scriveva Sugano no Takayo (att. 820 ca.) premettendo che il testo era stato”composto nella reggia del principe ereditario, vedendo il fiore di ciliegio cadere e fluttuare sull’acqua del canaletto”. Molte poesie sono infatti precedute da un breve scritto che introduce l’occasione del componimento e a volte consente di trovare la chiave di queste poesie ricche di sottintesi e metafore. Nelle poesie sull’amore, a cui sono dedicati cinque libri (XI-XV) dominano stati di caducità, fallimento, insoddisfazione, brevità, incompiutezza, separazione e quasi mai la poesia del Kokinshu Riflette gli aspetti positivi, lieti, appassionanti dell’amore stesso. Komachi per esempio : “Non sa forse che sono / una desolata baia inospitale / ove non vegeta la tenera alga? / Il pescatore si ostina a venire / trascinando le gambe sfinite”. E’ qui che si fissò per sempre nella civiltà giapponese il canone non dichiarato dove il mondo dei sentimenti, delle passioni, della partecipazione della natura, dalla luna alla piccola alga, si compenetra col senso dell’impermanenza delle cose e degli esseri della tradizione buddhista. Questo canone estetico non dichiarato stabilì anche un vocabolario preciso, di circa duemila parole, che per i dieci secoli successivi divenne il parametro al di fuori dei cui confini uno scrittore di poesia nazionale, di waka appunto, non poteva uscire. Inoltre la pratica del hokabori, del prendere in prestito una linea o più, un’immagine o un concetto dal Kokinshu per creare una nuova poesia, divenne una costante nella lirica successiva. Ne nacque un’intima consapevolezza e delicata tristezza delle cose, il mono no aware che divenne un caposaldo della grande letteratura di Heian, punto di riferimento di tutta la cultura successiva e soprattutto sviluppato nel grande capolavoro narrativo scritto dalla dama Murasaki un secolo dopo, La storia di Genji. Forse da qui scaturisce anche quella passione, tipica dell’animo giapponese, che porta ad amare più del vincitore il vinto, se di intenti puri e totalmente dedito alla causa abbracciata. E’ la condizione dello spirito che Ivan Morris, reinterpretando la storia giapponese alla luce dell’ineluttabilità del dramma della vicenda umana, ma anche del fascino che da tale dramma stesso sprigiona, chiamò, con grande intuizione culturale e con sconvolgente anticipazione della propria tragica fine stessa, “The nobility of failure”.


Gian Carlo Calza su “Il Sole 24 Ore” del 25.03.2001




Giappone. Il mondo in 31 sillabe

In Occidente la forma più nota della poesia giapponese è sicuramente quella dell’haiku, affermatasi a partire dal secolo XVII con autori come Basho, Buson e Issa. Ma sarebbe un peccato fermarsi lì.L’universo della poesia del Sol Levante è debitore per certi aspetti della Cina, e privo di individualità marcate come Li po, Tu Fu, Po Chu I,Wang Wei, ma ha una complessità e una varietà che vale la pena di esplorare. E la lettura del Manyoshu o di questo Kokin waka shu, presentato al pubblico italiano dalla case editrice Ariele con l’ottima cura, scrupolosissima e amorosa, del professor Ikuko Sagiyama (pp.686, Lire 65mila) non è soltanto una piacevole esperienza letteraria, è un meraviglioso itinerario di conoscenza attraverso lo spirito di un popolo che ha avuto e continua ad avere una posizione così a sé e così decisiva nella storia dell’umanità.
Gli uomini dell’imperatore Il Manyoshu, ovvero “Raccolta di diecimila foglie”, è il corpus più antico della poesia giapponese, riunito intorno al 760 dopo Cristo, e consta di ben 4.500 testi : tra gli autori presenti, Kakinomoto no Hitomaro e Yamabe no Akahiti, i cui testi, Elegia del principe Hinami o Davanti al monte Fuji affondano le radici in un passato remoto cosmico in cui la terra e il cielo non si erano ancora separati o stavano per farlo. Il Kokin waka shu, o anche Kokinshu, ovvero “Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne”, è compilato nel 922 e ha una mole meno cospicua, anche se non esigua : circa 1.200 poesie suddivise in venti libri, di cui sei dedicati alle stagioni, cinque all’amore, uno ai viaggi, uno alle elegie, altri a soggetti vari, alcuni anche encomiastici e rituali. I compilatori sono quattro funzionari dell’imperatore Daigo, Ki no Tomonori,Oshikoshi no Mitsune, Mibu no Tadamine e Ki no Tsurayuki : tutti e quattro eccellenti poeti in proprio, tra i più presenti nell’antologia. Loro sono gli esempi della poesia moderna, mentre quella antica è in realtà rappresentata , oltre che da testi anonimi non entrati nel Manyoshu, da autori del cosiddetto periodo rokkasen o “dei sei geni poetici”, fioriti alla metà del secolo IX, tra cui una donna, Ono no Komachi, e un aristocratico leggendario amatore, Ariwara no Narihira.

L’importanza del ritmo giusto Questa edizione riproduce anche la prefazione giapponese, dovuta a uno dei compilatori, Ki no Tsurayuki, che è uno straordinario documento teorico sulla poesia, sulle sue qualità nazionali e linguistiche, sui suoi legami con lo spirito e il cosmo. La poesia propriamente giapponese ha “come seme il cuore umano”, e si realizza “in migliaia di foglie di parole”. Ma tutti gli esseri viventi, gli usignoli, le rane, compongono poesie. E “la poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, commuove persino gli invisibili spiriti e divinità, armonizza anche il rapporto tra l’uomo e la donna, pacifica pure l’anima del guerriero feroce”.E’ l’augusto Susanoo, fratello della dea del sole Amaterasu, che inventa la forma metrica del wak, cinque versi rispettivamente di 5-7-5-7-7 sillabe, 31 in tutto. La poesia, con il suo metro, il suo ritmo, la sua musica matematica, affonda le radici nel mito e nell’energia cosmica, e la sua funzione è quella di danzare la danza in cui, nella sensibilità dello shintoismo, si risolve l’universo.

Una suprema stilizzazione Eppure, a una prima lettura, niente ci appare più quotidiano, quieto,descrittivo, ripetitivo di questi versi. I temi, stagione dopo stagione, si alternano e ritornano in numerosissime, minime variazioni : il gelo, i susini, gli osignoli, le oche selvatiche, la foschia, i ciliegi, il glicine, il cuculo, il vento, la luna, il grillo, la neve. In cinque versi l’elemento paesaggistico, la descrizione della natura non può che esprimersi in un tocco lievissimo, di stilizzazione suprema, quella che gli occidentali conoscono soprattutto attraverso la pittura di un Hokusai o di un Utamaro. Il cuore umano è presente, è davvero il seme da cui sgorgano le immagini e si fermano in parole, come gocce di brina sulle foglie :ma non c’è in esso la drammaticità, lo spessore, la scissione, la disperazione cui ci hanno abituato secoli di poesia europea e cristiana. Anche nelle poesie d’amore il cuore giapponese batte a un’altra velocità : ci sono amanti che vorrebbero morire dal desiderio come rugiada sul fiore del crisantemo, la cui passione è come le acque del fiume Yoshino ched diroccano e urtano contro gli scogli, altri che si struggono per una donna appena intravista come fiori di ciliegi attraverso la foschia, altri ancora che non sanno da che parte girare il guanciale per ritrovare pace e sogni; Ono no Komachi si rivolge agli incantersimi per vedere nel sonno l’amato, e indossa al contrario la veste da notte; un anonimo, delizioso come talvolta, borghesianamente, i poeti minori delle antologie, desidera essere una cicala di giorno per piangere cantando, e una lucciola di notte per illuminare bruciando d’amore. Se c’è un’intensa e vasta fenomenologia del desiderio, manca del tutto il senso di colpa, il travaglio interiore, il contrasto tra il piano sensuale e quello spirituale dell’esistenza della nostra grande lirica d’amore.

La danza inesausta delle cose Poesia apparentemente senza miti e senza divinità, questa del Kokinshu è tutta percorsa dal senso del tempo e anche in essa, come in quella cinese secondo il giudizio di Montale, uomo e arte sono natura, al contrario che in occidente, dove arte e natura tendono all’uomo, a umanizzarsi all’infinito. L’infinito non sembra esistere per i poeti giapponesi, come non esiste per Omero e i lirici greci. Esiste la danza inesausta delle cose, delle superfici lucenti o buie delle cose, il loro ineluttabile passare. Ki no Tomonori si chiede “La vita? / Cos’è? E’ solo rugiada / effimera e vana”. E Fujiwara no Koremoto, di cui sappiamo soltanto che scrisse questo waka sul punto di morire, ci lascia un testamento eroico e leggero : “Perché pensavo / che la rugiada fosse / una cosa labile ? / La mia sorte da essa differisce / solo nel non posarsi sull’erba”.

Giuseppe Conte su “Il Giornale” del 5.05.2001

"La parola è quella che distingue gli educati dai selvatici i greci dai barbari
la parola è lo strumento che consente al singolo di prevalere sui molti."
Diodoro Siculo 

Il vecchio Nestore omerico
“Si può trovare una analogia tra questo rotolo e le opere di Wagner nell’uso di temi ricorrenti o di motivi con varia combinazione, importanza e prolungamento. In pittura il pennello (più inchiostro e colore) stimola i sensi per mezzo di intensità ed estensione proprio come fanno le note in musica. Sia il compositore che l’artista creano la loro opera tramite mezzi convenzionali: variano, ripetono (anche se non in modo esattamente identico) e producono contrasti tra questi temi. A volte il silenzio è il mezzo più efficace in musica e così anche nei paesaggi di Sesshu i grandi spazi vuoti sono essenziali e ricchi di senso. Come l’amante della musica trova continuamente insospettata bellezza e finezza in una sinfonia che ben conosce, così colui che ripetutamente guarda questo rotolo ogni volta prova nuovo e fresco piacere alla vista, e trova piccole delizie che sembrano nascoste dall’artista per ricompensare direttamente uno studio simpatetico.” John Carter Covell Under the seal of Sesshu, cit., pag. 69.
ho subito un accellerazione
tremulo di lampi
mi sfibro
rigido fino ad
allentare
l'elastico
τὰ μετὰ τὰ ἠθικὰ non si pone, in sostanza, la questione di "cosa sia buono", ma di "cosa buono sia".
La prospettiva di Putnam si inquadra così nella crisi della teoria della conoscenza come rispecchiamento (o rappresentazione) e nel recupero della tradizione pragmatista rappresentato, tra gli altri, da Rorty, per il quale, più che nei termini della corrispondenza a una realtà data, il discorso scientifico va valutato in base alla sua conformità a sistemi di credenza e pratiche intersoggettivi.
realismo critico: teoria della conoscenza umana che vede la presenza di almeno tre elementi: l’atto percipiente, il carattere o dato direttamente colto nella percezione e la cosa od oggetto extramentale a cui il dato, essendone un segno, rinvia.
idealismo-realismo-empirismo
Per Aristotele le Categorie sono i generi sommi, universali, che, quindi possono essere predicati. Ma attenzione: per quanto riguarda la sostanza, solo le sostanze seconde (specie e generi) sono universali, mentre la sostanza prima è determinata e particolare, mai universale.
il concetto del "trascendentale" è rimasto saldo nella tradizione idealistica, designando sempre, anche nelle più diverse composizioni terminologiche, quella sfera di verità necessarie che il pensante scopre in sé medesimo quando, astraendo da ogni sua determinazione contingente, considera le sue condizioni assolute; e cioè quando, con metodo che da allora in poi appare imprescindibile per il pensiero filosofico nella sua antitesi rispetto alla conoscenza sperimentale della natura, studia non l'Io "empirico" ma, appunto, l'Io "trascendentale".
Dove tutto è reale, niente è reale. B. Croce


intuizione per B. Croce: Il tutto determina la qualità delle parti. Es: il rosso dello scienziato, il rosso del quadro del pittore.
Croce giunge
segnalando le differenze essenziali tra
percezione e intuizione: mentre per la
prima è decisivo il riferimento alla realtà,
individuata dall’uso di ben precise
coordinate spazio-temporali, la seconda
non si avvale della distinzione tra
realtà e irrealtà, costruendo invece uno
schema delle cose in cui si mescolano
gli elementi percettivi e la capacità
soggettiva di comprenderli come
un tutto. Questo modo creativo di
pensare la realtà è intuitivo in quanto
è autoespressivo: è ciò che rende
i bambini incapaci di distinguere
verità e finzione, ma anche ciò che
rende l’artista capace di vedere e
di far vedere diversamente le cose
che tutti hanno davanti agli occhi.
Intuizione ed espressione finiscono così
per identificarsi, sotto il segno della
comprensione artistica della realtà.

Cioè, noi dobbiamo aggiungere un certo predicato ad un concetto dato, e questa necessità tocca già i concetti. Ma la questione non è che cosa dobbiamo pensare in aggiunta ad un concetto dato, ma che cosa realmente pensiamo in esso sebbene solo oscuramente; e allora è chiaro che il predicato aderisce bensì necessariamente a quei concetti, ma non perché pensato nello stesso concetto, sibbene in virtù di un'intuizione, la quale deve aggiungersi al concetto.

CDRP I. Kant
Kant conclude la dialettica dicendo che anima, Mondo e Dio non hanno alcuna validità se ne facciamo un uso costitutivo, cioè se le usiamo per produrre conoscenze, ma sono utili se ne facciamo un uso regolativo, ossia usiamo le totalità assolute a cui le tre idee fanno riferimento come modello a cui fare riferimento per superare il frammentarismo delle nostre conoscenze e dare loro un unità.
L’argomento fisico-teologico ricade ancora in quello ontologico e non tiene conto che causa dell’ordine del mondo può essere anche una causa immanente.
Menschenerkenntnis ist Welterkenntnis, Welterkenntnis ist Menschenerkenntnis
La Cosmologia Razionale pretende di conoscere il mondo nella sua totalità, cosa impossibile perché l’uomo può conoscere singoli fenomeni. Questa, dunque, cade in una sorta di antinomie, ragionamenti doppi in quanto formati da una tesi che afferma e da un antitesi che nega. Queste, pur contraddicendosi, possono essere dimostrate entrambe per cui la ragione non sa quale considerare vera e non sa scegliere in quanto non ha il supporto dell’esperienza (né la tesi ne l’antitesi corrispondono ad un’esperienza). Le antinomie sono 4, come le classi delle categorie.
1. Tesi: il mondo ha un inizio nel tempo ed è limitato dallo spazio.
Antitesi: il mondo non ha un inizio ed è illimitato
2. Tesi: il mondo è formato da parti semplici quindi è indivisibile.
Antitesi: il mondo non è formato da parti semplici quindi è divisibile all’infinito.
3. Tesi: nel mondo c’è liberta.
Antitesi: nel mondo non c’è libertà ma tutto e soggetto a leggi meccaniche.
4. Tesi: il mondo ha la sua causa in un essere necessario
Antitesi: nel mondo non c’è alcun essere necessario.

Non potendo scegliere fra tesi e antitesi la cosmologia è inutile.
Le maree sono causate dalla luna
La Critica Della Ragion Pura di Kant è divisa in due parti:
Estetica Trascendentale e Logica Trascendentale.

Quest'ultima, a sua volta, si distingue in:
Analita e Dialettica.

Nell'Analitica Trascendentale l'argomento è l'intelletto, a differenza dell'Estetica Trascendentale dove di parla dei Sensi.
Le forme a priori (i trascendentali= gli strumenti necessari per fare la sintesi a priori) sono le 12 Categorie, che si dividono in 4 gruppi:
1) Quantità
2) Qualità
3) Posizione o Modalità
4) Relazione

Quindi, affinchè ci sia la Sintesi A Priori, che per Kant è uguale alla conoscenza, obiettivo principale della sua filosofia, bisogna che ci sia un Soggetto e un Oggetto.

Il Soggetto sono le 12 categorie, l'Oggetto invece sono le Intuizioni Empiriche, che altro non sono che il risultato dell'Estetica Trascendentale (citata prima).

Risultato: Concetti Empirici, cioè, Sintesi A Priori, che afferma la possibilità delle scienze fisiche, come la Biologia, Chimica, Fisica.

CONOSCENZA (sintesi) = CONCETTO, INTELLETTO, PENSIERO mediante un concetto puro dell'intelletto (innato, conoscenza dell'universale, spontaneità dei concetti. Vi è pensato l'oggetto. Il concetto puro soltanto la forma sarebbe il pensiero di un oggetto in generale, senza contenuto a cui applicare il pensiero.) + messo in relazione con oggetti dei sensi INTUIZIONE, SENSIBILITà, OGGETTO DEL PENSIERO(+1, conoscenza del particolare, la ricettività delle impressioni. Vi è dato l'oggetto. La pura intuizione contiene soltanto la forma.)


Analitica dei principi (studio dell'applicazione delle categorie alle intuizioni empiriche tramite gli schemi temporali)

Nella filosofia epicurea e, nell’età moderna, spec. in quella di Kant e di J. Stuart Mill, criterio o regola di scelta che deve servire per la conquista o la dimostrazione della verità.

conoscenza RAZIONALE filosofica: discorsiva, non può fare riferimento all'intuizione (noumeno).
conoscenza RAZIONALE matematica: costruisce a priori i propri concetti nell'intuizione (la pura intuizione contiene soltanto la forma).
conoscenza scientifica: concetti intelletto più intuizioni pure più sensazioni dall'esperienza.

Io come COSCIENZA (il pensare me stesso), ovvero l'unità sintetica originaria dell'appercezione che sono. Io sono un pensare non un intuire. Così la mia propria esistenza non è per vero fenomeno (e tanto meno semplice parvenza); ma la determinazione della mia esistenza può avvenire solo secondo la forma del senso interno, in quella speciale maniera in cui il molteplice, che io unifico, può essere dato nell'intuizione interna; ed io non ho dunque pertanto una CONOSCENZA di me quale sono, ma semplicemente quale apparisco a me stesso. La coscienza di se medesimo è dunque ben lungi dall’essere una conoscenza di se stesso, malgrado tutte le categorie che costituiscono il pensiero di un oggetto in generale mediante l’unificazione del molteplice in una appercezione.
Per la conoscenza di me stesso io ho pur bisogno di una intuizione di un molteplice entro me, con cui io determini quel pensiero, SECONDO I RAPPORTI DI TEMPO ( FUORI DAI CONCETTI PROPRI DELL'INTELLETTO, COME CATEGORIE), facenti parte della condizione limitativa che chiamo senso interno. L'intelligenza può conoscersi come apparisce a se stessa in rapporto ad una intuizione di un molteplice dentro di me, non intellettuale.


L'INTUIZIONE SENSIBILE PUò ESSERE DI DUE TIPI:
concetto + intuizione pura = non crea conoscenza (SPAZIO E TEMPO sono soltanto nei sensi e fuori di essi non hanno nessuna realtà. ). Ottenere conoscenze a priori degli oggetti ( matematica= INTUIZIONE A PRIORI) solo rispetto alla forma di essi, come fenomeni. Se poi ci possono essere cose che si debbano intuire in questa forma, è ciò che rimane tuttavia indeciso. Per conseguenza, tutti i concetti matematici non sono per sé conoscenze, se non in quanto si presuppone che ci siano cose che si possono rappresentare solo conformemente alla forma di quella pura intuizione sensibile.

SPAZIO E TEMPO = FORME, O INTUIZIONI CHE CONTENGONO UN MOLTEPLICE Noi abbiamo a priori forme così della intuizione sensibile esterna, come della interna nelle rappresentazioni di spazio e di tempo. FORME NELLE RAPPRESENTAZIONI. A queste deve sempre conformarsi la sintesi dell’apprensione del molteplice del fenomeno.
Ma spazio e tempo non sono rappresentati semplicemente come forme dell’intuizione sensibile, bensì, a priori, come intuizioni essi stessi (che con­tengono un molteplice), e perciò sono rappresentati con la determinazione dell’unità di que­sto molteplice che è in essi (vedi Estetica trascendentale).

Le rappresentazioni di spazio e tempo sono forme a priori dell'intuizione sensibile ESTERNA ed INTERNA, e al contempo intuizioni a priori esse stesse che contengono un molteplice, con la determinazione della sua unità. A queste rappresentazioni deve conformarsi la sintesi dell'apprensione del molteplice del fenomeno, che può sorgere solo SECONDO questa forma.

LO SPAZIO (rappresentato come oggetto, come occorre in geometria ) contiene:
  1. FORMA DELL'INTUIZIONE -> Dà IL MOLTEPLICE SOLO
  2. INTUIZIONE FORMALE-> Dà LA SINTESI del MOLTEPLICE DATO, in un'unità rappresentativa, secondo la forma della sensibilità, in una rappresentazione intuitiva.
LA PERCEZIONE è POSSIBILE GRAZIE ALLA SINTESI.
L'ESPERIENZA è CONOSCENZA MEDIANTE PERCEZIONI CONNESSE. LE CATEGORIE SONO CONDIZIONI DELLA POSSIBILITà DELL'ESPERIENZA, A PRIORI PER TUTTI I SUOI OGGETTI:Noi non possiamo pensare alcun oggetto, se non per le categorie; né possiamo conoscere un oggetto pensato, se non per intuizioni che corrispondano a quei concetti.


  • PENSARE ATTRAVERSO CATEGORIE
  • CONOSCERE OGGETTO PENSATO MEDIANTE INTUIZIONI CHE CORRISPONDONO A QUEI CONCETTI (dell'intelletto).
TUTTE LE INTUIZIONI SONO SENSIBILI E QUESTA CONOSCENZA è EMPIRICA, in quanto il suo oggetto è dato.
LA CONOSCENZA EMPIRICA è L'ESPERIENZA. 
Le categorie del pensiero non sono vincolate dalle condizioni della nostra intuizione sensibile; hanno un campo illimitato.
La conoscenza di ciò che pensiamo, la determinazione dell'oggetto, HA BISOGNO DI UN INTUIZIONE.
QUINDI NON ESISTE ALCUNA CONOSCENZA A PRIORI (METAFISICA, NOUMENO, USO TRASCENDENTE DELLE CATEGORIE NELLA DIALETTICA TRASCENDENTALE FRA LORO E L'IO PENSO). Il pensiero dell’oggetto senza intuizione sensibile (quindi senza conoscenza empirica, quindi senza esperienza, ergo inconoscibile) può del resto aver sempre le sue conseguenze vere ed utili nell’uso che il soggetto fa della ragione, e che non si può ancora qui trattare, poiché non sempre esso è indirizzato alla determinazione dell’oggetto, ma anche a quella del soggetto e del suo volere.

IL CONCETTO CONTIENE L'UNITà SINTETICA DI APPERCEZIONE.


L'UNITà DELLA SINTESI DEL MOLTEPLICE (fuori e in noi) è DATA A PRIORI, CON LE SUE INTUIZIONI, COME CONDIZIONE DI SINTESI DI OGNI APPRENSIONE: è l’unificazione del molteplice d’una data intuizione in generale in una coscienza originaria, applicata, in conformità delle categorie, solo alla nostra intuizione sensibile.
Ogni sintesi, per la quale la stessa percezione è possibile, sottostà alle categorie.
L’esperienza è conoscenza mediante percezioni connesse, le categorie sono condizioni della possibilità dell’esperienza, e valgono perciò a priori tutti gli oggetti dell’esperienza.

E' LA SINTESI DELL'INTELLETTO CHE DETERMINA LA SENSIBILITà!
L'intelletto determina la sensibilità che è prima di ogni concetto, e dalla cui sintesi otteniamo le intuizioni di spazio e tempo. la sintesi non appartiene ai sensi e rende possibile ogni concetto di spazio e tempo come intuizioni; questa unità appartiene allo spazio e al tempo e non al concetto dell'intelletto.

CATEGORIE Spazio e tempo valgono, come condizioni della possibilità che ci sien dati degli oggetti, non altrimenti che per gli oggetti dei sensi, e perciò solo dell’esperienza. Fuori di questi limiti, essi non rappresentano nulla; perocché sono soltanto nei sensi e fuori di essi non hanno nessuna realtà.
CONCETTI puri dell'intelletto, si estendono ad oggetti dell’intuizione in generale, sia essa simile alla nostra o no, pur che sia sensibile e non intellettuale. Semplici forme del pensiero senza realtà obbiettiva a cui possa essere applicata quell'unità sintetica dell’appercezione che soltanto esse contengono, con cui esse possono determinare un oggetto. Quindi concetto contenente unità sintetica di appercezione + più intuizione sensibile, esperienza, mediante le categorie (forme o intuizioni a priori) interne ed esterne danno la conoscenza.

CON L'INTUIZIONE DETERMINO IL CONCETTO GENERALE.

"sintesi dell'Apprensione" consisterebbe nel raccogliere il molteplice della rappresentazione in modo che da esso sorghi "l'unità dell'intuizione" = relazione diretta.
"sintesi dell'apprensione" intendo la composizione del molteplice in una intuizione empirica(unità dell'intuizione), per cui diviene possibile la PERCEZIONE, cioè la coscienza empirica della percezione (come fenomeno).
l'intuizione è l'atto estetico con il quale noi entriamo in rapporto col tavolo, colla sedia, col pc ecc.
cioè è un atto estetico nel senso dell'estetica trascendentale: ha a che fare con spazio e tempo.
il tavolo è qui ora. il quadro ieri era laggiù.
faccio notare una cosa fondamentale, si parla di casi singolari.
cioè uno sporadico caso empirico.
un caso sporadico empirico può dentro kant darci scienza?
no, non può. la scienza, ormai lo sappiamo, è fatta di giudizi universali che valgono sempre.
quindi o il caso singolo è giustificato da una legge generale, oppure il caso singolo distrugge la mia legge.
ma ciò significa che la legge era sbagliata a monte (poichè non sa giustificare il caso singolo).
il caso singolo però per essere elevato a caso universale (la legge x) ha bisogno di una "unificazione". questa unificazione però ha luogo attraverso il sopraggiungere dell'intelletto.
l'intervento dell'intelletto in questa fase è un mettere insieme (sintesi: aggiungere qualcosa a qualcosa) di casi singolarmente presi (il sole sorge ieri, il sole sorge l'altro ieri ecc) con i quali ho avuto relazione attraverso intuizioni semplici.
ora queste intuizioni semplici, singolarmente prese sono nulle in se stesse se io non ne avessi in qualche modo già avuto notizia, se io, cioè, non avessi già tenuto sott'occhio (ap-prese diremmo in lingua corrente, ma la lingua corrente NON distingue la memoria di casi - la conoscenza empirica la chiamava aristotele in Metafisica I I e I - II, e l'apprendimento concettualmente inteso).
quindi la sintesi dell'A è il processo che rende possibile il fatto: il sole sorge (a cui devo trovare una legge che giustifici "quid iuris" quanto constato di fatto, "quid facti").
"l'idea" casa, il fenomeno casa è dato dalla "somma" di tutte queste apprensioni.
tale somma è chiamata "sintesi", ed è attuta dall'immaginazione (kant mi pare che poi la chiami "immaginazione produttiva" distinguendola dall'"immaginazione riproduttiva" che è quella che riguarda gli altri lati)
la somma delle apprensioni (PLURALE!), la sintesi delle apprensioni è il fenomeno nella sua interezza (che è lo stesso sia se lo guardo a 400 km di distanza col binocolo, sia se ci faccio il giretto attorno come ho descritto). In ultima analisi allora in kant la percezione conta un grado razionale.

Conoscere, non secondo la forma della loro intuizione, ma secondo le leggi della loro unificazione: leggi della natura (la capacità delle categorie, spiega come tutto ciò che perviene al nostro intelletto sottostà sa leggi che vengono a priori dall'intelletto). Come prescriverle e renderle possibili.

concetto + intuizione  empirica = crea conoscenza . Date solo in quanto percezioni (rappresentazioni accompagnate da sensazione).

Di guisa che le categorie mediante l’intuizione non ci danno ancora nessuna conoscenza delle cose, se non soltanto perla loro possibile applicazione a una intuizione empirica, esse cioè servono solo alla possibilità della conoscenza empirica. Ma questa si chiama esperienza.

CONCETTO= La conoscenza comprende due punti: in primo luogo, un concetto per cui in generale un oggetto è pensato (la categoria).

LA FILOSOFIA DEVE STABILIRE UN LIMITE ALLA RAGIONE, NATURALMENTE INCLINE A TRASCENDERE L'AMBITO DELL'ESPERIENZA POSSIBILE IN CERCA DELL'INCONDIZIONATO. E A STABILIRE LE CONDIZIONI DELL'USO DEI CONCETTI CHE SI APPLICANO LEGITTIMAMENTE ALL'ESPERIENZA POSSIBILE.

CONCETTI o INTUIZIONI sono o puri (a priori, alla rappresentazione non è mescolata sensazione) o empirici (a posteriori, alla rappresentazione è mescolata sensazione, come reale).
"Se noi vogliamo denominare sensibilità la recettività dell'animo nostro nel ricevere rappresentazioni, in quanto viene in qualche maniera impressionato, l'intelletto è invece la facoltà di produrre da sé rappresentazioni, è cioè la spontaneità della conoscenza.
La nostra natura porta con sé che l'intuizione non può mai essere che sensibile, cioè contiene soltanto la maniera in cui noi possiamo essere impressionati dagli oggetti. Invece l'intelletto è la facoltà di pensare l'oggetto dell'intuizione sensibile. Nessuna di queste proprietà è da preporre all'altra. Senza sensibilità non ci verrebbe dato nessun oggetto, e senza intelletto nessuno ne verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.Perciò è altrettanto necessario dare un significato sensibile ai propri concetti (cioè unire loro l'oggetto dato nell'intuizione), quanto rendere a sé intelligibili le proprie intuizioni (cioè, sottoporle a concetti). Entrambe le facoltà o capacità non possono poi scambiare le loro funzioni. L'intelletto non può intuire nulla, e i sensi non possono pensare nulla. Soltanto dal fatto che essi si uniscono può scaturire conoscenza. Perciò non si può neppure fondere la loro partecipazione, anzi vi è fondata ragione di separare accuratamente l'una cosa dall'altra. Perciò distinguiamo nettamente la scienza delle regole della sensibilità in generale, cioè l'Estetica, dalla scienza delle regole dell'intelletto in generale, cioè la Logica."
Kant prende in esame il processo di formazione dei concetti attraverso le categorie ed il loro rapporto con un materiale sensibile che è preordinato secondo intuizioni pure: quelle dello spazio e del tempo, non più pensati alla maniera di Newton o di Leibniz come “cose” o “relazioni tra cose”, ma come forme a priori del nostro conoscere.

La “deduzione metafisica” è il procedimento con cui Kant si sforza di provare la coerenza logica delle categorie, ossia che queste corrispondono a concetti che non implicano in sé contraddizioni.
La “deduzione trascendentale” è invece il procedimento con cui Kant si sforza di mostrare come le categorie stesse costituiscano le condizioni (a priori) IMPRESCINDIBILI nelle nostre rappresentazioni degli oggetti (vere o false che siano).

La matematica è una intuizione a priori (Gli interrogativi che si pone sono come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze) accede alla certezza dei suoi principi attraverso al costruzione di concetti.
Nella matematica e nella fisica l'uomo esprime giudizi universali e necessari superando i limiti dell'esperienza sensibile. Fondata su giudizi ( 2+7=12 ) e intuizioni pure, o forme a priori di spazio e tempo. Conoscenza a priori di oggetti ma solo nella forma, come fenomeni ( de facto non è conoscenza poiché non ci sono rappresentazioni conformi alla forma di quella pura intuizione sensibile, quindi non accompagnate da sensazioni). Accede alla certezza intuitivamente (apodittica, non empirica).

COMPITO FILOSOFIA TOUT COURT PORRE FRENO DISPOSIZIONE RAGIONE A TRASCENDERE AMBITO ESPERIENZA POSSIBILE IN CERCA DELL'INCONDIZIONATO, DARE LEGITTIMAZIONE USO DEI CONCETTI. A proposito della liminarità della conoscenza filosofica (saper stare "sul limite di ogni uso lecito della ragione", quindi stabilire le condizioni dell'uso dei concetti che si applicano legittimamente all'esperienza possibile) Kant sostiene che la critica è opera della ragione in quanto possiede "dei principi a priori della conoscenza".

La critica è opera della ragione in quanto possiede dei principi a priori della conoscenza. Principi operanti come giudizi sintetici a priori, ma indirettamente sintetici, perché valenti solo nell'ambito dell'esperienza possibile e grazie ad essa. Legati alle facoltà dell'intelletto che, per mezzo di concetti puri o categorie, pensano i dati sensibili. Modi di funzionamento dell'intelletto innati, comuni a tutti gli uomini, così validi, necessari e universali. Svolgono una funzione trascendentale ordinatrice(attiva): precedenti a ogni esperienza, acquistanti significato solo se applicati a essa.  Perché contingenti all'esperienza possibile, e per concetti, rendono possibile l'esperienza e sono presupposti in questa. Essi esulano dal possedere dogmi ( giudizi a priori analitici del RAZIONALISMO DEDUTTIVO, legati quindi alle facoltà della ragione. Idee di anima, Dio e mondo) e tantomeno teoremi ( giudizi sintetici a posteriori, o empirici, per costruzione di concetti : proprio dell'EMPIRISMO INDUTTIVO, legati quindi a facoltà sensibili per mezzo delle forme, intuizioni pure, a priori di spazio e tempo che oggettivizzano spazializzando) , rendono innanzitutto possibile il loro argomento, cioè l'esperienza, e ne sono il presupposto in questa. Quindi l'esperienza entra nella prova come argomento, ma è anche ciò che rende possibile questa prova.


L’esistenza non è deducibile a priori ma solo a posteriori.

“Io penso” non è un soggetto conoscibile ma è un principio formale ed è la condizione ineliminabile che rende possibile la conoscenza.

LE FORME a priori della ragione umana (spazio, tempo e le dodici categorie), da cui derivano necessità ed universalità:
  • CATEGORIE SONO: i filtri che permettono di organizzare il pensiero secondo una funzione determinante, raggruppante le intuizioni concrete ricevute dal grado inferiore
  • SPAZIO E TEMPO SONO FORME PURE A PRIORI, O INTUIZIONI A PRIORI, O GIUDIZI FONDANTI.
LE IDEE DELLA RAGIONE:

  • ANIMA MONDO E DIO SONO TRE IDEE della ragione, fonte di conoscenza discorsiva-attiva ( filosofia )
LA MATEMATICA E LA GEOMETRIA SONO SCIENTI SINTETICHE A PRIORI PER ECCELLENZA

Le facoltà razionali sono:
  1. intuizione sensibile: conoscenza immediata attraverso i sensi (input + sensazione)
  2. intelletto: la facoltà che, a partire dai dati ottenuti dalla sensibilità, produce giudizi (giudizi = soggetto + predicato) e pensa per categorie
  3. ragione: tenta di spiegare in modo totale e definitivo la realtà - oltre l'esperienza - tramite le idee di anima, mondo e Dio
Lo spazio è la forma a priori del senso esterno che utilizziamo per ordinari i dati ricevuti dall’esperienza esterna. E' intuito unico, non frammentario, per questo è a priori. PROPRIO GEOMETRIA
Il tempo è la forma a priori del senso interno che usiamo per ordinare le esperienze interiori. PROPRIO DEL TEMPO, COME SUCCESSIONE DELL'UNITà.
Kant: prima con uno scritto del 1768 dal nome "Del primo fondamento della distinzione delle regioni dello spazio". Egli qui definisce "a) posizione: relazione reciproca delle parti componenti un ente b) ordine: relazione tra diversi enti nello spazio c) regione: la disposizione di tali elementi.

  Nell’ambito della conoscenza umana distinguono tre facoltà: sensibilità (estetica), intelletto (analitica), ragione (dialettica, mera illusione rispetto alla conoscenza noumenica).

SOSTANZA DELLA CONOSCENZA: sinolo di materia e forma ( a priori determina il nostro modo di conoscere la realtà). Conoscenza= sensibilità + intelletto. Pensare= attribuire un predicato ad un soggetto. Questa sintesi è compiuta dall’intelletto che forma concetti empirici e poi riferisce un concetto ad un altro formando i giudizi. Per fare ciò esso utilizza le sue forme a priori dette concetti puri o categorie.

CRITICISMO KANTIANO: Che cosa è l'uomo ( come essere razionale) ? la ragione alla ragione, non il mondo alla ragione. Domanda di stampo antropocentrico, eredità dell'illuminismo.

GIUDIZI SINTETICI A PRIORI: concetti mentali condizionati dalle forme a priori dell'intelletto.

GIUDIZIO (sapere costituito da proposizioni assertive): aggiunge un soggetto a un predicato. Sintesi fra soggetto e predicato. IL MEDIUM è INNATO ( negazione della conoscenza cartesiana e allo stesso tempo della tabula rasa humiana).

SINTETICO: aumenta conoscenza.

PRIORI: valido a prescindere dell'esperienza individuale.

RAGIONE (Vernunft): Può essere intesa come facoltà distinta, la ragione attraverso le sue tre idee principali (Anima, Mondo e Dio) che cerca di unificare concettualmente qualcosa che non ha una sua consistenza sensibile ( necessità irrealizzabile sia scientificamente che fattualmente ).
O come facoltà della conoscenza in generale. (ambiguità in tedesco "Kritik der reinen Vernunftse "critica "se critica fatta "alla" o "dalla" ragion pura).

IL SAPERE DERIVA DA PRINCIPI SINTETICI A PRIORI E DALL'ESPERIENZA.

Per Kant le categorie non appartengono alla realtà perciò hanno un valore gnoseologico trascendentale, cioè sono funzioni dell’intelletto usate per verificare il molteplice sensibile.

RAGION PURA si intende ogni forma di conoscenza che si ha a prescindere dall'esperienza, quindi a priori. Perché indipendente dall’esperienza tradizionalmente riferita alla materia impura.
TRASCENDENTALE: non appartiene alla realtà.

“Criticismo” significa bilancio critico delle facoltà conoscitive umane.
KANT ANTIRAZIONALISTA, FALLIBILISTA IN FILOSOFIA.
LE DUE DISCIPLINE RAZIONALI SONO:

  1. LA METAFISICA (O CONOSCENZA FILOSOFICA, NO COSTRUZIONE CONCETTI. Rapporto con intuizione mediato-> DAI CONCETTI per trovare la sua certezza apodittica con ragioni a priori e non empirica-> DISCORSIVAMENTE.)
  2. LA MATEMATICA(CONCETTI A PRIORI NELL'INTUIZIONE). Ottiene sua certezza 2+2=4 apodittica, a priori e non empirica-> INTUITIVAMENTE TRAMITE COSTRUZIONE CONCETTI.


LE CATEGORIE, come la casualità, a differenza di Hume, sono considerate un carattere necessario della conoscenza, infatti sono presenti nell'intelletto di tutti gli uomini.


Prima dell’attività sintetica dell’intelletto c’è un supremo principio unificatore: l’ ”Io penso” o l’autocoscienza trascendentale o appercezione trascendentale.





I giudizi sintetici a priori, ciò a cui Kant arriva per spiegare in che modo possa la conoscenza giungere a validità scientifica, sono quei giudizi nei quali la sintesi tra soggetto e predicato si fonda su un principio a priori interno al soggetto conoscente che non rischia di scadere nel particolare e allo stesso tempo è in grado di apportare nuova conoscenza. È su questi giudizi che deve fondarsi tutta la fisica e anche la matematica. Ancora in opposizione a Leibniz e in questo caso a Locke la matematica si fonda su giudizi sintetici poiché nella somma 5 + 7 = 12 il risultato non è già implicito nella somma come voleva Locke ma risulta dalla sintesi progressiva che il soggetto opera intuitivamente aggiungendo al numero 7 a una a una le unità che compongono il numero 5. Anche la metafisica allora dovrà basarsi su questi principi così che le tre domande [ “Che cosa posso conoscere” (Ragion pura), “Che cosa devo fare?” (Ragion pratica) “Che cosa mi è lecito sperare?” (Giudizio) ] Kant si pone all’inizio della sua opera sono riducibili ad una sola: come sono possibili giudizi sintetici e priori? Le connessioni necessarie che costituiscono la conoscenza allora non dipendono dall’oggetto che di per sé ne è privo, ma dal soggetto che nell’atto conoscitivo proietta sull’oggetto la propria capacità sintetica. La rivoluzione copernicana della filosofia dice Kant deve allora consistere nell’occuparsi non più degli oggetti in se stessi, bensì degli elementi a priori che nel oggetto rendono possibile la costituzione e la conoscenza di quegli oggetti: una simile filosofia è detta filosofia trascendentale.

La critica della ragion pura si concretizza in queste domande:

1. Come è possibile una matematica è una fisica pura?

Kant si chiede quali sono le condizione che conferiscono loro un carattere oggettivo

2. E’ possibile la metafisica come scienza?

E se la risposta è negativa, come è possibile la metafisica come disposizione naturale dell’uomo?




Egli ricerca i motivi per cui la ragione umana pur consapevole dei limiti, sia portata ad oltrepassare i limiti e vuole conoscere l’assoluto e altri oggetti della metafisica. (sintesi Heghel)




Nell’ambito conoscitivo la ragione pretende di andare oltre l’esperienza. In quello morale, pretende di poter raggiungere la santità, In quello sentimentale pretende di poter subordinare a se stessa il mondo e la natura (tecnica).

L'INCONSCIO OTTICO...

Per Walter Benjamin (1892-1940), la natura rivelata dalla fotografia è diversa da quella vista dall'occhio umano: «...al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall'uomo, c'è uno spazio elaborato inconsciamente. (...) Soltanto attraverso la fotografia egli scopre questo inconscio ottico. (...) La fotografia dischiude gli aspetti fisiognomici di mondi di immagini che abitano il microscopico, avvertibili ma dissimulati abbastanza per trovare un nascondiglio nei sogni ad occhi aperti, e ora, diventati grandi e formulabili come sono, capaci di rivelare come la differenza tra tecnica e magia sia una variabile storica». Rosalind Krauss ha mostrato la rilevanza di questo tema per l'arte del '900.

Il maggior pericolo per l'arte è l'eccesso di cultura. Il vero artista è un uomo incolto. Dérain

Esiste una delicata empiria, che si identifica intimamente con l oggetto divenendo in tal modo autentica teoria. Goethe

Atget ha quasi sempre trascurato "le grandi vedute e i cosidetti grandi emblemi"... E' su queste basi che la fotografia surrealista prepara un salutare straniamento tra uomo e ambiente ( vedi l'angelo sterminatore Bonuel ). Libera il campo allo sguardo politicamente addestrato, di fronte al quale ogni intimità viene sacrificata all'illuminazione del particolare. W Benjamin
In un mezzogiorno estivo, riposando, seguire una catena di monti all'orizzonte o un ramo che proietta la sua ombra sull'osservatore, finché l'attimo o l'ora partecipano della loro apparizione: questo equivale a respirare l'aura dei monti, di quel ramo.
W. Benajamin
tutte le creature sono un unico essere
lo condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore