A questo atteggiamento visivo si aggiungeva, secondo la teoria di Calogero, la credenza per i greci arcaici, che solo ciò che può essere pensato può essere nominato.
Il nome, cioè, non ha ancora un significato simbolico e convenzionale ma è ciò che attribuisce realtà alla cosa esistente: la cosa ha quindi il nome che le è proprio e questo è l'unico che possa avere.
Da ciò deriva la difficoltà a dare nome a realtà come quella di un fiume, che cambiano continuamente.
Sarà Eraclito che stabilirà che "tutto muta, meno la legge del mutamento" e cioè che tutto muta meno la legge intesa come logos, la "parola" che acquista il suo valore simbolico e che quindi ci darà stabilità in una realtà concepita in continuo mutamento.
La sopravvivenza della convinzione che il nome renda reali gli eventi permane per molto tempo nei riti sacerdotali e magici dove la "formula", che deve essere pronunziata nella sua esattezza nominale, realizza l'avvenimento invocato.

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