In questi anni, da che Chiara Poggi è stata trovata morta e il suo ragazzo Alber to Stasi accusato di averla as sassinata, è la terza volta che mi capita di chiosare gli ultimi sviluppi del «caso Garlasco». Constato che i due precedenti pezzi erano animati da uno spirito dis sennatamente innocentista, cui la perizia super partes dell’altro giorno sembra aver dato retroattivamente ragione. Certo, si tratta di una medaglia di latta che non ha nessun senso esibi re. Più interessante mi sem bra il fatto che ancora una volta la mia attenzione si concentri su Alberto Stasi. Sulla storia che lo riguarda che, qualora lui fosse inno cente, mi parrebbe il più perfetto e paradigmatico tra gli incubi contemporanei. Mi spiego. A chi è accadu to di vedere una propria fo to sul giornale sa quanto ta le esperienza sia straniante. La verità è che quella foto ti parla di tutto fuorché di te stesso. Tanto che certe volte hai il sospetto che sia un surrogato, un apocrifo, un’impostura bell’e buona creata ad arte per screditar ti. Non c’è niente di più pe noso della discrasia tra il pensiero intimamente affet tuoso che nutri per la tua ir rilevante personcina e quel la specie di essere disgusto so (quel Mr Hide) catturato dalla foto ora riprodotta, senza il tuo consenso e sen za alcun ritegno, in centina ia di migliaia di esemplari.
Mi chiedo se Alberto Stasi, frattanto, abbia fatto il callo alle sue mille foto apparse in questi due anni sui gior nali. Nel qual caso a que st’ora saprà che non c’è cen timetro quadrato del suo corpo né impercettibile det taglio del suo contegno che non parli di colpevolezza: l’incarnato diafano, la sobrietà dei lineamenti, la sfuggente pudicizia, tutto lo rende l’interprete ideale del ruolo di Stavroghin in una eventuale trasposizione ci nematografica de I demoni di Dostoevskij. Eppure c’è la possibilità che Stasi, a di spetto delle più promettenti apparenze, sia semplice mente innocente. A quanto pare, oltre al suo corpo, al suo contegno e a certe bieche predilezioni sessuali non c’è indizio del la sua colpevolezza. Ed ecco l’elemento che, al postutto, più mi agghiaccia: tutto nel la nostra vita (tutto quello che facciamo e non sappia mo di fare, tutto quello che siamo e non sappiamo di es sere) può offrire la futura prova e il futuro movente della nostra colpevolezza in un crimine che non abbia mo ancora commesso e che forse mai commetteremo.
di ALESSANDRO PIPERNO