gli artisti dal didentro vedono al difuori formiche
agitarsi alacramente e realizzare le profezie dell'arte stessa.

I lavoratori come comunità interpretano gli artisti come
deviazioni sensibili del quieto vivere.
l'artista desidera cancellare il suo passato
destinato oramai solo all'intelletualismo
azzerare, distruggere per creare
sotto lo spirito di tendenza
la novità
Il bene e il male sono due principi trascendenti costituenti la natura dell'uomo, compresi razionalmente sotto forma di idee.

Queste si esprimono nel concretizzarsi della vita dell'uomo, all'interno della sua massa cerebrale producendo azione, e prima ancora come poli materici diametralmente opposti costituenti la realtà.

L'infinito si concretizza nel finito e viceversa, tutto tende all'elisione e la fallisce. Questo moto è il principio della realtà, causa dell'universo. Primo principio della termodinamica.

Così scaturisce la vita: un equilibrio tendente ad un principio, che è necessario all'esistenza di entrambe le condizioni; la cessazione di questo equilibrio genererebbe un elisione impensabile.

Tuttavia l'uomo, se volesse, potrebbe solo avvicinarsi come tangente alle sue pure idee, ai suoi principi fondanti pensiero.
Perseguendoli sempre peggio e mai meglio.
Ecco la drammaticità della condizione umana, sopraffatta dal peggiore, elemento creatore della realtà stessa in contrapposizione con il suo opposto.
L'eterno peccato originale.

Perciò è conveniente concretizzare la via dimezzo, cioè vivere e trovare la bellezza nell'equilibrio delle idee, dei fatti e delle cose. Così il cibo, la pittura, la musica, la vita sono arte come vita, equilibrio come vita, catarsi della condizione umana.

per chi ha inquinato
il profumo di fiore col
sudore
quando ci si lascia cadere
petali

ci si ritrova
nel vento
poi

raccolti su di un ventre
materno

l'eco di una
bellezza
dimenticata
volare volare volare
fame d'amore
mele

appesantite
appassite
superflue

pendenze

sotto precipizi
di
sale

desertici

monocromatici

concetrazioni
di stelle
Gli artisti giapponesi non hanno mai cessato di considerare la sessualità come una forza della natura talmente potente da sovvertire il fragile e artificiale ordine sociale.
Mi chiedo se ciò che vie ne corrivamente definito «innocentismo» non celi una leale seppur complicata aspirazione umanista. Lo so, per molti l’innocen tismo è un moto dell’animo tipico di individui privi di struttura e di spina dorsale; la malattia dostoevskiana di chi riesce a identificarsi con l’assassino e non con la vitti ma, o l’incubo kafkiano di chi teme di essere incastra to da un momento all’altro per un reato non commes so. Insomma qualcosa che rischia di diventare, nel mi gliore dei casi pietistico las sismo, e nel peggiore posa estetizzante. Tanto più di questi tempi in cui il più prelibato divertissement dei miei connazionali sem bra consistere nello snidare criminali, leggere intercetta zioni, spulciare verbali, co struire ben documentate cattedrali del sospetto. Ma che posso farci se tale dema gogico esercizio mi appare così rivoltante? E se un mo to interiore che non ha nien­te a che fare con il sentimen talismo mi spinge sempre a ipotizzare, di primo acchito, l’innocenza di un mio simi le?

In questi anni, da che Chiara Poggi è stata trovata morta e il suo ragazzo Alber to Stasi accusato di averla as sassinata, è la terza volta che mi capita di chiosare gli ultimi sviluppi del «caso Garlasco». Constato che i due precedenti pezzi erano animati da uno spirito dis sennatamente innocentista, cui la perizia super partes dell’altro giorno sembra aver dato retroattivamente ragione. Certo, si tratta di una medaglia di latta che non ha nessun senso esibi re. Più interessante mi sem bra il fatto che ancora una volta la mia attenzione si concentri su Alberto Stasi. Sulla storia che lo riguarda che, qualora lui fosse inno cente, mi parrebbe il più perfetto e paradigmatico tra gli incubi contemporanei. Mi spiego. A chi è accadu to di vedere una propria fo to sul giornale sa quanto ta le esperienza sia straniante. La verità è che quella foto ti parla di tutto fuorché di te stesso. Tanto che certe volte hai il sospetto che sia un surrogato, un apocrifo, un’impostura bell’e buona creata ad arte per screditar ti. Non c’è niente di più pe noso della discrasia tra il pensiero intimamente affet tuoso che nutri per la tua ir rilevante personcina e quel la specie di essere disgusto so (quel Mr Hide) catturato dalla foto ora riprodotta, senza il tuo consenso e sen za alcun ritegno, in centina ia di migliaia di esemplari.

Mi chiedo se Alberto Stasi, frattanto, abbia fatto il callo alle sue mille foto apparse in questi due anni sui gior nali. Nel qual caso a que st’ora saprà che non c’è cen timetro quadrato del suo corpo né impercettibile det taglio del suo contegno che non parli di colpevolezza: l’incarnato diafano, la so­brietà dei lineamenti, la sfuggente pudicizia, tutto lo rende l’interprete ideale del ruolo di Stavroghin in una eventuale trasposizione ci nematografica de I demoni di Dostoevskij. Eppure c’è la possibilità che Stasi, a di spetto delle più promettenti apparenze, sia semplice mente innocente. A quanto pare, oltre al suo corpo, al suo contegno e a certe bieche predilezioni sessuali non c’è indizio del la sua colpevolezza. Ed ecco l’elemento che, al postutto, più mi agghiaccia: tutto nel la nostra vita (tutto quello che facciamo e non sappia mo di fare, tutto quello che siamo e non sappiamo di es sere) può offrire la futura prova e il futuro movente della nostra colpevolezza in un crimine che non abbia mo ancora commesso e che forse mai commetteremo.

di ALESSANDRO PIPERNO

proteggevo
ora
quasi
denigro

come un lontano
amico

così
divenuto il mio cuore

un esistenza
[22.44.08] don_vitodesmo: un essere umano
[22.44.16] don_vitodesmo: un soffio
[22.44.25] don_vitodesmo: meno di una goccia o un granello
[22.44.41] don_vitodesmo: una formica che si affanna nell'universo
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