la sfortuna schiaccia l'uomo o lo tempra
Peggy Guggenheim collezionismo illuminato
effetto
eeeeeeeeee moltiplicatore
ooooooooo unificatore
Uomo xviii secolo interesse in generale all'ordine più che alla storia 
Alla classificazione più che al divenire 
Ai segni più che ai meccanismi di causalità 
l’autorialità del mondo si estende in un soggetto unico che non è più soggetto: cioè esattamente la letteratura. Sarebbe quindi proprio «la grande straniera», la letteratura, a trascinare con sé la filosofia e tutte le altre produzioni discorsive in modo da inglobarle in un grande contenitore senza tempo né spazio all’interno del quale sono valide regole nuove, morbide e per lo più procedurali. E tutto ciò che si dice, si scrive, si annota e si commenta, allora, non sarebbe altro che letteratura.
E allora l’inchiesta archeologica foucaultiana, quella che al contrario del testo letterario mette sullo stesso piano «atti amministrativi, trattati, frammenti di archivi, enciclopedie, opere sapienti, lettere private, giornali» nel gigantesco anonimato del “si” impersonale, potrebbe essere letta a sua volta soltanto come un’ulteriore ipotesi finzionale à la Deleuze e nulla di più, un quadro coerente e dilatato fino alla dismisura in cui l’autorialità del mondo si estende in un soggetto unico che non è più soggetto: cioè esattamente la letteratura. Sarebbe quindi proprio «la grande straniera», la letteratura, a trascinare con sé la filosofia e tutte le altre produzioni discorsive in modo da inglobarle in un grande contenitore senza tempo né spazio all’interno del quale sono valide regole nuove, morbide e per lo più procedurali. E tutto ciò che si dice, si scrive, si annota e si commenta, allora, non sarebbe altro che letteratura.
allorquando si dica che nella filosofia, così come nell’opera di finzione, non c’è nulla di necessitante, non c’è, di nuovo, alcun limite, poiché lo spazio che esse occupano è illimitato, e così il tempo
Siamo di fronte a cinque leggi che, grazie al grado di mondanità crescente al quale rispondono nel loro porsi in sequenza, intendono primariamente affermare una verità, e secondariamente dimostrare che la condotta del libertino, che sottostà a un sistema di equilibri nient’affatto immediato, non ha nulla di atroce, poiché l’atrocità non ha logicamente luogo nei termini che normalmente le si concedono, dato che questi termini non sono più gli stessi con cui si discute nell’ambiente sospeso di un’opera senza tempo, ma sono radicalmente dissimili. In tal modo la condotta del libertino, primo personaggio nelle narrazioni di Sade, risponde alla natura soltanto, essa vive e si dipana in quello spazio (o in quel tempo) smisurato del superamento del limite che le leggi, l’anima e Dio hanno stabilito per l’uomo all’interno di un sistema di lunghissime imposture. E tali lunghissime imposture, va da sé, sono quelle dell’Ancien Régime e del pensiero di quello che fino ad allora era l’Occidente. Proprio in questo ganglio si evidenzia con forza la «centralità strategica» dell’opera di Sade, promotore di una verità di rottura.
Tutte le pagine di Sade, secondo Foucault, sarebbero così tese alla definizione di cinque leggi fondamentali che appaiono nella ripetizione di cui si è detto e nell’alternanza tra le estenuanti scene di sesso crudele e i discorsi assertivi che le preparano o seguono: 1) Dio non esiste; 2) l’anima non esiste; 3) la legge (quindi il crimine) non esiste; 4) la natura non esiste, o meglio esiste sotto l’imperativo della distruzione che la costituisce: essa è dunque essenzialmente malvagia; 5) l’individuo non esiste.
In Sade, in altri termini, la scrittura diventa una pratica allo stesso tempo squisitamente soggettiva ed essenzialmente politica; dalla cattività della prigione o in sua previsione essa rappresenta «il principio dell’eccesso e dell’estremo: colloca l’individuo non soltanto in una singolarità, ma in una solitudine irrimediabile» (pp. 119-120). Così facendo, nell’estremizzazione del superamento del limite, la scrittura rende evanescente, irriconoscibile e infine inesistente il confine che di solito è posto tra la criminalità e il suo contrario, tra l’azione morale e il suo contrario. L’opera di Sade può quindi essere vista come una sorta di spazio dalla misura indefinita che vive e si edifica in ragione del sovvertimento del limite, della sua neutralizzazione, cioè in ragione di un principio che ora acquisisce schietta valenza politica.
pervertire il reale fino ad arrivare al punto da ricadere sulla realtà medesima con le sue proposte sovvertitrici dell’ordine, e da lì ripartire. Ecco che Sade, per supportare questa sua strategia, elimina ogni limite temporale all’interno della sua narrazione: si pensi alla ripetizione estenuante delle stesse situazioni e degli stessi capricci che ha luogo in Justine e Juliette, come Foucault sottolinea nella conferenza; oppure anche alla condensazione estrema, all’ampliamento vertiginoso degli eventi nell’unica giornata deLa filosofia nel boudoir.
Ne viene fuori che l’opera dello scrittore francese non è un manifesto del libertinaggio le cui ragioni stanno nell’analisi, nella promozione e nella diffusione di una sessualità svincolata dalle pastoie della morale e del vivere cortese. Essa rappresenta invece un disegno più esteso che, ponendo il desiderio in relazione con la verità, discute di legge, di Dio, dell’uomo e delle sue convivenze. Quello di Sade appare dunque come un tentativo feroce di definire fratture tramite una leggibile e piuttosto coerente proposta in cui a partire dal detto letterario, prima ancora che da altre azioni concrete, si cerca di dar vita a uno sguardo di ordine filosofico desideroso di posizionarsi finanche sul pianale spinoso dell’etica: la pratica della scrittura, in questo processo, acquisisce un valore decisivo in quanto atto che lo caratterizza a fondamento.
In questo secondo senso la letteratura, come gesto volontario, estremizzando l’“ipotesi finzionale” di Deleuze e portandola dunque a toccare il suo opposto (l’enunciato che somiglia a un sogno ricade concreto sul reale), può arrivare a rappresentare un catalizzatore di lacerazioni discorsive, forse addirittura ponendosi come vettore di soggettivazione, una «strategia […] che passa attraverso una battaglia contro l’egemonia del senso» (p. 12), in linea con il registro guerresco che sovente supporta le dimostrazioni foucaultiane.