È tutto un lupolìo
La centralità in Kant di utilità e scopo
Etica e arte mostrano e determinano i limite le soglie oltrepassando creano l essere determinano il suo tempo lo svolgono lo chiudono lo ripetono lo spiralizzano
Il luogo, come un fenomeno Aristotelico, si manifesta…a un livello concreto con la costituzione di un articolato regno in cui l’uomo…può avere origine. La ricettività…di un luogo…dipende…dalla sua stabilità nel senso quotidiano 3 – Frampton, Kenneth, “On reading Heidegger”, Oppositions reader: selected readings from a journal for ideas & criticism in architecture 1973-1984, ed. Michael K. Hays, Princeton Architectural Press, New York, 1998, p.5.
LA CRITICA SOGGETTIVA E IL TEMPO DI SVILUPPO NELLA CIVITà MONDIALE
Immaginiamo due popoli primordiali, i loro confini, e la loro rispettiva carica aggressiva e di sopraffazione naturale, espressa da ogni singolo componente attraverso il suo insieme cultura. La storia dell'umanità fino ad oggi è stata la risultante delle tensioni fra innumerevoli simili coppie "cellulari" popolo, interagenti "rizomaticamente"(nel senso guattari-deluziano) fra loro. Riassumo e ordino fra queste: le tensioni scaturenti da fattori numerici e identitari in relazione alla riproduzione; e quelle aggressivo territoriali in relazione ai confini. Si evince così facilmente che, sotto questo punto di vista, la storia possa apparire come una lunga sequela di combinazioni di fattori fisico biologici, che hanno portato alla nascita e alla morte, supremazia e sottomissione, di numerosi gruppi umani. Ritengo questi processi patrimonio del progresso di pace fra i popoli, inteso come lento raffinamento dei concetti di relazione fra molteplicità identitarie.
Scopo della mia argomentazione è quindi porre una riflessione su come le percezioni di un singolo individuo possano essere facilmente alterate nella loro considerazione degli eventi storici, oggi in un quantomai frenetico susseguirsi.
Intendo criticare i facili giudizi su fatti più o meno contemporanei, basati su forzature delle considerazioni di relazione causa-effetto, inevitabili quando la decisione, da parte di un soggetto, relativa a una presa di osservazione della realtà, verte eminentemente sul proprio punto individuale contingente, quindi limitatissimo nel tempo, e non su quello storico (come esperienza dei popoli) nella sua auspicabile approssimazione verso la completezza.
La considerazione polarizzata di un tale individuo, si riconosce nella noncuranza fra la differenza di peso dell'evoluzione "de facto" rispetto alle evoluzioni "de iure". Riscontrando da parte sua un dilatarsi del peso storico dell'ultima ( progressi astratto-ideali della civiltà ) rispetto alla prima ( progressi pratico-reali ). Siffatte deformazioni intellettuali individuali divengono serie minacce per la collettività se coadiuvate, per la loro elevata compatibilità con i populismi, in radicalismi di massa volti a forzare, per mezzo della violenza spesso intesa come moto catartico necessario (la "guerra igiene del mondo" manifesto del futurismo), l'applicazione immediata degli astratto-ideali sui pratico-reali. La natura utopica di questi piani di azione spesso risiede fondamentalmente nel baco della loro falsata concezione dei pesi storici sopracitata e nella non considerazione dei fisiologici lenti tempi della storia e dei popoli.
Testimone del fallimento di questo approccio sono le grandi ideologie del novecento, nefaste a lungo termine, poiché traumatizzanti della natura degli equilibri depositatisi progressivamente nel corso della storia. Meccanismi risultati facili poi alla restituzione di ampie aree sgombrate dal posto dei vecchi apparati, alla penetrazioni di nuovi poteri elitari legati a bisogni sempre personali egoistici. Facile perché fondamentale è la costituzione di un nuovo ordine per le masse dopo la distruzione di un vecchio e fondamentalmente uguale è la natura di tutti gli animali uomo. Dove quindi il primo solitamente non è certo migliore negli scopi, specie se eccitati dalle aggressività precedentemente applicate, rispetto al secondo. Cito l'ipotesi della "proibizione dell'incesto e il padre dell'orda primitiva" in Jacques Lacan.
Postulo così l'emergere di due equazioni: cambiamento drastico = distruzione dei progressi di pace raggiunti nel lungo corso della storia. E: uomo oppressore = uomo oppresso, nella sua base psico-biologica, nel suo a priori "gestaltico".
A smorzare un altro aspetto nefasto della natura dei giudizi soggettivi individuali in tempo di crisi, proseguo richiamando il fondamentale meccanismo base dei processi storici delle culture umane accennato in apertura. Con l'emergere del fatto che non ci si possa stupire che un qualsiasi popolo egemonicamente potente non abbia mai badato (fino all'altro ieri), durante la sua dolorosa ed energeticamente dispendiosa affermazione, a proteggere altruisticamente gli interessi particolari dei popoli "altri", se non all'interno del ristretto confine dei suoi interessi particolari.
Sottolineo la naturalità di questa logica, direi istintuale, poiché ripeto che la mancata riflessione su questa fondamentale antropos-logica della sopravvivenza, va a braccetto con quel' "alterazione" della percezione dei tempi di sviluppo della civiltà, tanto nefasta ad una comprensione il quanto più oggettiva possibile dei problemi della contingenza.
Nel senso biologico come storico del termine antropos-logica, contiene intrinsecamente una pragmatica politica di "economia energetica" dell'invasore, finalizzata ad aumentare il margine di vittoria nella competizione. La tutela quindi del benessere dei popoli sottomessi non è mai stata concepita come di vantaggio secondo la logica del nemico fino a oggi in auge; che continua a inserire considerare dialetticamente l' "altro da noi" una minaccia, utile solo da morta o da sufficientemente sfiancata e riutilizzabile per la propria crescita. Sottolineo: questa dialettica non è stata superata di fatto dalle comunità umane, e sono convinto che necessiti ancora di un lungo processo di sviluppo progressivo e non traumatico per la sua più armonica e duratura attuazione.
Concludo dicendo che, per non gettare il bambino con l'acqua sporca, considero saggio ed intelligente applicarsi verso un processo di miglioramento della condizione di progresso raggiunta, tenendo i piedi ben saldi sul terreno e trovando il coraggio per cercare di affrontare uno ad uno i nodi da sciogliere armandosi di pazienza non violenta ed efficaci visioni a lungo termine, considerate come la via più duratura ed efficace per cambiare il futuro.
Scopo della mia argomentazione è quindi porre una riflessione su come le percezioni di un singolo individuo possano essere facilmente alterate nella loro considerazione degli eventi storici, oggi in un quantomai frenetico susseguirsi.
Intendo criticare i facili giudizi su fatti più o meno contemporanei, basati su forzature delle considerazioni di relazione causa-effetto, inevitabili quando la decisione, da parte di un soggetto, relativa a una presa di osservazione della realtà, verte eminentemente sul proprio punto individuale contingente, quindi limitatissimo nel tempo, e non su quello storico (come esperienza dei popoli) nella sua auspicabile approssimazione verso la completezza.
La considerazione polarizzata di un tale individuo, si riconosce nella noncuranza fra la differenza di peso dell'evoluzione "de facto" rispetto alle evoluzioni "de iure". Riscontrando da parte sua un dilatarsi del peso storico dell'ultima ( progressi astratto-ideali della civiltà ) rispetto alla prima ( progressi pratico-reali ). Siffatte deformazioni intellettuali individuali divengono serie minacce per la collettività se coadiuvate, per la loro elevata compatibilità con i populismi, in radicalismi di massa volti a forzare, per mezzo della violenza spesso intesa come moto catartico necessario (la "guerra igiene del mondo" manifesto del futurismo), l'applicazione immediata degli astratto-ideali sui pratico-reali. La natura utopica di questi piani di azione spesso risiede fondamentalmente nel baco della loro falsata concezione dei pesi storici sopracitata e nella non considerazione dei fisiologici lenti tempi della storia e dei popoli.
Testimone del fallimento di questo approccio sono le grandi ideologie del novecento, nefaste a lungo termine, poiché traumatizzanti della natura degli equilibri depositatisi progressivamente nel corso della storia. Meccanismi risultati facili poi alla restituzione di ampie aree sgombrate dal posto dei vecchi apparati, alla penetrazioni di nuovi poteri elitari legati a bisogni sempre personali egoistici. Facile perché fondamentale è la costituzione di un nuovo ordine per le masse dopo la distruzione di un vecchio e fondamentalmente uguale è la natura di tutti gli animali uomo. Dove quindi il primo solitamente non è certo migliore negli scopi, specie se eccitati dalle aggressività precedentemente applicate, rispetto al secondo. Cito l'ipotesi della "proibizione dell'incesto e il padre dell'orda primitiva" in Jacques Lacan.
Postulo così l'emergere di due equazioni: cambiamento drastico = distruzione dei progressi di pace raggiunti nel lungo corso della storia. E: uomo oppressore = uomo oppresso, nella sua base psico-biologica, nel suo a priori "gestaltico".
A smorzare un altro aspetto nefasto della natura dei giudizi soggettivi individuali in tempo di crisi, proseguo richiamando il fondamentale meccanismo base dei processi storici delle culture umane accennato in apertura. Con l'emergere del fatto che non ci si possa stupire che un qualsiasi popolo egemonicamente potente non abbia mai badato (fino all'altro ieri), durante la sua dolorosa ed energeticamente dispendiosa affermazione, a proteggere altruisticamente gli interessi particolari dei popoli "altri", se non all'interno del ristretto confine dei suoi interessi particolari.
Sottolineo la naturalità di questa logica, direi istintuale, poiché ripeto che la mancata riflessione su questa fondamentale antropos-logica della sopravvivenza, va a braccetto con quel' "alterazione" della percezione dei tempi di sviluppo della civiltà, tanto nefasta ad una comprensione il quanto più oggettiva possibile dei problemi della contingenza.
Nel senso biologico come storico del termine antropos-logica, contiene intrinsecamente una pragmatica politica di "economia energetica" dell'invasore, finalizzata ad aumentare il margine di vittoria nella competizione. La tutela quindi del benessere dei popoli sottomessi non è mai stata concepita come di vantaggio secondo la logica del nemico fino a oggi in auge; che continua a inserire considerare dialetticamente l' "altro da noi" una minaccia, utile solo da morta o da sufficientemente sfiancata e riutilizzabile per la propria crescita. Sottolineo: questa dialettica non è stata superata di fatto dalle comunità umane, e sono convinto che necessiti ancora di un lungo processo di sviluppo progressivo e non traumatico per la sua più armonica e duratura attuazione.
Concludo dicendo che, per non gettare il bambino con l'acqua sporca, considero saggio ed intelligente applicarsi verso un processo di miglioramento della condizione di progresso raggiunta, tenendo i piedi ben saldi sul terreno e trovando il coraggio per cercare di affrontare uno ad uno i nodi da sciogliere armandosi di pazienza non violenta ed efficaci visioni a lungo termine, considerate come la via più duratura ed efficace per cambiare il futuro.
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